giovedì 6 agosto 2020

FAVOLACCE, I BAMBINI CI GUARDANO (MALE)

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Italia/Svizzera, 2020
98'
Regia: Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
Interpreti: Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Ileana D'Ambra, Giulia Melillo, Cristina Pellegrino, Lino Musella, Justin Korovkin, Barbara Ronchi, Max Tortora (voce)


Spinaceto, periferia di Roma.

Quartiere residenziale, con verde, lontano dal caos della Capitale.
Villette abitate dalla media borghesia di famiglie apparentemente tranquille.

Ecco, "apparentemente": dietro alla facciata del perbenismo e dei sorrisi di circostanza, si nasconde una realtà ben poco edificante.

Gli adulti covano invidia, violenza, egoismo, indifferenza, insofferenza, rassegnazione, rabbia, frustrazione.

E i bambini, impotenti e tristi testimoni delle mattane dei propri genitori, si sentono abbandonati a loro stessi e non amati.

La loro rivolta contro gli adulti deflagrerà in modo inaspettato e terribile.






Quanto segue è ispirato a una storia vera. La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata.

Così la voce del narratore (Max Tortora!) apre in modo spiazzante e ironico un film che rimane spiazzante ma perde subito l'ironia.

È un pugno nello stomaco Favolacce, opera seconda di Damiano e Fabio D'Innocenzo, e non è da guardare a cuor leggero; ma vale decisamente la pena.

Chi è stato attirato dai già tanti premi vinti (come il prestigioso Orso d'Argento per lo script al Festival di Berlino), scoprirà che in effetti i due gemelli romani, anche soggettisti e sceneggiatori, sono cineasti da tenere d'occhio: essi dimostrano un'ottima costruzione delle scene e del climax, aiutati anche da validi contributi tecnici (la fotografia di Paolo Carnera, per esempio).

Anche gli interpreti - compresi quelli più giovani - sono ben scelti, a partire da un insolito Elio Germano.

Il film, dicevamo, è duro, pessimista, apocalittico - ma in modo alquanto inusuale per il cinema italiano.

Infatti ci ricorda piuttosto il David Lynch di Velluto Blu e Twin Peaks e la cupa cinematografia belga dei fratelli Dardenne, di Felix Van Groeningen ( Alabama Monroe), della coppia Brosens-Woodworth ( La Cinquième Saison), di Michaël R. Roskam (Bullhead).

È una favola nera più vicina ai fratelli Grimm e ad Hans Christian Andersen che a Gianni Rodari, ma qui non c'è lieto fine né speranza.

È uno specchio che ci rimanda un'immagine brutale del nostro tempo, fatto di incertezze, precarietà (anche negli affetti), crisi economica e morale.

È una rappresentazione dello sbandamento di una classe media impoverita e incattivita, abbandonata a se stessa.

È un impietoso "J'Accuse": i bambini si trovano costretti a crescere in fretta, abbandonando la fanciullezza, per sopravvivere ad un mondo nel quale vige la hobbesiana regola dell'homo homini lupus - non per niente i loro sorrisi sono pochissimi, mentre quelli dei rispettivi padri sono piuttosto un digrignare aggressivo.

La loro reazione, in un finale amaro e brutale, è un modo per inchiodare gli adulti alle proprie responsabilità genitoriali e un grido disperato di chi cerca affetto e comprensione - e non ne trova.

Insomma, citando l'omonimo film di Vittorio De Sica, i bambini ci guardano.

E ci giudicano severamente.




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