domenica 15 maggio 2016

I DOC: KURT COBAIN-MONTAGE OF HECK, IL CIELO SOPRA SEATTLE

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2015
132'
Regia: Brett Morgen
Con: Kurt Cobain, Courtney Love, Krist Novoselic.


L'infanzia, il divorzio dei genitori, i problemi comportamentali, l'isolamento impostogli e impostosi dalla famiglia, la droga, la musica, gli esordi con il suo gruppo, il successo planetario, il matrimonio, la paternità, la tossicodipendenza, l'abisso, il suicidio a soli 27 anni.

È un pugno nello stomaco Montage of Heck (che può essere tradotto, più o meno, come "Collage del cavolo"), video-biografia autorizzata dai famigliari più stretti - figlia (che l'ha anche prodotta), vedova (la cantante Courtney Love), sorella, genitori - dell'ultima vera icona del rock.

Insieme a Bradley Nowell dei Sublime (a proposito, quando un documentario su di lui?), Kurt Cobain è stato il cantautore americano più famoso ed influente degli Anni 90 e oltre: un artista completo, capace di alternare furiosi inni punk a struggenti ballate intimiste.

Il regista Brett Morgen ha potuto attingere a piene mani ad un vasto archivio fatti di filmini amatoriali, registrazioni audio, demo, filmati di esibizioni dal vivo, appunti, quaderni, bozze, fotografie, ritagli di giornale.

Unito il tutto - anche con begli inserti a cartoni animati - con il mastice della musica dei Nirvana, il risultato è un documentario che molto indugia sul vissuto privato di Cobain e poco sul Cobain pubblico.

Così, l'immagine un po' artefatta e "commerciale" del trascinante, irriverente cantante bello-e-dannato lascia il posto a quella dell'artista delicato e sensibile, dell'uomo fragile e insicuro, introverso [I'm on my time with everyone / I have very bad posture. Cioè: Sto per i fatti miei con chiunque / Ho veramente una brutta postura. Pennyroyal Tea], tormentato, depresso, sull'orlo dell'esaurimento nervoso, travolto da un successo da lui fortemente cercato ma al quale non era pronto.

Got some rope / Haven't told / Promise you / Have been true / Let me take a ride / Cut yourself / Want some help / Please myself.
[Ho un po' di corda / Non te lo avevo detto? / Ti prometto / che era vero / Fammi fare un giro / Fatti dei tagli / Voglio un po' di aiuto / Per piacere a me stesso. Polly]

In fondo è la storia di un'autodistruzione inevitabile, iniziata con la traumatica separazione dei genitori quando lui era ancora un bambino e amplificata successivamente dal tritacarne mediatico.

Throw down your umbilical noose so I can climb right back.
[Butta giù il tuo cordone ombelicale affinché possa arrampicarmi e tornare indietro. Heart-Shaped Box]

I tried hard to have a father / But instead I had a dad / I just want you to know that I /Don't hate you anymore / There is nothing I could say / That I haven't thought before.
[Ho cercato fortemente di avere un padre / Ma invece ho avuto un papà / Voglio solo farti sapere che io / Non ti odio più / Non c'è niente che io possa dire / Che non ti abbia già detto prima. Serve the Servants]

Ma è anche una catartica seduta psicanalitica per chi lo ha conosciuto bene, una testimonianza dura e sincera - e senza troppi compromessi - di una vita eccessiva.

Una vita nella quale Kurt si è sentito respinto dalle persone che più lo conoscevano e idolatrato da milioni di persone che invece non lo conoscevano ma che lo consideravano come il proprio cantore, il proprio modello, il proprio mito: che tragica ironia.

Siamo lontani, quindi, dalla scarica elettrizzante di Stop Making Sense, rutilante resoconto firmato Jonathan Demme di un concerto dei Talking Heads di David Byrne.

E anche dalla cronaca nostalgica e un po' celebrativa di Pearl Jam Twenty, il documentario dedicato alla band di Eddie Vedder che, a differenza dei Nirvana, è riuscita ad arrivare gagliardamente ai giorni nostri dopo essere emersa dal fenomeno grunge.

Siamo piuttosto dalle parti di Il Futuro Non è Scritto di Julian Temple, omaggio ad un altro gigante della musica troppo presto scomparso: il leader dei Clash, Joe Strummer.

Ma il tono appare meno epico, più cupo: non è casuale il fatto che - fra tutte le canzoni dei Nirvana - come tema musicale più ricorrente sia stato scelto quello tratto da All Apologies, dal testo assai significativo:

What else should I be? All apologies. / What else could I say? Everyone is gay. / What else could I write? I don't have the right.
[Cos'altro dovrei essere? Tutte scuse. / Cos'altro dovrei dire? Tutti sono felici. / Cos'altro dovrei scrivere? Non ne ho il diritto.]

Ed è come se il racconto - oltre all'argomento già piuttosto tragico - avesse anche subito l'influenza del plumbeo cielo dello Stato di Washington (Nord Ovest degli Stati Uniti, sul Pacifico, al confine con il Canada), sotto il quale è iniziata (ad Aberdeen) e finita (a Seattle) l'esistenza terrena di Kurt Cobain.

E sotto il quale si era consumata più di quarant'anni prima la tragedia dell'attrice Frances Farmer, diffamata, arrestata, internata in un ospedale psichiatrico e infine lobotomizzata.
In lei Cobain si era immedesimato: anche lui irrequieto, anche lui calunniato, anche lui imploso a causa di fama e ricchezza, anche lui divenuto tossicodipendente.

Aveva dato il suo nome alla sua unica figlia e le aveva dedicato una canzone - che contiene anche il suo grido di aiuto verso il mondo:

I miss the comfort in being sad.
[Mi manca il conforto di essere triste. Frances Farmer Will Have Her Revenge On Seattle]

Sì, dopo la morte di Kurt Cobain il cielo sopra Seattle resterà sempre grigio.

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