domenica 21 aprile 2013

I CLASSICI: STRADA A DOPPIA CORSIA, L'ESISTENZIALISMO DI HELLMAN

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 1971
102'
Regia: Monte Hellman
Interpreti: James Taylor, Dennis Wilson, Warren Oates, Laurie Bird.


Il genere road movie ha avuto la sua età dell’oro a cavallo tra gli anni 60 e 70.
Almeno 3 le pellicole di rilievo uscite in quegli anni: Easy Rider, Punto Zero e, ovviamente, quella che vi stiamo recensendo.
La migliore? Proprio quest’ultima: benché la prima sia di certo la più famosa e imitata, e la seconda sia stata recentemente rivalutata da Quentin Tarantino in Grindhouse, Strada a Doppia Corsia è di certo la più coerente e la meno retorica dell’ideale trilogia.

Allievo del leggendario B-producer Roger Corman e autore di un paio di western di culto (il dittico formato da La Sparatoria e Le Colline Blu), Monte Hellman è uno dei più sottovalutati registi indipendenti americani.
Avvaledosi dell’ispirato copione à la Antonioni dello scrittore underground Rudy Wurlitzer (che più tardi sceneggerà Pat Garrett & Billy The Kid di Sam Packinpah e Candy Mountain con Joe Strummer), il regista brooklyniano realizza qui il proprio capolavoro.

Se i musicisti Wilson e Taylor – rispettivamente batterista dei Beach Boys e cantautore folk - se la cavano bene nel loro primo e unico excursus recitativo, il grande caratterista Warren Oates trova qui il ruolo della vita: irresistibile il suo personaggio di gradasso solitario e sparaballe, con un sorriso per tutte le occasioni e il maglioncino scollato che cambia continuamente colore.
E Laurie Bird? Anche lei esordiente, girò ancora due film, prima di togliersi la vita nell’appartamento newyorkese di Paul Simon, un altro musicista occasionalmente prestato al cinema.

Mentre la catatonia dei 3 ragazzi viene riequilibrata dall’esuberanza parolaia di GTO, in una chiara metafora del vuoto esistenziale giovanile post-sessantottino contrapposto alla patetica immaturità degli adulti, la strada – intesa come luogo al contempo fisico e metaforico – assume via via sempre più importanza fino a diventare la vera protagonista della storia.

Una storia composta da pochi dialoghi (fa eccezione, ancora una volta, il personaggio di Oates, l’unico dotato di un vero spessore psicologico), poca musica, pochi e ben calibrati virtuosismi registici, una manciata di sequenze che si ricordano e alcuni momenti di “assordante” silenzio.

Grande esperto nel montaggio, Hellman riduce all’osso la materia narrativa e punta al simbolismo, riservandosi il colpo da maestro nel finale: l’audio sparisce, le immagini rallentano e la pellicola sembra bucarsi e bruciare.
Come i protagonisti del film.
Come il cinema.

Etichette: , , , , , , , , , , , , , , ,

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page