giovedì 3 marzo 2016

OSCAR 2016. UN' EDIZIONE CONFUSA

Dall'alto: Mark Rylance (attore non protagonista), Brie Larson (attrice protagonista), Leonardo DiCaprio (attore protagonista), Alicia Vikander (attrice non protagonista); ancora DiCaprio, tra Emmanuel Lubezki e Alejandro G. Iñárritu; l'affollata cerimonia di premiazione di Spotlight come miglior film (Michael Keaton al centro, Mark Ruffalo a destra). 


Parafrasando Agatha Christie: "...e poi non vinse nessuno."

L'edizione numero 88 degli Academy Awards passerà alla storia per essere stata una delle più incerte e confuse.
Sia chiaro, molti di coloro che a fine serata si sono portati a casa una statuetta lo meritavano, ma la sensazione è che si sia voluto accontentare un po' tutti.

Sono solo tre, infatti, le opere che hanno ricevuto, quest'anno, più di un Oscar: in totale ne sono state premiate ben 16; 13 delle quali, quindi, con un solo riconoscimento.
Col risultato che nessuna pellicola è davvero emersa.

Non è la prima volta. Anzi, ci sembra un trend - molto discutibile - degli ultimi anni: con le eccezioni di The Artist (nel 2012) e Birdman (lo scorso anno), non si sono più registrate vittorie nette.

Come si può notare scorrendo l'elenco dei vincitori, i veri eroi della serata di domenica sono stati principalmente due: Ennio Morricone e Leonardo DiCaprio.

Il grande compositore italiano ha finalmente conquistato l'Oscar che per troppi decenni gli era stato negato, se non alla carriera (nel 2007).
Una parte del merito va sicuramente a quel volpone di Quentin Tarantino, che - ormai accreditatosi come il nuovo Sergio Leone - ha voluto fortemente che il Maestro firmasse la colonna sonora del suo western The Hateful Eight.

Le straordinarie musiche di questo gagliardo ottantasettenne hanno fatto la storia del cinema, facendo sognare generazioni di spettatori.
L'Oscar più meritato dell'anno: complimenti, Signor Morricone!

Anche la leggendaria sfortuna dell'ex star di Titanic con le statuette, invece, è finalmente terminata: DiCaprio ha dovuto affrontare le condizioni estreme delle riprese di Revenant-Redivivo per coronare il proprio sogno.
Anche la Hollywood più snob si è dovuta inchinare: bravo Leo.

A proposito del film di Alejandro González Iñárritu, ci pare che il kolossal girato in Columbia Britannica (Canada) e Terra del Fuoco (nella parte argentina) sia stato il principale sconfitto della serata: partito come favorito, ha probabilmente patito la stroncatura di Variety - la rivista più influente di Hollywood - e si è visto soffiare il premio più importante.

Sembra proprio che, negli ultimi tempi, le pellicole che raccolgono il maggior numero di nomination alla vigilia arrivino al traguardo zoppe, come avevamo notato in questo precedente post.

Il regista messicano e il suo connazionale Emmanuel Lubezki possono però consolarsi: uno ha conquistato il secondo Oscar consecutivo come miglior regista - impresa riuscita prima ai soli John Ford e Joseph L. Mankiewicz -, l'altro addirittura il terzo Oscar di fila per la miglior fotografia (l'anno scorso con Birdman e due anni fa con Gravity).
Niente male davvero!

Il 2016 è anche il terzo anno di seguito che un cineasta del Messico viene premiato per la regia (prima di Iñárritu era stata la volta di Alfonso Cuarón nel 2014).

Questa, da un po' di tempo a questa parte, è diventata la categoria più internazionale: l'ultimo americano a vincere è stato in realtà una donna - l'unica nella storia dell'Academy Award - nell'ormai lontano 2010: Kathryn Bigelow, per The Hurt Locker.

Da quando è iniziato il nuovo millennio, gli Stati Uniti hanno vinto solo sei volte: dopo la Bigelow è stata infatti la volta dell'inglese Tom Hooper (Il Discorso del Re, nel 2011), del francese Michel Hazanavicus (il già citato The Artist, nel 2012), del taiwanese Ang Lee (Vita di Pi, nel 2013) e dei messicani.

Chi ha raggranellato più statuette di tutti (6 in totale) è stata la vera rivelazione dell'anno: Mad Max: Fury Road.
Il versatile e geniale cineasta australiano George Miller ha riportato alla ribalta il personaggio che a cavallo tra gli anni 70 e 80 aveva reso celebre Mel Gibson (in questo reboot è interpretato invece dall'imponente Tom Hardy, già Bane ne Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno).
Certo, si tratta solo di premi tecnici, ma per un film di genere è quasi una vittoria.
Probabilmente, però, sarà l'unico ad essere ricordato anche in futuro.

Tra i due litiganti il terzo gode, dice un famoso proverbio. E il terzo è Il Caso Spotlight, che però gode fino ad un certo punto.
Solo 2 Oscar: scontato quello per la sceneggiatura, clamoroso quello per il miglior film.
Da quanti anni non succedeva che una pellicola trionfasse con così pochi premi?

[Una risposta, in realtà, c'è: l'ultimo film a portare a casa solo due statuette - compresa quella più importante - è il tutt'altro che memorabile Il Più Grande Spettacolo del Mondo di Cecil B. DeMille. Correva l'anno 1952.]

Al di là del valore intrinseco dell'opera - una fedele ricostruzione della coraggiosa indagine giornalistica che portò la redazione del Boston Globe a smascherare alcuni gravissimi casi di abusi sui minori da parte di membri del clero cattolico - si ha l'impressione che si sia voluto dare un segnale politico.

