CANNES 2015. I FRATELLI COEN HANNO SALDATO IL DEBITO (DI RICONOSCENZA)
Dall'alto: Jacques Audiard con la Palma d'Oro vinta per Dheepan; Vincent Lindon, visibilmente commosso, ritira il premio per la migliore interpretazione maschile; Valeria Golino consegna a Hou Hsiao-hsien il riconoscimento per la migliore regia.
Leggendo l'elenco delle pellicole premiate al Festival di Cannes di quest'anno si rimane piuttosto perplessi.
Suscita curiosità la condivisibile premiazione di giovani talenti: nella scorsa edizione si era voluto valorizzare il venticinquenne canadese Xavier Dolan (presente anche in questa occasione, ma nelle vesti di giurato); questa volta è toccato all'esordiente ungherese László Nemes con l'originale tragedia sull'Olocausto Il Figlio di Saul e al messicano Michel Franco con il drammatico Chronic.
Ma sono gli unici raggi di luce di un'edizione dalle molte ombre.
Che dire altrimenti di un Festival che relega quasi tutte le pellicole più interessanti alle categorie fuori concorso e finisce per ignorare le poche perle in competizione?
L'esclusione dei film italiani dal palmarès lascia infatti l'amaro in bocca, anche perché voci di corridoio davano Mia Madre di Nanni Moretti - il rappresentante italiano che aveva ricevuto più plausi da critica e pubblico - sicuro vincitore di almeno un premio.
Ma se persino un contentino come il Prix du Jury è andato al greco The Lobster di Yorgos Lanthimos, tutto lascerebbe pensare che, nonostante la massiccia presenza di film nostrani, questo non fosse proprio l'anno giusto.
Speriamo di rifarci altrove: d'altra parte - lo stesso Paolo Sorrentino lo sa bene - anche La Grande Bellezza nel 2013 era stato snobbato e ha finito poi per trionfare agli Oscar...
Le due superpotenze Stati Uniti (con la Rooney Mara dell'apprezzata storia d'amore lesbo Carol) e Cina (con il premio alla regia attribuito al veterano Hou Hsiao-sien per L'Assassina, che ha fatto incetta di consensi) non sono state invece scontentate, così come i padroni di casa.
Però è stato esagerato premiare tre film francesi su quattro in competizione: solo lo stroncatissimo Marguerite et Julien di Valèrie Donzelli è rimasto escluso.
Infatti La Loi du Marché e Mon Roi possono fregiarsi di aver fatto vincere i riconoscimenti per le migliori interpretazioni ai propri protagonisti, rispettivamente Vincent Lindon - che ha battuto la concorrenza del Michael Caine del sorrentiniano Youth-La Giovinezza che molti già danno in odore di nomination all'Oscar - ed Emmanuelle Bercot.
Quest'ultima aveva già avuto l'onore di aprire il Festival come regista, e premiarla - sebbene ex aequo - anche come attrice ci sembra francamente eccessivo.
Di Jacques Audiard sapevamo già dalla vigilia (vedi il nostro post) che con il suo Dheepan - storia di un ex guerrigliero cingalese interpretato da un attore che è stato veramente un bambino soldato nelle fila delle Tigri Tamil - sarebbe stato uno dei favoriti per la vittoria finale: dopo l'aver conquistato il Grand Prix Speciale della Giuria nel 2009 con Il Profeta ed esser rimasto a mani vuote per Un Sapore di Ruggine ed Ossa (in concorso nel 2012), era ovvio che uno dei pupilli della kermesse dovesse portare a casa qualcosa.
E quel qualcosa è stato niente meno che la Palma d'Oro.
Ora, non vogliamo mettere in dubbio la bontà di queste scelte da parte della giuria capitanata da Joel e Ethan Coen; però la sensazione che rimane è sgradevole, poiché si ha come l'impressione che i riconoscimenti assegnati siano un modo per i due fratelli di saldare un debito di riconoscenza nei confronti della rassegna rivierasca, piuttosto che il frutto di considerazioni legate al merito.
Ricordiamo che la Croisette è sempre stata molto generosa con i due autori americani: da qui sono passati e sono stati acclamati Barton Fink (1991: Palma d'Oro assegnata all'unanimità, miglior regia e miglior attore a John Turturro), Mister Hula Hoop (1994), Fargo (1996: miglior regia), Fratello, Dove Sei? (2000), L'Uomo che non c'era (2001: miglior regia), The Ladykillers (2004: premio per Irma P. Hall come attrice), Non è un Paese per Vecchi (2007) e Inside Llewyn Davis (Grand Prix Speciale della Giuria nel 2013).
Dopo le premiazioni, resta comunque una certezza: la storia d'amore tra i fratelli Coen e Cannes non è certo finita qui.
