domenica 8 marzo 2020

OSCAR 2020. PARASITE, L'OSCAR AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Corea del Sud, 2019
132'
Regia: Bong Joon-ho
Interpreti: Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Park So-dam, Lee Jung-eun, Jang Hye-jin.


Corea del Sud, oggi.
La famiglia Kim - padre, madre, due figli grandi - vive al di sotto della soglia di povertà e pure al di sotto della soglia stradale, in uno squallido seminterrato.

Con uno stratagemma, il figlio maggiore riesce a farsi assumere dalla ricca famiglia Park, anch'essa composta da due genitori e due figli.

Uno alla volta, tutti i Kim riescono a "infiltrarsi" nella villa come dipendenti, inventandosi false identità e fingendosi non imparentati tra loro.

La truffa funziona per un po', ma un'inaspettata scoperta rischia di minare la loro copertura...






Prima la Palma d'Oro al Festival di Cannes dello scorso anno.
Quindi il Golden Globe come miglior film straniero.
Infine, inaspettatamente, il trionfo alla Notte degli Oscar.

Con Parasite, Bong Joon-ho ha sbaragliato la concorrenza - ossia 1917 di Sam Mendes e C'era una Volta... a Hollywood di Quentin Tarantino - conquistando 4 statuette "pesanti", tutte finite nelle sue mani: miglior film internazionale, miglior sceneggiatura originale, miglior regia e, soprattutto, miglior film.

Troppa grazia?
Forse sì, ma non per forza.

Questo paffuto cineasta coreano dai capelli sempre arruffati ha realizzato un'opera non convenzionale e complessa, da "leggere" tra le righe, capace di miscelare più generi senza cambiare mai tono.

Commedia nera, tragedia sociale, thriller: il film attraversa queste fasi con disinvoltura e un certo distacco critico tipicamente asiatico.

In questo drammatico spaccato della Corea odierna (ma l'Occidente è tanto diverso?), lo sguardo del regista è quello di un freddo entomologo, non di un filosofo umanista.






All'interno di una confezione impeccabile - la scenografia è particolarmente apprezzabile - troviamo una velenosa satira dell'influenza culturale anglosassone in Asia (il ragazzo che si finge insegnante di inglese per elevarsi socialmente, il bambino con la fissa dei Pellerossa) e, più evidentemente, un'impietosa analisi della situazione economica del paese.

Il profondo gap tra la povertà disperata dei Kim e il benessere snobistico dei Park è metaforicamente esemplificato da una ricorrente dicotomia basso/alto che pare presa di peso dagli horror di George A. Romero, in particolare da Il Giorno degli Zombi e La Terra dei Morti Viventi.

Da una parte il seminterrato dei primi e il bunker sotterraneo, dall'altro la spaziosa villa dei secondi: il sottosuolo contro la superficie, l'handicap contro il privilegio, l'ineluttabile realtà contro il sogno proibito.

Che cosa si può rimproverare a Parasite?
Qualche eccesso di troppo, il sotteso moralismo cinico e il fatto di essere nel complesso una "pellicola da festival" (può starci premiarla a una kermesse come quella francese, ma era necessario fargli vincere l'Oscar?).

I film di Mendes e Tarantino non avrebbero demeritato al suo posto, ma crediamo che l'Academy abbia voluto mandare un segnale a Hollywood, da sempre abituata a incensare solo opere anglofone.

I tempi sono maturi per allargare ulteriormente la rinomata competizione a opere provenienti dall'estero.
In questo senso, Parasite ha fatto da apripista.

Chissà se domani altre pellicole "nascoste" riusciranno, partendo dal sottosuolo artistico cui vengono spesso confinate, a risalire fino alla superficie del cinema che conta.




Etichette: , , , , , , , , ,

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page