mercoledì 10 agosto 2016

I CLASSICI: IL CACCIATORE, IL COLPO VINCENTE DI CIMINO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA/Regno Unito, 1978
182'
Regia: Michael Cimino
Interpreti: Robert De Niro, Christopher Walken, Meryl Streep, John Savage, John Cazale, George Dzundza.


Lavoro (in una fonderia), hobby (la caccia al cervo), amori, il matrimonio di uno di loro.

La vita di un gruppo di ragazzi alla vigilia della partenza per il Vietnam di tre di loro scorre spensierata e allegra, ma la realtà della guerra si dimostrerà traumatica.

Al ritorno, nulla sarà mai più come prima.

Il 2 Luglio scorso ci ha lasciato Michael Cimino.

Noto per la sua (per molti eccessiva) meticolosità e per i suoi comportamenti bizzarri, egli verrà ricordato soprattutto per questo film.

Era il 1978 quando questo uscì, il regista - ex sceneggiatore - aveva trentanove anni e una sola precedente esperienza dietro alla cinepresa (Una Calibro 20 per lo Specialista del 1974, con Clint Eastwood e Jeff Bridges).

Eppure, nonostante ciò, alla cerimonia degli Oscar dell'anno successivo la pellicola si aggiudicò 5 statuette - migliori film, regia, attore non protagonista (Walken), montaggio e sonoro - su 9 nomination che comprendevano anche sceneggiatura originale, fotografia (Vilmos Zsigmond), attore protagonista (De Niro, intenso e bravissimo) e attrice non protagonista (Streep, alla prima di una lunghissima serie di nomine: al momento siamo a quota 19!).

E il quasi esordiente si aggiudicò le due più prestigiose, forte di un grosso apprezzamento da parte di critica e pubblico.

Si parlò di un nuovo prodigio della cinematografia mondiale, di un autore potenzialmente in grado di lasciare un'impronta duratura, assieme ad altri talenti emergenti del periodo come Steven Spielberg, Francis Ford Coppola, George Lucas, Martin Scorsese.

Ma l'entusiasmo fu tuttavia effimero: nel 1980 uscì, dopo una travagliata produzione dai costi spropositati, I Cancelli del Cielo, uno dei flop più epocali della storia del cinema - tanto che fu tra le cause principali della bancarotta della gloriosa casa di produzione United Artists -, stroncato senza appello da critica e pubblico.

La reputazione di Cimino ne uscì distrutta: al contrario di William Friedkin - che dopo il boom di Il Braccio Violento della Legge e L'Esorcista aveva subito una rovinosa caduta con il pur ottimo Il Salario della Paura, ma poi ha saputo riprendersi con pellicole quali Vivere e Morire a Los Angeles, Bug e Killer Joe - egli non riuscì più a risollevarsi del tutto (nonostante L'Anno del Dragone del 1985).

Sì, Il Cacciatore è rimasto il suo esito più fortunato.

I forti contrasti tra i diversi tempi del film si scontrano violentemente e creano sensi di straniamento e disorientamento, proprio come quelli vissuti dai personaggi.

La prima parte è gioiosa laddove mostra il matrimonio (con rito ortodosso, quindi particolarmente suggestivo) e la successiva festa scatenata, e bucolica quando segue la caccia al cervo.

La seconda parte è angosciosa - soprattutto nella scena della tortura della "roulette russa" (che consiste nell'inserire un solo proiettile nel tamburo di una rivoltella, nel chiudere l'arma, puntarla verso la propria testa e premere il grilletto, sperando che non parta il colpo) - e "infernale" quando descrive il "dopo" dei bassifondi di Saigon.

La terza parte è triste e malinconica, con due dei protagonisti che tornano a casa - cambiati - e non riescono ad adattarsi alla quieta quotidianità: le tragedie che hanno vissuto (anche sulla propria pelle) sono ferite che non si rimargineranno mai.

Ad unire i tre contesti differenti c'è un filo rosso.
Rosso come il fuoco, i colori vividi e surreali della Saigon notturna, il sangue.

È il filo della violenza, che cova, esplode e, una volta che sembra passata, è pronta a ridestarsi da sotto la cenere.

È quella sensazione di star camminando in equilibrio su un filo - quando basta un niente per precipitare -, quella sensazione che il pubblico statunitense aveva bene a mente nel 1978 (la guerra del Vietnam era finita definitivamente solo tre anni prima).

Nella scena finale i vecchi amici sopravvissuti si riuniscono, ormai irrimediabilmente cambiati, e intonano in modo struggente l'inno patriottico God bless America, con la speranza che uniti il male e il dolore si riescano ad affrontare meglio.

Cimino riesce a commuovere toccando i nervi scoperti di una Nazione ancora traumatizzata, ma il suo è un grido contro la barbarie, contro la solitudine - soli con sé stessi i reduci non riescono più a trovare la pace; anzi, sono assaliti dai propri demoni personali - che va ben al di là della critica ai soli eventi bellici in Indocina e si fa grido di dolore universale contro la brutalità di tutte le guerre, ognuna delle quali è una "roulette russa" per civili incolpevoli e militari allo sbaraglio.

Proprio per questo Il Cacciatore è da considerarsi ancora attuale.
Purtroppo.





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