Se mai finirà...
Leggendo l'elenco delle pellicole premiate al Festival di Cannes di quest'anno si rimane piuttosto perplessi.
Suscita curiosità la condivisibile premiazione di giovani talenti: nella scorsa edizione si era voluto valorizzare il venticinquenne canadese Xavier Dolan (presente anche in questa occasione, ma nelle vesti di giurato); questa volta è toccato all'esordiente ungherese László Nemes con l'originale tragedia sull'Olocausto Il Figlio di Saul e al messicano Michel Franco con il drammatico Chronic.
Ma sono gli unici raggi di luce di un'edizione dalle molte ombre.
Che dire altrimenti di un Festival che relega quasi tutte le pellicole più interessanti alle categorie fuori concorso e finisce per ignorare le poche perle in competizione?
L'esclusione dei film italiani dal palmarès lascia infatti l'amaro in bocca, anche perché voci di corridoio davano Mia Madre di Nanni Moretti - il rappresentante italiano che aveva ricevuto più plausi da critica e pubblico - sicuro vincitore di almeno un premio.
Ma se persino un contentino come il Prix du Jury è andato al greco The Lobster di Yorgos Lanthimos, tutto lascerebbe pensare che, nonostante la massiccia presenza di film nostrani, questo non fosse proprio l'anno giusto.
Speriamo di rifarci altrove: d'altra parte - lo stesso Paolo Sorrentino lo sa bene - anche La Grande Bellezza nel 2013 era stato snobbato e ha finito poi per trionfare agli Oscar...
Le due superpotenze Stati Uniti (con la Rooney Mara dell'apprezzata storia d'amore lesbo Carol) e Cina (con il premio alla regia attribuito al veterano Hou Hsiao-sien per L'Assassina, che ha fatto incetta di consensi) non sono state invece scontentate, così come i padroni di casa.
Però è stato esagerato premiare tre film francesi su quattro in competizione: solo lo stroncatissimo Marguerite et Julien di Valèrie Donzelli è rimasto escluso.
Infatti La Loi du Marché e Mon Roi possono fregiarsi di aver fatto vincere i riconoscimenti per le migliori interpretazioni ai propri protagonisti, rispettivamente Vincent Lindon - che ha battuto la concorrenza del Michael Caine del sorrentiniano Youth-La Giovinezza che molti già danno in odore di nomination all'Oscar - ed Emmanuelle Bercot.
Quest'ultima aveva già avuto l'onore di aprire il Festival come regista, e premiarla - sebbene ex aequo - anche come attrice ci sembra francamente eccessivo.
Di Jacques Audiard sapevamo già dalla vigilia (vedi il nostro post) che con il suo Dheepan - storia di un ex guerrigliero cingalese interpretato da un attore che è stato veramente un bambino soldato nelle fila delle Tigri Tamil - sarebbe stato uno dei favoriti per la vittoria finale: dopo l'aver conquistato il Grand Prix Speciale della Giuria nel 2009 con Il Profeta ed esser rimasto a mani vuote per Un Sapore di Ruggine ed Ossa (in concorso nel 2012), era ovvio che uno dei pupilli della kermesse dovesse portare a casa qualcosa.
E quel qualcosa è stato niente meno che la Palma d'Oro.
Ora, non vogliamo mettere in dubbio la bontà di queste scelte da parte della giuria capitanata da Joel e Ethan Coen; però la sensazione che rimane è sgradevole, poiché si ha come l'impressione che i riconoscimenti assegnati siano un modo per i due fratelli di saldare un debito di riconoscenza nei confronti della rassegna rivierasca, piuttosto che il frutto di considerazioni legate al merito.
Ricordiamo che la Croisette è sempre stata molto generosa con i due autori americani: da qui sono passati e sono stati acclamati Barton Fink (1991: Palma d'Oro assegnata all'unanimità, miglior regia e miglior attore a John Turturro), Mister Hula Hoop (1994), Fargo (1996: miglior regia), Fratello, Dove Sei? (2000), L'Uomo che non c'era (2001: miglior regia), The Ladykillers (2004: premio per Irma P. Hall come attrice), Non è un Paese per Vecchi (2007) e Inside Llewyn Davis (Grand Prix Speciale della Giuria nel 2013).
Dopo le premiazioni, resta comunque una certezza: la storia d'amore tra i fratelli Coen e Cannes non è certo finita qui.
Se mai finirà...
Etichette: Audiard, Bercot, Caine, CANNES 2015, Dheepan, Garrone, Hsiao-hsien, Joel e Ethan Coen, Lindon, Michel Franco, Moretti, Nemes, Rooney Mara, Sorrentino
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