CINEMA A BOMBA!

domenica 24 settembre 2017

I CORTI: SIX SHOOTER, UN GUY RITCHIE ALLA GUINNESS

(Clicca sulla locandina per vedere il corto). 

Irlanda, 2004
27'
Regia: Martin McDonagh
Interpreti: Brendan Gleeson, Rúaidhrí Conroy, Aisling O'Sullivan, David Wilmot, Gary Lydon, Domhnall Gleeson.


Un uomo di mezza età (B. Gleeson) diventa vedovo.
Durante il viaggio in treno che lo porta dall'ospedale dove era ricoverata la moglie fino a casa, fa conoscenza con un giovane un po' matto da poco rimasto orfano.

Il tragitto si rivelerà pieno di imprevisti e colpi di scena...






Benché il Leone d'Oro conquistato da Guillermo del Toro con The Shape of Water alla recente Mostra del Cinema di Venezia sia stato indiscutibile, nessuno alla vigilia si sarebbe stupito se il massimo riconoscimento fosse andato a Three Billboards Outside Ebbing, Missouri.

Quello tra il regista messicano di Hellboy (e co-autore dell'adattamento della Trilogia de Lo Hobbit, non dimentichiamo) e il collega britannico Martin McDonagh è stato un testa-a-testa fino all'ultimo, ma alla fine il secondo si è dovuto accontentare di un premio secondario, per quanto strameritato: l'Osella per la migliore sceneggiatura.

In effetti, la scrittura è il punto di forza di questo cineasta d'Oltremanica molto attivo e apprezzato anche a teatro, tanto da essere stato definito dal New York Times addirittura "uno dei più importanti commediografi irlandesi viventi".

McDonagh è diventato famoso come regista del gangster movie In Bruges con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes (3 nomine ai Golden Globe e una candidatura agli Oscar 2009 per migliore sceneggiatura originale) e si è poi confermato con 7 Psicopatici, pulp con Colin Farrell, Christopher Walken e Tom Waits.

Ma il suo folgorante esordio dietro la macchina da presa è stato con questo cortometraggio, che gli valse l'Oscar nella categoria nel 2006.
Girata su un vero treno in movimento, è una commedia grottesca che nel finale - la sparatoria che fa da climax - flirta con il cinema d'azione.

Ai tempi qualcuno lo definì "Ken Loach che incontra Quentin Tarantino".
Ma più del palmadorato regista inglese (lo scorso anno con I, Daniel Blake)) e dell'autore di Pulp Fiction e Django Unchained, a noi Six Shooter (il titolo fa riferimento ai revolver con 6 colpi) ha ricordato l'opera di un Guy Ritchie che la butta meno in caciara.

Il pezzo forte sono ovviamente i dialoghi, ricchi di giochi di parole e riferimenti alla cultura pop (ma la parlata stretta di Conroy è quasi inintelligibile!), e le interpretazioni degli attori, specie il massiccio Brendan Gleeson.

Occhio infine alla comparsata di Domhnall Gleeson - figlio di Brendan e noto come Generale Hux di Star Wars - Il Risveglio della Forza - nel ruolo del venditore di merendine.
Chissà che cosa direbbero il Leader Supremo Snoke e gli altri gerarchi del Primo Ordine se lo vedessero farsi mettere i piedi in testa dai clienti...




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domenica 17 settembre 2017

DUNKIRK, NOLAN VA ALLA GUERRA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Regno Unito, 2017
106'
Regia: Christopher Nolan
Interpreti: Fionn Whitehead, Kenneth Branagh, Tom Hardy, Cillian Murphy, Mark Rylance, Tom Glynn-Carney, Aneurin Barnard, Barry Keoghan, Jack Lowden, James D'Arcy, Harry Styles.


1940.
Le armate della Germania nazista, aggirando la Linea Maginot, sono dilagate in Francia.
L'invasione, rapidissima e inarrestabile, sorprende centinaia di migliaia di soldati britannici che, sulle spiagge di Dunkerque (Dunkirk, in inglese), aspettano di essere salvati.

Ma essi sono accerchiati e continuamente bombardati.
Ogni piano di evacuazione sembra destinato all'insuccesso e la disfatta sembra inevitabile. Ma...






Ha scelto un episodio poco conosciuto della Seconda Guerra Mondiale Christopher Nolan per il suo primo film tratto da vicende veramente accadute.

