(Clicca sulla locandina per vedere il trailer).
USA, 2020
130'
Regia: Aaron Sorkin
Con: Sacha Baron Cohen, Eddie Redmayne, Mark Rylance, Joseph Gordon-Levitt, Frank Langella, Yahya Abdul-Mateen II, John Carroll Lynch, Michael Keaton.
Chicago, estate 1968.
Un gruppo di attivisti dei diritti civili, tra cui Abbie Hoffman (Baron Cohen) e Tom Hayden (Redmayne), parteciparono ad una manifestazione contro la guerra nel Vietnam che sfociò in uno scontro tra i manifestanti e la Guardia Nazionale.
Cinque mesi dopo, 7 (+1) di loro vennero arrestati con le accuse di cospirazione e incitamento alla sommossa.
Il processo che ne seguì ottenne un'ampia eco mediatica ed ebbe un forte impatto sull'opinione pubblica.
Chi è Aaron Sorkin?
Per molti è uno sceneggiatore di lungo corso che vinse l'Oscar un decennio or sono grazie a The Social Network di David Fincher (sì, proprio l'autore di Se7en e Mank).
Non tutti sanno però che questo ex drammaturgo di mezza età è pure un valido regista.
Dopo l'esordio dietro la cinepresa nel 2017 con Molly's Game (protagonista l'affascinante Jessica Chastain), il nostro ha firmato la propria opera seconda, che in tanti avevano dato tra le favorite nella corsa a Golden Globe e Oscar.
Sappiamo com'è finita: dopo il Globo per la miglior sceneggiatura, tutte e 6 le nomination per gli Academy Awards sono andate a vuoto.
Peccato: nonostante qualche difetto, Il Processo ai Chicago 7 è una pellicola che merita almeno una visione.
La forza principale di questo legal drama risiede nella sua attualità: racconta un episodio degli anni 60, ma chiaramente parla dell'America di oggi.
Difficile non vedere un parallelo - benché ideologicamente agli antipodi - tra i Chiacago 7 di allora e i Proud Boys di oggi.
Chiariamo: non c'è alcuna volontà di concedere pari dignità ai due movimenti o di giustificare le azioni dei facinorosi che, aizzati da Donald Trump, a inizio anno hanno assaltato Capitol Hill tentando - e fallendo - un colpo di stato.
Anzi, Sorkin non nasconde la propria fede democratica e strizza l'occhio anche a Black Lives Matter.
In definitiva, la sua tesi è: gli Stati Uniti hanno sempre avuto una storia violenta, anche recente, di insurrezioni civili e sociali, però c'è protesta e protesta.
A fare la differenza non è da quale parte della barricata si combatte (quella del popolo o quella delle istituzioni), ma per quale causa, per quale ideale.
Il regista esponde questo pensiero per mezzo di numerose libertà storiche e licenze artistiche che gli hanno attirato diverse critiche (e probabilmente precluso la conquista di una statuetta).
Si tratta tuttavia di un film, non di un documentario.
Come ha detto lo stesso Sorkin in un'intervista: "I personaggi non sono impersonificati, sono interpretati".
E se a farlo è un cast di grande caratura, allora c'è di che accontantarsi.
Si noti che molti dei protagonisti, pur recitando il ruolo di Americani, sono in effetti di nazionalità britannica!
Mark Rylance (già premio Oscar per Il Ponte delle Spie e visto successivamente nel sottovalutatissimo Ready Player One), Eddie Redmayne (anch'egli oscarizzato grazie a La Teoria del Tutto e poi protagonista della serie Animali Fantastici) e Sacha Baron Cohen (che proprio con Redmayne aveva condiviso il set di Les Misérables) sono straordinariamente credibili ed efficiaci.
Proprio quest'ultimo svetta su tutti: in uno dei suoi rari ruoli seri, il comico inglese ha dovuto recitare con un accento yankee per interpretare Abbie Hoffman, un nativo del Massachusetts trapiantato in California.
C'è riuscito così bene da essere stato candidato agli Academy Awards come miglior attore non protagonista.
Come purtroppo sappiamo, la sua nomination - così come quella per la miglior sceneggiatura non originale, ottenuta grazie a Borat 2
- è rimasta tale.
Senza nulla togliere a Daniel Kaluuya (il protagonista di Scappa-Get Out è stato premiato al suo posto per Judas and the Black Messiah, un altro biopic ambientato più o meno nello stesso periodo storico), Sacha non avrebbe affatto demeritato.
Nei ruoli di contorno, tra il giovane Joseph Gordon-Levitt (lo ricordate in Inception e Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno?) e l'anziano Frank Langella (grande attore di formazione teatrale, specializzato in ruoli di cattivo), emerge - tanto per cambiare! - Michael Keaton.
Come sappiamo, l'ex Batman (a proposito: è di questi giorni la clamorosa conferma che rivestirà i panni dell'Uomo Pipistrello nel film "solista" di Flash della Justice League!) sta vivendo negli ultimi anni una seconda giovinezza artistica, iniziata col plurioscarizzato Birdman.
Qui fa poco più di una comparsa, ma la sua performance ricorda da vicino quella - ottima - di un altro recente lungometraggio di impegno civile, Il Caso Spotlight.
Con uno script forse più consono al palcoscenico che al grande/piccolo schermo, Il Processo ai Chicago 7 resta una pellicola da vedere, su cui riflettere e di cui discutere.
Anche senza il blasone portato dagli Oscar.
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