lunedì 29 agosto 2016

I CLASSICI: LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT, CUORE E ACCIAIO ITALIANI

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Italia, 2016
118'
Regia: Gabriele Mainetti
Interpreti: Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Antonia Truppo.


Enzo (Santamaria), piccolo criminale "de borgata", per sfuggire alla polizia, si immerge nel Tevere.

Qui si infanga con una melma tossica che, inaspettatamente, gli provoca una forza e una resistenza sovrumane.

Le responsabilità dei nuovi poteri e nei confronti di una ragazza orfana con problemi psichici (Pastorelli), lo renderanno conscio di dover dare una svolta alla propria vita, anche perché dovrà fare i conti con lo Zingaro (Marinelli), bandito psicopatico, ambizioso e senza remore morali.

Estate. Tempo (anche) di cinema all'aperto.
Se nel vostro luogo di villeggiatura hanno in programma questo film, beh, vi consigliamo di prenderlo in considerazione.

Lungometraggio di esordio di Gabriele Mainetti - precedentemente aveva diretto dei cortometraggi, tra i quali il pluripremiato Tiger Boy -, Lo chiamavano Jeeg Root è stato uno dei casi cinematografici degli ultimi 6 mesi: incassi molto buoni, ottimi riscontri di critica, parecchi premi vinti - tra i quali 8 David di Donatello (su 17 nomine. Vinti, tra gli altri, premi per il miglior regista esordiente e per tutti e quattro gli attori principali).

E il sollucchero di vedere una pellicola italiana, di genere (in questo caso, di genere piuttosto insolito per la nostra cinematografia: quello supereroistico), ben fatta (nonostante un budget non all'altezza delle grandi produzioni a stelle e strisce).

Non aspettatevi quindi un kolossal tutto combattimenti coreografati ed effetti speciali come Batman v Superman, Captain America-Civil War o X-Men:Apocalisse.

Ma un film fatto artigianalmente con passione, originalità, un film che offre divertimento - anche "nero" -, ritmo, vivacità, colpi di scena e una regia pimpante che sa coniugare i necessari tòpoi del genere con un linguaggio e un immaginario pulp, anime (cioè, tipico dell'animazione di produzione giapponese) e poliziesco dal sapore un po' rétro stile anni Ottanta, continuamente richiamati con rimandi più o meno palesi.

Peccato che l'aderenza all'ambientazione si manifesti in un marcato e diffuso utilizzo della parlata romanesca, non sempre comprensibile a chi romano non è.
Peccato di provincialismo perdonabile, tutto sommato, riscattato comunque dai tanti punti di forza del film.

Detto della regia, non possiamo non rimarcare l'ottima prova del cast.

Santamaria è convincente: tormentato, scontroso, impacciato nei rapporti con le persone, solitario, dà al suo personaggio di antieroe un tono di dolente malinconia e di credibile umanità.

La Pastorelli, che ha un passato nel Grande Fratello, è al suo esordio e se la cava, calcando la scena con un passo leggero che fa contrasto con l'ambiente violento che la circonda.

Il migliore, tuttavia, è Marinelli.
Appassionato di canzoni italiane anni 70/80 cantate da donne - memorabile la sua esibizione sulle note di Un'emozione da poco di Anna Oxa, ma canta anche Non sono una signora di Loredana Bertè e con il sottofondo di Ti stringerò di Nada compie un'irruzione dagli esiti piuttosto cruenti, mentre Latin Lover di Gianna Nannini è la colonna sonora del mancato assalto ad un furgone portavalori - il suo Zingaro è spietato, sessualmente ambiguo, egocentrico e malato di protagonismo.

Un cattivo a tutto tondo, degno antagonista di un supereroe - anzi, quasi sempre ruba la scena agli altri con il suo maramaldeggiare e gigioneggiare a tutto spiano: un villain esagerato che però ben si adatta ad un film tutt'altro che sobrio.
Una sorta di Joker più Jack Nicholson nel Batman burtoniano che Heath Ledger in The Dark Knight-Il Cavaliere Oscuro o Jared Leto nel recentissimo Suicide Squad, ma coatto.

Solitamente, quando pensi a "film italiano" vengono in mente sciape commedie, film comici di bassa o bassissima lega, pellicole d'autore spesso noiosissime e/o inutili (però lodevoli eccezioni sono state per esempio, negli ultimi anni, i notevoli La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, vincitore di un Oscar come miglior film straniero e Mia Madre di Nanni Moretti, in concorso a Cannes 2015).

C'è chi prova, invero, a discostarsi dal già-visto, ma non sempre gli esiti sono felici, come insegna l'infausta incursione nel fantasy di un cineasta pur talentuoso come Matteo Garrone con il suo Il Racconto dei Racconti.

Tuttavia, qualcosa nel cinema italiano sembra si stia finalmente muovendo e nuovi nomi e volti stanno emergendo, così come nuove e fresche idee.
C'è ancora penuria di capitali, ma l'auspicio è che l'italica creatività nel campo della Settima Arte riesca a risvegliarsi.

Mainetti - al suo esordio, ricordiamolo! - ce l'ha fatta invece a dimostrare che cambiare si può e che i film cosiddetti "di genere" hanno una propria dignità e possono suscitare l'interesse di una vasta platea.

Per questo il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot è una bella notizia e una speranza - quella che il cinema nostrano si riavvicini ai gusti del suo pubblico.
Sarebbe ora...







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