Colui che è considerato uno dei registi più popolari e talentuosi del nuovo secolo - da Memento (2000) in poi non ha fato altro che accumulare successi su successi, dalla trilogia del Cavaliere Oscuro a Interstellar, passando per Insomnia, The Prestige, Inception - ha deciso di mettersi nuovamente in gioco e di cimentarsi in un genere (quello bellico) non ancora affrontato prima, sebbene il progetto di fare una pellicola sull'evacuazione di Dunkerque covasse in lui già da parecchi anni.

Attesa ripagata dall'attuale acclamazione di critica e pubblico che, nonostante l'uscita prematura (fine luglio negli USA, un mesetto dopo in Italia) rispetto alla cosiddetta stagione di preparazione ai Golden Globe e agli Oscar - che tradizionalmente inizia con la Mostra di Venezia ed ha il suo culmine a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno - potrebbe spingere Dunkirk verso traguardi importanti.

E sì, perché non ci troviamo di fronte ad un war movie come gli altri - e da Nolan non ci aspettavamo di certo un film pieno di cliché che svolgesse in modo diligente il compitino di narrare fatti storici - bensì ad un'opera che da una parte sovverte i tópoi del genere e dall'altra dà loro nuova linfa.

Innanzitutto non ci sono protagonisti, bensì singoli personaggi che emergono: piccole storie in una storia più grande che si compone sì di atti di valore e di senso del dovere, ma soprattutto di paura, angoscia, vigliaccheria, istinto di sopravvivenza, disperazione.

È la guerra vissuta non dai politici (che non compaiono e che tutt'al più sono citati nei discorsi) o dai generali ma dai soldati - ragazzi in balia degli eventi che gli orrori del conflitto li vivono in prima persona, un'intera generazione allo sbando mandata al macello e ritrovatasi a doversi battere con le unghie e con i denti per portare a casa la pelle - e da chi ha perso un proprio caro nelle ostilità.
È la guerra, ma quella raccontata dal basso.

Tre sono le ambientazioni.

La spiaggia di Dunkerque, dove i militari britannici, continuo bersaglio dei Tedeschi che li circondano, aspettano di essere evacuati.
L'azione si svolge nell'arco temporale di una settimana.

Il mare dinnanzi a Dunkerque, da dove si vede la costa inglese, così vicina e così disperatamente difficile da raggiungere, ma dalla quale partono le piccole imbarcazioni da diporto requisite dalla Royal Navy o condotte dai proprietari con il compito di aggirare il blocco navale imposto dagli occupanti.
L'azione si svolge nell'arco temporale di un giorno.

I cieli sopra Dunkerque, teatro di scontri aerei senza esclusione di colpi.
L'azione si svolge nell'arco temporale di un'ora.

Grazie al sapiente montaggio dell'australiano Lee Smith, queste differenze di durata - che sembrerebbero inconciliabili tra di loro - non ingolfano però la narrazione, ma anzi - pur risultando spiazzanti in certi momenti - sono amalgamate in modo tale da creare una certa continuità.

Tale continuità contribuisce, a sua volta, al crescendo di tensione, al senso di attesa nel quale veniamo trascinati pure noi spettatori, per merito anche di una colonna sonora (firmata Hans Zimmer!) quasi non percepita tanto è poco invasiva, ma che si fonde con le immagini in modo molto efficace.

Il coinvolgimento emotivo è reso anche dalla fotografia ad alta definizione (grazie alle pellicole IMAX 65mm e alle pellicole a grande formato 65 mm) di Hoyte Van Hoytema (lo stesso di La Talpa, Lei-Her, Interstellar, Spectre), che rende le immagini nitidissime.

L'accuratezza nella composizione delle inquadrature si vede anche dei dettagli - le navi e gli aerei utilizzati sono quelli del tempo - mentre il ricorso ad effetti speciali è limitato e comunque funzionale alla storia.

Non aspettatevi un film verboso, pieno di frasi e monologhi da citare e ri-citare: i dialoghi sono scarni - d'altra parte Nolan, all'inizio, aveva addirittura pensato di rinunciare alla sceneggiatura per focalizzarsi maggiormente sull'azione - e a parlare sono soprattutto i volti degli attori, quasi tutti ben scelti (non ce ne vogliano le fan degli One Direction, ma quel "quasi" è proprio per Harry Styles...) e ben impiegati.

