martedì 24 maggio 2016

CANNES 2016. QUALCOSA E' ANDATO STORTO

Dall'alto: Ken Loach esulta per la Palma d'Oro assegnata a I, Daniel Blake; i due registi premiati ex aequo, Olivier Assayas (a sinistra) e Cristian Mungiu (a destra), rispettivamente per Personal Shopper e Bacalaureat; una raggiante Andrea Arnold con il Premio della Giuria ottenuto da American Honey


Scorrendo il programma di questo 69° Festival di Cannes, si potevano avere non poche aspettative.
Il Presidente Gilles Jacob e il Direttore Artistico Thierry Frémaux erano riusciti a ottenere dei titoli di rilievo, non pochi autori di fama e qualche divo di richiamo.

Sembrava l'occasione propizia per ridare slancio ai grandi eventi cinematografici in declino (vedere il nostro post di commento), invece qualcosa è andato storto.
Il problema, come troppo spesso è capitato in questi anni, è l'assegnazione dei premi.

La Giuria guidata dall'australiano George Miller (il visionario autore di Mad Max: Fury Road, vincitore morale degli ultimi Oscar) non ha fatto scelte imperdonabili, ma la sensazione è che avrebbe potuto osare di più.

Nulla da eccepire sulla Palma d'Oro a Ken Loach: coadiuvato come sempre dal fido Paul Laverty (avvocato progressista con l'hobby della sceneggiatura), l'anziano cineasta inglese ha conquistato il premio più ambito con I, Daniel Blake, storia di un uomo vittima della burocrazia ed ennesimo capitolo di una carriera tutta dedicata all'impegno civile.

Semmai fanno storcere il naso le assegnazioni delle altre categorie, a partire dalla miglior regia andata ex aequo (e basta con questo cerchiobottismo!) al rumeno Cristian Mungiu e al francese Olivier Assayas.

Un contentino ai padroni di casa? Il sospetto c'è - ed è più di un sospetto, quasi una regola non scritta.
Se poi il premiato è un'ex critico dei Cahiers du cinéma, idolo in patria e abitué del Festival...

Per quel che riguarda l'altro cineasta gratificato, beh non possiamo certo parlare di novità: il suo 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni gli valse la Palma d'Oro nel 2007, il successivo Racconti dell'Età dell'Oro (2009) era stato presentato nella sezione Un Certain Regard, mentre nel 2012 Oltre le Colline aveva ottenuto due riconoscimenti (per la sceneggiatura allo stesso Mungiu e a pari merito alle due attrici protagoniste).

Anche il canadese (francofono) Xavier Dolan è avezzo alla Croisette, essendo stato premiato due anni fa e avendo fatto parte della Giuria lo scorso anno.
Gli si poteva negare un riconoscimento? Ecco servito il Grand Prix.

Addirittura doppio premio a Forushande-The Salesman dell'iraniano Asghar Farhadi, autore di Una Separazione che nel 2012 aveva vinto sia il Golden Globe sia l'Oscar.
Miglior sceneggiatura e miglior attore (Shahab Hosseini): troppa grazia.

Infine, miglior attrice la filippina Jaclyn Jose - lasciamole il beneficio del dubbio, ma onorare i film asiatici ai festival fa sempre figo - e Premio della Giuria ad American Honey di Andrea Arnold.
In trasferta Oltreoceano, la regista inglese di Cime Tempestose (alla cui anteprima eravamo presenti anche noi, ricordate?) ha diretto una delle pellicole che ha convinto di più, ma si è dovuta accontentare di un riconoscimento minore.

Sono rimasti fuori gli americani Jeff Nichols (di cui avevamo apprezzato assai i precedenti Take Shelter e Mud) e Sean Penn (l'attore di The Tree of Life non è piaciuto - eufemisticamente - come regista di The Last Face), ma i due non erano molto accreditati per un posto nel palmarès.

Maggiori possibilità aveva, alla vigilia, il connazionale Jim Jarmusch: il suo Paterson ha ricevuto molti apprezzamenti, così come l'interpretazione del suo protagonista, Adam Driver (per i più, il Kylo Ren di Star Wars-Il Risveglio della Forza; per i cinefili, il vincitore della Coppa Volpi a Venezia 2014).

A bocca asciutta anche dei pezzi grossi del calibro dei belgi fratelli Dardenne - in passato, due Palme d'Oro (Rosetta del 1999 e L'Enfant nel 2005), un premio per la sceneggiatura nel 2008 (Il Matrimonio di Lorna) e un Grand Prix Speciale della Giuria nel 2011 (per Il Ragazzo con la Bicicletta) - e dello spagnolo Pedro Almodóvar - il suo Julieta, già proiettato in patria, è stato un flop.

Qualche considerazione a parte meritano due autori "scandalosi".

Paul Verhoeven è ricordato per pellicole cult quali RoboCop (1987), Atto di Forza (1990), Basic Instinct (1992), Starship Troopers (1997).
Sulla Croisette ha portato Elle, una storia di sesso-e-violenza che però ha messo in mostra più il talento recitativo della solita ottima Isabelle Huppert che le sue capacità registiche.
Ci aspettiamo di meglio da lui, in futuro.

Idem per Nicolas Winding Refn: del cineasta danese avevamo apprezzato Bronson (2008) e soprattutto Drive (2011).
Dopo il deludente Only God Forgives (in concorso a Cannes 2013) speravamo si richiappasse un po' con The Neon Demon.
Macché...

Alla vigilia della consegna dei premi molti davano per vincente un'opera che inizialmente era stata selezionata nella sezione Un Certain Regard, salvo poi essere ammessa all'ultimo nella selezione ufficiale: Toni Erdmann, farsa diretta dalla tedesca Maren Ade.

È lei la vincitrice morale di questa edizione: peccato che la Giuria non abbia avuto il coraggio di premiare il doppio genere - quello della commedia e quello femminile, così inspiegabilmente poco rappresentati nelle premiazioni cinematografiche.

L'impressione finale è che di Cannes 2016, in fondo, rimarranno troppo presto dei ricordi sbiaditi.

Tutt'al più ci si rammenterà di opere fuori concorso o in sezioni secondarie: Il Gigante Gentile di Steven Spielberg con Mark Rylance, The Nice Guys di Shane Black con la coppia Russell Crowe-Ryan Gosling, Café Society di Woody Allen con Kristen Stewart e Jesse Eisenberg, Money Monster di Jodie Foster con George Clooney, Julia Roberts e Jack O'Connell, Captain Fantastic di Matt Ross con Viggo Mortensen, il cartone animato La Tartaruga Rossa, il documentario Gimme Danger di Jim Jarmusch e non molti altri.

Viste le premesse, un po' poco.
Quel dommage...




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