venerdì 10 aprile 2015

MICHAEL KEATON. BIRDMAN, KEATON E IÑÁRRITU VOLANO ALTO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 2014
119'
Regia: Alejandro González Iñárritu
Interpreti: Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Martin Scorsese.


Tu sei Riggan Thompson: pensi che sia facile reinventarsi una carriera? Da più di vent'anni sei per tutti Birdman, il protagonista di una saga campione d'incassi.
Che cosa ti spinge a cimentarti in una trasposizione teatrale del racconto di Raymond Carver What We Talk About (When We Talk About Love) ["Di che cosa parliamo (quando parliamo d'amore)"], se non riesci a scrollarti di dosso la tentazione di tornare al successo di una volta riprendendo il personaggio che ti ha dato la fama?

Perché ti sei ridotto a stare in camerini maleodoranti, ad avere a che fare con attori vanesi pieni di fisime, con una figlia tossicodipendente che non riesce a disintossicarsi, con critici prevenuti che pregustano la tua caduta, con gente che non ti capisce?
Tu sei una star cinematografica, non appartieni al mondo spocchioso del teatro: vuoi rischiare che Broadway ti massacri e ti faccia sprofondare nell'abisso dell'oblio e del fallimento o preferisci rinunciare alle tue ambizioni e tornare a risplendere a Hollywood?

Un ex-attore di film supereroistici che cerca di riproporsi come interprete e autore serio: chi se non Michael Keaton - il Batman per antonomasia - poteva impersonarlo?
E chi poteva altrimenti farlo in modo così magistrale?

Birdman, inizialmente snobbato a Venezia 2014, è diventato il film dell'anno grazie a 4 Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura originale e fotografia), 2 Golden Globe (miglior attore protagonista, sceneggiatura) e innumerevoli altri premi raccolti in giro per il mondo.
È mancata però la statuetta a Keaton: al suo posto è stato scelto Eddie Redmayne per La Teoria del Tutto.

Una svista imperdonabile per l'Academy: Michael è il motore e l'anima della pellicola, il vero motivo del suo successo.
Mai così bravo, il nostro si è calato in un personaggio che - ipse dixit - è il più lontano possibile da se stesso ("il ruolo più impegnativo della mia carriera", ha detto in un'intervista).
Una scommessa vinta: il trionfatore morale di quest'ultima edizione degli Academy Awards è lui, senza alcun dubbio.

Ma se Birdman è diventato, un po' a sorpresa, il film dell'anno, il merito è anche di Alejandro G. Iñárritu, del resto del cast e dei contributi tecnici.

L'autore di 21 Grammi si è preso una bella soddisfazione, portandosi a casa 3 statuette su 4: miglior film (in qualità di co-produttore), miglior regia (è il secondo messicano consecutivo a emergere in questa categoria, dopo Alfonso Cuarón con Gravity) e miglior sceneggiatura.
Alla faccia di quelli che, dopo la traumatica separazione artistica con lo scrittore e amico Guillermo Arriaga, suo collaboratore da Amores Perros a Babel, lo davano per finito (a cominciare dallo stesso Arriaga).

Iñárritu si è assicurato il miglior direttore di fotografia sulla piazza - Emmanuel Lubezki, messicano anch'egli e artigiano caro a Terrence Malick (vedi The Tree of Life e To The Wonder) - e ha girato Birdman come un unico piano sequenza.
Si tratta in realtà di un insieme di scene nelle quali gli stacchi sono abilmente nascosti (ma noi ne abbiamo scoperti almeno un paio visibili): una prova di precisione e perizia artistica che non ha lasciato indifferenti i professionisti del mestiere.

Risultato: un'azione che viene resa fluida da un montaggio che non sembra neppure un montaggio tanto è ben camuffato, e che catapulta lo spettatore in scena assieme ai protagonisti e lo trascina nel ritmo del film, imprevedibile come un'improvvisazione jazzistica (non è un caso che la colonna sonora sia costituita da assoli di batteria degni di Whiplash).

Una tecnica virtuosistica che riporta sicuramente a Nodo alla Gola del maestro inglese Alfred Hitchcock - la prima pellicola di questo tipo - e che ha come predecessore più congruo Running Time, misconosciuto ma interessante B movie del 1997 con Bruce Campbell (chissà, forse un giorno ve lo proporremo nella sezione GLI INEDITI).

Ma l'alta qualità formale non è il solo fiore all'occhiello di Birdman: lo straordinario Michael Keaton è circondato da uno stuolo di comprimari da leccarsi i baffi.
Tra Edward Norton che gioca coi propri tic e manie (ha fama di essere insopportabilmente pedante) e Naomi Watts che si concede una piccante autocitazione (da Mulholland Drive di David Lynch), spiccano Emma Stone e Zach Galifianakis in personaggi lontani anni luce da quelli rispettivamente impersonati in Magic in the Moonlight e Una Notte da Leoni.

E occhio a Martin Scorsese: compare per un attimo tra la folla quando Riggan/Keaton attraversa Times Square in mutande, una delle scene più divertenti e dinamicamente coinvolgenti del film.
Il grande autore italoamericano è inoltre esplicitamente tirato in ballo nei dialoghi, e non è l'unico: nel corso della pellicola si fanno spesso nomi e cognomi di attori e registi davvero esistenti, non senza una dissacrante ironia.

Il mondo dello spettacolo e ciò che gli gravita attorno non ne esce benissimo: attori dissociati da una vita normale megalomani ed egocentrici, critici snob, agenti senza scrupoli, fan superficiali che incatenano i loro idoli in cliché ripetuti all'infinito.
Il tutto all'interno e nei pressi di un teatro di Broadway che esiste davvero: l'onusto di gloria St.James Theater al numero 246 della 44a Ovest, tra la 7th e l'8th Avenue.

D'altra parte, in questo contesto di verosimiglianza, Iñárritu ha innestato inaspettati elementi fantastici: da buon latino-americano, il cineasta messicano ha realizzato una storia che ha molto di quel realismo magico che caratterizza le migliori opere di Gabriel García Márquez, Jorge Luis Borges, Luis Sepúlveda, ma anche di William Faulkner e dei nostri Dino Buzzati, Italo Calvino, Gianni Rodari.

In definitiva, ci troviamo di fronte a un'opera che parla a nuora perché suocera intenda: la vicenda è ambientata nel mondo del teatro, ma è di cinema che si tratta.
Broadway diventa dunque lo specchio di Hollywood, così come la storia di Riggan Thompson rieccheggia quella del suo interprete.

Ma tu sei Michael Keaton: non hai bisogno di un Oscar.
La tua carriera è appena ricominciata.

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