Nel cast troviamo veterani inglesi del calibro di Kenneth Branagh, Mark Rylance, Tom Hardy - rispettivamente uno dei più famosi interpreti britannici sia al cinema che a teatro, candidato a 5 Academy Award e a 5 Golden Globe; il vincitore del Premio Oscar per il miglior attore non protagonista nel 2016 per Il Ponte delle Spie; il candidato battuto nella stessa categoria e nello stesso anno per The Revenant, però iconico protagonista di pellicole quali Bronson e Mad Max: Fury Road - oltre all'irlandese Cillian Murphy, uno dei pupilli del regista.

Quest'ultimo, però, ha il merito di aver dato loro il giusto spazio senza soffocare i ruoli dei giovani ed espressivi comprimari - l'esordiente sul grande schermo Fionn Whitehead (quello che paradossalmente ha il ruolo più incisivo di tutta la pellicola) e i poco più esperti Tom Glynn-Carney e Aneurin Barnard (solo per citarne due) - ai quali sono affidate parti tutt'altro che facili.

E i soldati tedeschi?
La novità - soprattutto per un film che parla della Seconda Guerra Mondiale - è che essi non compaiano praticamente mai: si avverte la loro ingombrante presenza, si subisce le loro azioni, ma essi sono come invisibili; sono come fantasmi, ma terribilmente concreti e pericolosi.

L'angoscia dei militari britannici è resa benissimo: come si fa a combattere, che speranza si ha di sopravvivere se si è in balia di un nemico che non si vede?

Insomma, è riduttivo (e fuorviante) definire Dunkirk un film di genere: va molto oltre per visione, innovazioni, ambizioni, budget ed eccellenza di regia e contributi tecnici.

Possiamo parlare di un kolossal - ma anche di un film d'autore - che riesce ad intrattenere pur non perdendo profondità, a far pensare e a suscitare discussioni: cosa che solo pochi autori sono in grado di fare.

Abbiamo l'impressione che Dunkirk sarà ricordato ancora a lungo.
Sempre che Nolan non riesca a superarsi nuovamente.




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domenica 10 settembre 2017

VENEZIA 2017. IL MOSTRO DELLA LAGUNA CONQUISTA LA MOSTRA DELLA LAGUNA

Dall'alto: Guillermo del Toro con il Leone d'Oro vinto per The Shape of Water; Martin McDonagh (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) vincitore dell'Osella per la sceneggiatura; Xavier Legrand (Jusqu'à la Garde); Samuel Maoz, regista di Foxtrot; Charlotte Rampling con la Coppa Volpi per la migliore attrice. 


Ha vinto meritatamente un film meritevole.

Una volta tanto il Leone d'Oro non è stato assegnato ad un'opera pallosa-ma-artistica, politicamente pregnante, di una cinematografia-che-ha-bisogno-di-visibilità...

Viva quindi Annette Bening e la sua giuria, che hanno premiato il titolo che più di tutti ha messo d'accordo critica e pubblico, The Shape of Water - storia d'amore tra una donna muta e non più giovanissima e un mostro anfibio tenuto prigioniero in un laboratorio, ma anche omaggio ai musical e ai film di genere Anni Cinquanta/Sessanta ( La La Land insegna).

Il messicano Guillermo del Toro - che ha diretto, tra gli altri, i due Hellboy, Il Labirinto del Fauno, Pacific Rim e co-sceneggiato Lo Hobbit - è da sempre considerato uno dei più visionari registi viventi e i suoi lavori spesso ottengono ottimi riscontri anche al botteghino; ma questa potrebbe essere la consacrazione definitiva per un autore che troppo spesso è stato liquidato come "di genere".

Vincere un Leone d'Oro per una fiaba fantasy con effetti speciali è in effetti già un traguardo molto notevole e molto prestigioso, ma la marcia del corpulento cineasta potrebbe essere appena all'inizio e portare ad altri riconoscimenti ambiti - d'altra parte, Venezia porta bene ai film che hanno ambizioni da Golden Globe e Oscar (vedi qui, qui e qui).






Alla Notte delle Stelle non ci meraviglierebbe ritrovare il britannico/irlandese Martin McDonagh.
Il suo Three Billboards Outside Ebbing, Missouri è stato la rivelazione di questa edizione della Mostra ma, sebbene accreditato da molti come probabile vincitore, si è dovuto "accontentare" del premio per la migliore sceneggiatura, andato allo stesso autore.

Lo script - che narra la guerra personale tra una madre di una ragazza barbaramente uccisa e la polizia accusata di non impegnarsi abbastanza per trovare il colpevole - ha convinto pressoché tutti, forte anche di interpretazioni veramente convincenti da parte di Woody Harrelson e Sam Rockwell, ma soprattutto di una magistrale Frances McDormand.