Accettabile e condivisibile come tale, ma siamo sicuri che sia stata la scelta giusta?
Una competizione cinematografica - a qualsiasi livello - dovrebbe basarsi su parametri artistici, non ideologici.

C'è il rischio concreto che, passato il clamore mediatico, ci si imbatta in questa pellicola solo come risposta a domanda difficile in un quiz televisivo del futuro ("Chi vinse l'Oscar come miglior film nel 2016?").

Vorremmo poi far notare una curiosità: questo è già il secondo film consecutivo con protagonista Michael Keaton a vincere il premio più ambito dopo essere stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.

La nostra kermesse lagunare è in crisi da tempo, ma a quanto pare porta bene.
Per quanto concerne l'ex Batman, già protagonista di un nostro fortunato Speciale, sembra proprio che stia diventando un vero talismano, benché ancora una volta gli sia stata negata la statuetta come attore.
Quand'è che Hollywood si accorgerà del suo valore?

Al suo posto - Keaton in realtà non è stato neppure candidato - l'ha spuntata un po' a sorpresa Mark Rylance, che come non protagonista ha prevalso su Sylvester Stallone (il mitico Rocky può comunque consolarsi col suo Golden Globe).
Una bella notizia comunque per chi come noi ha avuto il piacere di vedere questo bravissimo attore inglese di formazione teatrale nel bel film di Steven Spielberg Il Ponte delle Spie.

Esiti non scontati anche in campo femminile, ma giustissimi: delle due vincitrici, vedrete, sentiremo ancora parlare.

La giunonica "cantattrice" Brie Larson (Room) è già stata definita "l'anti Jennifer Lawrence" per il suo stile di vita sobrio, tutt'altro che da diva.
In realtà le due - entrambe ex ragazzine prodigio - sembrano essere amiche; ma intanto, al primo confronto, la prima ha battuto la più titolata collega.
Che sia l'inizio di una sana rivalità professionale?

La svedese Alicia Vikander (The Danish Girl) è riuscita a prevalere in una delle categorie più incerte dell'anno, quella della migliore attrice non protagonista

L'attuale fiamma di Michael Fassbender - candidato anche lui, come attore protagonista - si è dovuta scontrare con le più celebri e molto talentuose Jennifer Jason Leigh (The Hateful Eight), Rooney Mara (Carol), Rachel McAdams (Spotlight), Kate Winslet (Steve Jobs. Era la favorita della vigilia, essendo fresca vincitrice del Golden Globe).
Forse, però, ha vinto per il film sbagliato: risulta più convincente nella parte di un robot dotato di sentimenti quasi umani in Ex Machina.

Quest'ultimo è stato realizzato con un budget piuttosto limitato (15 milioni di dollari), ma è riuscito nell'incredibile impresa di battere colossi del calibro di Star Wars-Il Risveglio della Forza (200 milioni), Mad Max: Fury Road (150 milioni), The Revenant (135 milioni) e The Martian (108 milioni) nella categoria dei migliori effetti speciali!

Pronostici della vigilia rispettati invece per Inside Out - dodicesimo titolo Pixar a vincere un Oscar, proprio nell'anno in cui ricorre il trentesimo anniversario della casa di produzione -, Il Figlio di Saul - seconda dell'Ungheria per il film straniero, 34 anni dopo il Mephisto di István Szabó con un maestoso Klaus Maria Brandauer -, Amy - documentario sulla vita di Amy Winehouse già acclamato a Cannes 2015.

Degne di nota, però, anche le categorie cosiddette minori.
Tra i cortometraggi è stato premiato Stutterer, opera prima del giovane irlandese Benjamin Cleary.

Tra i cortometraggi animati,l'interessante Historia de un Oso-Bear Story, atto d'accusa del regime di Augusto Pinochet con protagonisti degli orsi. È la prima pellicola del Cile a vincere un Academy Award.

Tra i cortometraggi documentari, di forte significato è l'affermazione di Sharmeen Obaid-Chinoy con A Girl In The River: The Price Of Forgiveness: per la regista/attivista/giornalista pachistana - da sempre impegnata nel denunciare la condizione delle donne nel proprio Paese - è il secondo Oscar, dopo quello ottenuto per Saving Face nel 2012.

Tutto sommato, questa edizione 2016 ha messo in luce i talenti individuali - Morricone, DiCaprio, Brie Larson, Alicia Vikander, Rylance, Iñárritu, Lubezki, George Miller... - mettendo in secondo piano i film in sé.
Il che non è proprio il massimo per chi vive di cinema.

L'Academy - ancora scossa dalle polemiche innescate soprattutto dagli attori afroamericani per la mancanza per il secondo anno consecutivo di candidati di pelle scura nelle categorie recitative - è stata più titubante che mai nell'assegnare i premi alle pellicole: la paura di accendere ulteriori proteste ha partorito verdetti che hanno cercato di non scontentare nessuno.

Ma questa mancanza di coraggio, ripetuta già da anni, rischia di minarne credibilità e autorevolezza.

A tutto vantaggio dei "rivali" Golden Globe, i cui giurati sembrano avere le idee più precise ed essere più attenti ai gusti e al mercato internazionali (i riconoscimenti vengono decisi pur sempre da giornalisti della stampa estera).
O forse hanno dimostrato solo più furbizia.

Il problema della rappresentatività in seno all'Academy, comunque, è reale, e una profonda riforma in tal senso è auspicabile.

Premi Oscar, tornate a farci sognare!

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