domenica 16 febbraio 2020

OSCAR 2020. UN "PARASSITA" CONTAMINA HOLLYWOOD

Dall'alto: è amore tra 2 dei 4 Oscar vinti da Parasite; Renéè Zellweger (miglior attrice protagonista) in mezzo a Joaquin Phoenix e Brad Pitt (miglior attore protagonista e non); Laura Dern premiata come non protagonista.


Incredibile!
Per la prima volta nella storia, una pellicola in lingua non inglese si è aggiudicata l'Oscar come miglior film.

Parasite ha trionfato senza se e senza ma, accaparrandosi altre 3 statuette "pesanti": miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior film internazionale (in buona sostanza, gli è riuscito ciò che l'anno scorso non riuscì a Roma di Cuarón).

Si tratta di una delle poche vittorie nette dell'ultimo decennio: ad eccezione di questa e di quelle di The Artist (2012), Birdman (2015), The Shape of Water (2018), l'Academy ultimamente ha cercato di accontentare un po' tutti, attirandosi più di un sospetto di cerchiobottismo e di soverchio politically correct.

Dopo la Palma d'Oro allo scorso Festival di Cannes, è stato un cammino inesorabile quello intrapreso da Bong Joon-Ho, paffuto cineasta coreano che vanta Tarantino tra i suoi più appassionati estimatori.

Già, Quentin.
Il suo C'era una Volta...a Hollywood è stato uno dei principali sconfitti della serata, andando a segno "solo" con la scenografia e con Brad Pitt, strameritato miglior non protagonista (è il suo 2° Oscar: il primo lo ottenne nel 2014 in quanto produttore di 12 Anni Schiavo).






A proposito di attori, i pronostici sono stati confermati, replicando l'assegnazione dei Golden Globe.
Oltre a Pitt, sono stati incensati Joaquin Phoenix (a furor di popolo per Joker, già Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia), Renée Zellweger (Judy) e Laura Dern (Storia di un Matrimonio).

Meno scontati i premi tecnici, specie quello per gli effetti speciali andato a 1917.
Il war movie diretto da Sam Mandes è stato l'altro grande perdente, avendo ottenuto riconoscimenti solo in queste categorie (a proposito: meritatissimo quello alla fotografia di Roger Deakins).

La feroce polemica tra cinema d'autore e blockbuster innescata da Martin Scorsese contro la Marvel si è risolta di fatto a favore della seconda: The Irishman è rimasto a secco, mentre Taika Waititi - già regista di Thor: Ragnarok - si è portato a casa l'Oscar per la miglior sceneggiatura non originale con la sua commedia satirica Jojo Rabbit.

Il cineasta neozelandese - il primo di etnia maori a vincere una statuetta - ha battuto tra gli altri Greta Gerwig, attrice/regista che non pare riscuotere molte simpatie nell'ambiente.

Un po' di gloria è andata anche a Le Mans '66 (con 2 Oscar, benché tecnici, è stata una delle rivelazioni), Piccole Donne e Bombshell, mentre i premi musicali venivano equamente divisi tra Joker (per le musiche dissonanti della violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir) e Rocketman (miglior canzone; è la seconda volta per Elton John, a 25 anni da quella vinta con Il Re Leone).






Dopo l'inaspettata sconfitta di Frozen II ai Golden Globe, la Disney aveva puntato tutto su Toy Story 4.
Scommessa vinta, ma nell'ambito dell'animazione il cartoon che più è piaciuto è stato il delizioso corto Hair Love, diretto dall'ex giocatore di football americano Matthew A. Cherry (naturale che venga subito in mente Dear Basketball del compianto Kobe Bryant).

Hanno vinto anche i coniugi Obama, al loro esordio cinematografico.
American Factory, documentario su una fabbrica di vetro cinese nell'Ohio, porta la loro firma come produttori.

Ma di questa Notte degli Oscar rimarrà soprattutto il cortocircuito dello star system: tra i candidati c'erano molti Wasp, pochi afroamericani e poche donne.
Eppure a trionfare è stato un regista asiatico con un film girato in Corea, con attori coreani che recitano - ovviamente - in lingua coreana.

Prepariamoci ad una Hollywood sempre più variegata: la vittoria di Parasite ha finalmente aperto gli Oscar al mondo.

Speriamo che in un futuro la categoria "miglior film internazionale/straniero" scompaia definitivamente, facendo concorrere alla pari film USA e produzioni di paesi non anglofoni, come succede già nei festival più importanti.

Se le cose andranno davvero per questo verso, solo il tempo ce lo potrà dire.




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