giovedì 22 settembre 2022

I CLASSICI: FINO ALL'ULTIMO RESPIRO, IL CINEMA DESTRUTTURATO E RIVOLUZIONARIO DI GODARD

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Francia, 1960
90'
Regia: Jean-Luc Godard
Con: Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Jean-Pierre Melville, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard.


Ladruncolo da strapazzo, Michel Poiccard (Belmondo) ruba un'auto.
Fermato per eccesso di velocità da un poliziotto, uccide questo e si dà alla fuga.

Braccato dalle forze dell'ordine, rintraccia una ragazza americana di cui è innamorato (Seberg) e pianifica di fuggire con lei in Italia...


Poche pellicole hanno cambiato le regole del "gioco" cinematografico come quella che vi stiamo recensendo.
Pochi registi hanno saputo osare come Jean-Luc Godard.

Fino all'Ultimo Respiro è stato il film-manifesto della Nouvelle Vague, il movimento artistico, politico e culturale francese che tra gli anni 50-60 rivoluzionò il modo di intendere la settima arte.

Ne facevano parte alcuni giovani cineasti in erba, molti dei quali provenienti dalla critica giornalistica dei Cahiers du Cinéma, la più prestigiosa rivista cinematografica francese (e probabilmente mondiale).

Tra questi proprio Jean-Luc, che esordì con questo lungometraggio riscrivendo e mettendo in immagini una storia ideata dai suoi colleghi e amici François Truffault e Claude Chabrol, che a loro volta sarebbero diventati auteurs affermati e rispettati.

Più che per l'esile trama, il film è ricordato per lo stile innovativo e non convenzionale: è una dichiarazione di superiorità della forma sulla sostanza, del Segno sul Senso.
Famoso soprattutto il montaggio "a salti", che conferisce un ritmo nervoso e serrato.

Fu il collega Jean-Pierre Melville - il maestro del gangster movie transalpino - a suggerire questa tecnica quando Godard si mostrò combattuto su quali scene tagliare per ridurre la durata della pellicola.
Perché rinunciare a intere sequenze quando si possono semplicemente eliminare qua e là tanti piccoli frammenti privi di dialoghi e movimento? Detto fatto.

Ci sono almeno 3 momenti memorabili: l'inizio, in cui Godard - giocando col montaggio - si diverte a "ingannare" le percezioni degli spettatori (vi siete mai accorti che lo sguardo del protagonista è rivolto dalla parte sbagliata rispetto all'azione?); l'omicidio del poliziotto, suggerito anziché mostrato; l'epilogo, tragico ma non serio.

Che dire poi dei due attori principali?
Se da un lato la Seberg è più che adeguata al ruolo, dall'altro Belmondo è prefetto.
Imitando sfacciatamente Humphrey Bogart, verrà a sua volta imitato fino alla nausea (un probabile esempio? Joe Strummer nel pulp-western post-moderno Straight to Hell).

Jean-Luc Godard verrà ricordato come un vero artista, idolatrato da gente come Quentin Tarantino (che ha chiamato la propria casa di produzione A Band Apart, gioco di parole con Bande à Part, un altro celebre lungometraggio del cineasta francese) e capace di mettersi in gioco fino all'ultimo, come dimostra la Palma d'Oro speciale vinta a Cannes 2018.

Fino all'Ultimo Respiro è invece già passato alla storia.
Non solo come un esperimento ambizioso e riuscito, ma come un autentico capolavoro del cinema.


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