lunedì 15 luglio 2019

I CLASSICI: ROMA, LE DONNE NON SI ARRENDONO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Messico, 2018
135'
Regia: Alfonso Cuarón
Interpreti: Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Daniela Demesa, Latin Lover, Nancy García García, Jorge Antonio Guerrero.


Messico, primi anni Settanta.

La giovane domestica di origine amerindia Cleo (Aparicio) vive un periodo di grandi cambiamenti.

Frequenta un giovanotto, che la mette incinta.
Nella famiglia presso la quale lavora, marito e moglie (de Tavira) sono in crisi.
A Città del Messico, dove essi vivono, la violenza dilaga.






Conosciamo Alfonso Cuarón per pellicole spettacolari, quali Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, Children of Men-I Figli degli Uomini e Gravity, per il quale vinse personalmente 2 Oscar, per il montaggio e la regia (primo messicano ad aggiudicarsi la prestigiosa statuetta).

Questa volta egli si è cimentato in una piccola storia quasi autobiografica, ambientata nella sua città natale, con protagonisti in buona parte non professionisti, narrata in lingua spagnola.

Piccola storia, sì; ma grande film, questo Roma!

Il respiro intimistico, ma anche epico della narrazione è reso da una fotografia in bianco e nero veramente suggestiva e poetica, che lascia la trama sospesa nel tempo (poco importa quando la vicenda si dipana: il messaggio diventa universale e atemporale) - come solo le opere dei maestri neorealisti italiani e della Nouvelle Vague francese avevano saputo fare.

Cuarón ha tatto e sensibilità, così che la riservata Cleo - impersonata ottimamente dall'esordiente Yalitza Aparicio, che ha la faccia giusta - diventa suo malgrado eroina nella sua forza tranquilla, emblema di tutte le donne che pur nelle difficoltà riescono a rialzarsi.

È un bell'omaggio al genere femminile, quello che fa il regista messicano: gli uomini adulti non ne escono tanto bene, ma le protagoniste brillano - non per niente Aparicio e de Tavira sono state (meritatamente) candidate all' Oscar.

Le 10 nomine agli Academy Award e le tre statuette vinte (per la regia, la fotografia e il film straniero, andate tutte e tre a Cuarón), ma anche i due Golden Globe per regia e film straniero e il prestigiosissimo Leone d'Oro alla Mostra di Venezia hanno ripagato l'investimento in qualità fatto da Netflix.

Peccato solo che sia mancato il riconoscimento più scintillante: la piattaforma di streaming online sconta un diffuso pregiudizio tra i membri dell'Academy che, allineandosi con la posizione degli organizzatori del Festival di Cannes, non vedono di buon occhio la proiezione delle sue pellicole in poche, selezionate sale - privilegiando così la visione in casa e on demand.

L'elegia cuaroniana però ha dimostrato che il mezzo televisivo punti su storie originali e qualità più di quanto faccia attualmente quello cinematografico, che per sopravvivere deve ricorrere massicciamente a sequel, prequel e spin-off e a pellicole non troppo impegnative.

Cuarón ha trovato in Netflix la libertà di girare in lingua spagnola un film intimista che è anche una risposta "politica" molto forte alla criminalizzazione dei Messicani e dei migranti in generale da parte di Donald Trump.

Non per niente egli, nei suoi discorsi di accettazione delle statuette agli Oscar, ha affermato: Voglio ringraziare l’Academy per aver premiato un film incentrato su una donna indigena, una delle 70 milioni di lavoratrici domestiche senza diritti professionali, un personaggio che storicamente è stato relegato sullo sfondo. Come artisti, il nostro lavoro è guardare dove gli altri distolgono gli occhi, e questa responsabilità è ancora più importante in un’epoca in cui veniamo incoraggiati a guardare altrove e anche Sono cresciuto vedendo film stranieri; siamo tutti parte della stessa emozione, tutti parte dello stesso oceano.

E si sa, i muri non possono arginare l'oceano (vero, Mr. President?).




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