mercoledì 14 settembre 2022

VENEZIA 2022. I VINCITORI AL LIDO (CON VISTA SU HOLLYWOOD)

Dall'alto: la regista Laura Poitras (a destra) con la fotografa e attivista Nan Goldin, protagonista del documentario vincitore del Leone d'Oro, All the Beauty and the Bloodshed; Luca Guadagnino con il Leone d'Argento per la migliore regia; Cate Blanchett con la Coppa Volpi per la migliore attrice; Martin McDonagh con il premio per la migliore sceneggiatura. 



Leone d'oro al miglior film: All the Beauty and the Bloodshed, regia di Laura Poitras
Leone d'argento - Gran premio della giuria: Saint-Omer, regia di Alice Diop
Leone d'argento per la miglior regia: Luca Guadagnino per Bones and All
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Cate Blanchett per Tár
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Colin Farrell per Gli spiriti dell'isola (The Banshees of Inisherin)
Premio Osella per la migliore sceneggiatura: Martin McDonagh per Gli spiriti dell'isola (The Banshees of Inisherin)
Premio speciale della giuria: Gli orsi non esistono (Khers nist), regia di Jafar Panahi
Premio Marcello Mastroianni ad un attore o attrice emergente: Taylor Russell per Bones and All

Questi i responsi della 79a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

Che offrono interessanti spunti di riflessione.

Innanzitutto il feeling che la Mostra di Venezia ha con le opere non di finzione, soprattutto nell'era Barbera.

Molti sono sempre i documentari presenti in cartellone - qualcuno anche "promosso" nella selezione ufficiale, come quest'anno è successo a All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras (già Premio Oscar nel 2015 per Citizenfour, su Edward Snowden).

E proprio questo omaggio alla vita della fotografa e attivista Nan Goldin ha convinto la giuria capitanata da Julianne Moore a tal punto da portarsi a casa il riconoscimento più ambito, quel Leone d'Oro che solo un'altra volta in precedenza era andato ad un documentario (nel 2013 a Sacro GRA del nostro Gianfranco Rosi, che quest'anno invece era fuori concorso con In viaggio, su Papa Francesco).

Chissà se riuscirà a convincere anche i membri dell'Academy Award...

Eh sì, perché dall'altra parte dell'Oceano si guarda sempre con molto interesse alle pellicole presentate come in odore di Oscar e si analizzano le reazioni del pubblico a questo o a quel titolo.

Il palmarès può fornire qualche indicazione per individuare un papabile almeno a qualche nomination, anche se le scelte delle giurie da festival, così eterogenee e cosmopolite, quasi mai coincidono con i gusti dell'Academy.

Ma quest'anno, oltre al Leone d'Oro, consiglieremmo di dare un'occhiata a chi ha vinto le Coppe Volpi: due pesi massimi di Hollywood.

Cate Blanchett ha convinto tutti in Tár di Todd Field e ha sbaragliato un'agguerrita concorrenza, che comprendeva, tra le altre, le acclamate Ana de Armas (nei panni di Marilyn Monroe nel discusso Blonde), la camaleontica Tilda Swinton e - attenzione! - la transgender Trace Lysette.

Colin Farrell, invece, ha vinto una sfida che potrebbe riproporsi al momento degli Oscar: quella col rilanciato Brendan Fraser, irriconoscibile in The Whale di Darren Aronofsky.

Il film per il quale è stato premiato, The Banshees of Inisherin, è uno di quelli che ha maggiormente messo d'accordo critica e pubblico e non dubitiamo del fatto che nei prossimi mesi se ne sentirà ancora parlare.

D'altra parte il regista non è altro che Martin McDonagh, il brillante autore di veri e propri cult quali Six Shooter, In Bruges (anche questo con la coppia Colin Farrell - Brendan Gleeson), 7 Psicopatici e soprattutto Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, che gli valse proprio a Venezia il riconoscimento per la migliore sceneggiatura, bissato quest'anno.

Difficile che in America si guardi con molto interesse ai prestigiosi premi andati pur meritatamente alla giovane franco-senegalese Alice Diop e al cineasta iraniano dissidente e perseguitato Jafar Panahi.

Molto interesse hanno al contrario suscitato quelle pellicole che hanno portato al Lido orde di fan, il non-così-eccezionale Don't worry darling, con il suo stucchevole codazzo di polemiche e gossip che hanno coinvolto a diverso titolo la regista Olivia Wilde e gli attori Harry Styles, Florence Pugh, Chris Pine, Shia LaBeouf, ma soprattutto il molto più lodato Bones and all, con la superstar Timothée Chalamet.

Questa atipica (così definita per non vi spoilerarvi la trama) storia d'amore si è portata a casa due riconoscimenti: la Coppa Mastroianni per la migliore attrice emergente a Taylor Russell (nel passato se l'erano aggiudicata attori del calibro di, in ordine sparso, Jennifer Lawrence, Gael Garcìa Bernal, Diego Luna, Mila Kunis, Tye Sheridan, Charlie Plummer. Che le sia di buon auspicio) e il Leone d'Argento per la migliore regia a Luca Guadagnino.

La precedente collaborazione tra il cineasta siciliano e il protagonista di Dune, Chiamami col tuo nome, aveva portato parecchia notorietà a entrambi ed aveva guadagnato 4 nomination agli Oscar (film, attore protagonista, canzone, sceneggiatura - poi vinta da James Ivory).

Chissà se il successo si ripeterà; ma noi tifiamo comunque per questo regista così poco considerato in patria (si veda la tiepida accoglienza riservata agli altri suoi lavori, Io sono l'amore, A bigger splash, Suspiria, tutti e tre con un'attrice del calibro di Tilda Swinton) quanto apprezzato negli Stati Uniti.

Il premio per la migliore regia è meritato ed è una bella rivincita nei confronti di chi nell'industria e nella critica cinematografica italiana lo ha liquidato con troppa sufficienza e gli ha preferito autori che al di fuori dei confini nazionali solo pochissimi conoscono.

Insomma, anche quest'anno la Mostra di Venezia ha saputo suscitare interesse e curiosità all'estero, ha portato molto pubblico al Lido, ha fatto parlare di sé e dei suoi film, ha creato aspettative, ha cercato di rilanciare un cinema sempre più in crisi.

Il direttore Alberto Barbera ha fatto di nuovo un ottimo lavoro.

E noi non vediamo già l'ora di conoscere il programma della prossima edizione.


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