sabato 2 febbraio 2013

QUENTIN VS. SPIKE, LA DIFFERENZA TRA TALENTO E INVIDIA

(a sinistra Quentin Tarantino, a destra Spike Lee) 


Nelle ultime settimane sta tenendo banco la polemica scatenata dal regista afroamericano Spike Lee contro il collega di origine italiana Quentin Tarantino.
E di quale colpa si sarebbe macchiato il buon QT?
Di aver usato con troppa disinvoltura la parola nigger ("negro") nel suo ultimo film, Django Unchained, e di aver ridotto a uno spaghetti western la storia della schiavitù del popolo nero.

E dire che una volta erano amici: fu proprio Lee che nel 1996 chiese a Tarantino - il personaggio più cool di Hollywood, in seguito al travolgente successo di Pulp Fiction - di recitare nel suo Girl 6.
Il nostro appare così all'inizio della pellicola in una divertente autoparodia di se stesso: un regista esigente e arrogante che sottopone la procace protagonista Theresa Randle ad un imbarazzante provino.

L'inizio dell'ostilità scoppiò in effetti poco dopo, ai tempi di Jackie Brown.
All'inquieto Spike fumavano le orecchie: ma come osava questo ragazzotto bianco del Tennessee resuscitare il genere blaxploitation, affidare il ruolo dell'eroina ad una black woman di mezza età, e oltretutto ricavarne incassi e consensi?!

Il problema tra i due è proprio questo: negli anni Tarantino è rimasto saldamente nel pantheon dei migliori registi del mondo, Lee un po' alla volta è sparito dal giro, travolto dal proprio livore (celebre il suo battibecco con l'ANPI, che lo accusò di revisionismo in occasione dell'uscita di Miracolo a Sant'Anna).

Entrando nel merito del Django tarantiniano, è da riconoscere che l'ignobile epiteto "negro" non è mai usato in modo gratuito, ma ha un valore - per così dire - "storico".
Come si pensa che si esprimessero i razzisti dell'epoca? Se i cattivi sono latifondisti sadici o imbranati membri del Ku Klux Klan, il linguaggio della pellicola deve adattarsi a quello dei personaggi.

L'impressione è che la critica di Spike Lee nasconda in verità una dolorosa gelosia artistica.
Un consiglio al regista newyorkese: lasci perdere le polemiche e si guardi il film di Quentin, serenamente.
Chissà che non si faccia quattro risate.
O che impari qualcosa.

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