lunedì 23 luglio 2018

I CLASSICI: BLACK PANTHER, MISTER CONSAPEVOLEZZA NERA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2018
134'
Regia: Ryan Coogler
Interpreti: Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong'o, Danai Gurira, Daniel Kaluuya, Martin Freeman, Letitia Wright, Winston Duke, Angela Bassett, Forest Whitaker, Andy Serkis, Sterling K. Brown, Stan Lee


Tutti pensano che il Wakanda sia un poverissimo e arretrato Stato africano.

In realtà, esso cela al mondo la sua vera natura, quella di un Paese all'avanguardia in tutto, ricco, retto dal giovane monarca illuminato T'Challa (Boseman) - che a tempo perso combatte il crimine sotto il costume di Black Panther - in collaborazione con la saggia regina madre (Bassett), la geniale sorella Shuri (Wright), la giovane e intraprendente Nakia (Nyong'o) e la leale e coraggiosa Okoye (Gurira), capo della guardia reale.

Ma la pace del piccolo e pacifico regno è messa in pericolo da Erik Stevens (Jordan), noto nel mondo del crimine come Killmonger, che ha un conto in sospeso con la monarchia wakandiana e che punta a salire sul trono per vendicarsi.






Creato dal duo Jack Kirby - Stan Lee nel 1966 (di poco precedente la nascita del movimento estremista delle Pantere Nere), il personaggio al centro della diciottesima opera del Marvel Cinematic Universe ha prima esordito nel 2016 in Captain America: Civil War e poi ha avuto l'onore di una pellicola solista.

Da molti considerato un film che in un certo senso ha cambiato il cinema (primo protagonista di pelle nera di una pellicola supereroistica), da altri il frutto di un'operazione di marketing molto furbetta, da altri ancora una risposta militante agli Stati Uniti di Donald Trump, Black Panther è stato comunque un trionfo - è attualmente nella top ten dei maggiori incassi di tutti tempi (non rivalutati con il tasso d'inflazione, però) con oltre un miliardo di dollari e ha entusiasmato critica e pubblico (soprattutto nel Nord America).

Sebbene la trama e alcune scene d'azione non brillino particolarmente per originalità, occorre dire che esso è piuttosto interessante sotto molti punti di vista.

Innanzitutto per il ribaltamento degli stereotipi.

Il Wakanda non è un Paese povero, sfruttato, corrotto, retto da un regime autocratico o dittatoriale, dilaniato da guerre: è invece un Eden opulento, tecnologicamente avanzato, autosufficiente economicamente, isolato dal mondo (al quale fa credere di essere arretrato), dove le diverse tribù convivono pacificamente, retto da una monarchia saggia e pacifica nella quale grande influenza hanno le figure femminili.

Questa immagine utopica non è però solo l'opposto della realtà quotidiana vissuta dalla stragrande maggioranza dei Paesi africani: essa si nutre anche delle idee di politici africani visionari quali il sudafricano Nelson Mandela, il senegalese Léopold Sédar Senghor (il principale esponente della négritude, il movimento letterario, culturale e politico che si proponeva di valorizzare le peculiarità delle popolazioni africane rispetto a quelle europee), il tanzaniano Julius Nyerere e soprattutto il rivoluzionario burkinabé Thomas Sankara (a quando un film sulla sua straordinaria vita?).

Nei riferimenti alla condizione dei neri negli USA, palesi sono i rimandi all'attualità, ma nella sceneggiatura abbiamo riscontrato altresì echi di Martin Luther King e Malcolm X, naturalmente, e anche di scrittori quali Toni Morrison (prima scrittrice afroamericana a vincere il Nobel, nel 1993), Maya Angelou e James Baldwin.

La costruzione di un "orgoglio nero" operata da Black Panther passa però anche dalla cultura e dall'arte del Continente Nero: le architetture wakandiane richiamano quelle delle antiche città di Zimbabwe e Timbuctù, i coloratissimi vestiti e i ricchi ornamenti riprendono quelli dei popoli Zulu, Bantu, Masai, Basotho, Ndebele, Dogon, Tuareg, Turkana (complimenti alla costumista Ruth E. Carter e alla sua squadra!).

Peccato che, tralasciando le scene ambientate in Corea del Sud, quasi tutto il film sia stato girato in uno studio nei pressi di Atlanta: solo poche e fugaci riprese sono state fatte in Africa (in Uganda, al confine con il Congo).

Insomma, si ha l'impressione che l'Africa della pellicola sia un'Africa conosciuta sui libri o sui documentari, un'Africa idealizzata ad uso e consumo degli afro-americani e degli Occidentali che ha a che fare con quella reale solo superficialmente.

Un film "africano" girato in Africa e con attori e maestranze anche locali sarebbe stato più sincero - un dato curioso: dopo l'India, il Paese con il maggior numero di produzioni cinematografiche nel mondo è la Nigeria; senza contare il fatto che Senegal e Burkina Faso hanno un'importante tradizione di cinema d'autore.

Lavorare nel Continente Nero sarebbe stato un bell'aiuto (anche economico) all'industria locale e un bel gesto di supporto.

Black Panther, però, è pur sempre un investimento hollywoodiano, pensato principalmente per un pubblico americano e fatto per incassare più soldi possibili - cosa mai scontata, vista la grande concorrenza (anche all'interno dell'universo Marvel).

Affidare la regia e la sceneggiatura a Ryan Coogler è stata una buona idea: oltre al fatto di essere afro-americano, il cineasta californiano è dotato di talento e ha saputo imprimere la sua impronta sull'opera.

I suoi lavori precedenti - Fruitvale Station e Creed (lo spin-off di Rocky che fece vincere a Sylvester Stallone un meritato Golden Globe e gli fece sfiorare un Oscar) - sebbene incentrati su tematiche "black" si sono rivelati un successo di critica e, abbastanza inaspettatamente, anche di pubblico.

E hanno avuto il merito di lanciare la carriera di uno degli attori più richiesti del momento, protagonista di entrambe le pellicole: Michael B. Jordan (se ve lo chiedete, la "B." sta per "Bakari", parola in lingua swahili che significa "nobile promessa").

Qui, egli fa la parte del cattivo e sta spesso a torso nudo, così come l'eroe, interpretato da Chadwick Boseman.

L'esibizione dei corpi muscolosi e possenti degli attori sembra quasi un'esaltazione della "razza" nera, una risposta all black alla celebrazione della "razza" ariana operata da Leni Riefenstahl in Olympia, documentario sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 (quelle dei trionfi dell'afro-americano Jesse Owens davanti agli occhi di Adolf Hitler).

Chissà se si tratta di una coincidenza oppure no...

Fanno solo da contorno Daniel Kaluuya (candidato all' Oscar quest'anno per Get Out), Martin Freeman (il giovane Bilbo Baggins nella trilogia cinematografica di Lo Hobbit), Andy Serkis (con la sua vera faccia!), Forest Whitaker.

Anche perché si è voluto lasciare molto spazio ai personaggi femminili.

Se quelli interpretati da Angela Bassett (la regina madre) e Lupita Nyong'o (il Premio Oscar per 12 Anni Schiavo è la giovane e coraggiosa Nakia, della quale si innamora T'Challa) sono però abbastanza prevedibili, più incisivi risultano quelli affidati alle meno note Letitia Wright (la geniale e inventiva Shuri) e Danai Gurira (l'indomita e battagliera leader della guardia reale Dora Milaje, un corpo che prende spunto dalle storiche donne guerriere conosciute come le Amazzoni del Dahomey), dotate di piglio e personalità.

A proposito: la fotografia è stata affidata a Rachel Morrison, che proprio quest'anno è stata la prima donna candidata nella categoria agli Oscar.

E sempre quest'anno c'è stata un'altra prima volta: Kendrick Lamar è stato il primo rapper a vincere un Premio Pulitzer, per la musica.
Indovinate chi ha curato la colonna sonora della pellicola...

Insomma, la Marvel ha affidato a Coogler un film di supereroi e questi l'ha trasformato in un'opera militante non priva di riferimenti culturali e politici che si schiera contro il razzismo, le discriminazioni e che si mette in aperto contrasto con la politica di Donald Trump (emblematico è il discorso che fa T'Challa davanti all'Assemblea ONU in una delle scene post credit).

La pantera è nera.
Di rabbia.




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