Il regolamento per l'assegnazione dei premi vieta la concentrazione di riconoscimenti: ecco perché la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile non è stata vinta né da quest'ultima né da Sally Hawkins (la protagonista di The Shape of Water), bensì dall'inglese Charlotte Rampling.

L'affascinante signora ha lavorato per molti registi italiani - Luchino Visconti, Giuseppe Patroni Griffi, Giuliano Montaldo, Liliana Cavani, Adriano Celentano, Gianni Amelio... - e probabilmente non è un caso che proprio per un film di un regista italiano (il giovane Andrea Pallaoro, che avevamo già segnalato a Venezia 2013) abbia ottenuto il prestigioso premio.

Il corrispettivo maschile, invece, è andato ad un attore di formazione teatrale, Kamel El Basha, protagonista del libanese L'Insulte.
Palestinese.

Ma non preoccupatevi: in nome della par condicio, è stato premiato anche un israeliano.
Nello specifico, Samuel Maoz si è aggiudicato il Leone d'Argento - Gran Premio della Giuria per la sua opera seconda, Foxtrot.
Non male, considerando che per la sua opera prima, Lebanon, nel 2009 aveva avuto addirittura il Leone d'Oro!

Ad emularlo ci è andato molto molto vicino il francese Xavier Legrand, esordiente ma giudicato miglior regista per il suo film sulle violenze domestiche Jusqu'à la Garde.

Gloria anche per il cineasta australiano aborigeno Warwick Thornton - Premio Speciale della Giuria per Sweet Country - e per il giovane Charlie Plummer - Coppa Marcello Mastroianni per il miglior attore emergente per Lean On Pete.






E gli sconfitti?

I film italiani, innanzitutto: non che ci aspettassimo sfracelli (ne avevamo parlato in questo post), ma il fatto che siano piaciuti solo alla critica italiana non è un bel segno.
E pensare che se avessimo voluto trovare dei buoni lavori nostrani avremmo potuto rivolgerci invece alla sezione Orizzonti, dove, per il secondo anno consecutivo, una pellicola tricolore ha vinto il concorso - l'anno scorso, il documentario Liberami di Federica Di Giacomo; questo, Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli.

Chi invece aveva suscitato entusiasmi era stato Mektoub, My Love - Canto Uno, sulla giovinezza di un gruppo di giovani franco-tunisini.
Ma a pesare sul film di Abdellatif Kechiche (già Palma d'Oro a Cannes 2013 per La Vie d'Adèle) è stata l'accusa di maschilismo - troppi indugi sui fondoschiena delle giovani protagoniste, tanto è vero che qualche malizioso ha tirato in ballo addirittura Tinto Brass!

Stroncato senza pietà dai critici, al contrario, è stato Mother!, l'attesissima parabola horror ecologista/religiosa firmata Darren Aronofsky.
Non ha ricevuto premi, ma siamo sicuri che gli agguerriti fan della protagonista Jennifer Lawrence (comunque molto brava. Non per niente nel 2013 ha vinto un Oscar...) accorreranno in sala per seguire la loro beniamina.

Per quel che riguarda le altre pellicole a stelle e strisce, ambivano a premi i veterani Paul Schrader - che ha presentato First Reformed con Ethan Hawke nel ruolo di un pastore luterano sconvolto dai sensi di colpa - e Frederick Wiseman - il suo documentario sulla New York Public Library è piaciuto nonostante la durata eccessiva -, ma sono rimasti a bocca asciutta.

Così come Alexander Payne - ma il suo Downsizing aveva già avuto l'onore di aprire la kermesse - e George Clooney - che la Mostra l'aveva aperta nel 2011 con Le Idi di Marzo e che questa volta portava la commedia nera firmata Fratelli Coen Suburbicon.
Qualche applauso, ma per il resto accoglienza non troppo calorosa per i loro lavori.

Alla vigilia era molto accreditato anche l'artista dissidente cinese Ai Weiwei, ma il suo documentario sui migranti Human Flow è stato accusato di essere troppo incentrato sull'autore stesso, vanificando così in parte i buoni propositi iniziali.

Tra gli sconfitti dobbiamo annoverare - ma non ci fa piacere - anche il Festival di Cannes.
Quest'anno il programma non era male, ma niente di paragonabile a quello di questa Mostra.

Se Venezia è tornata però ad essere un appuntamento internazionale imprescindibile, molto del merito dev'essere riconosciuto al direttore Alberto Barbera, che negli ultimi anni ha lavorato in modo intelligente e lungimirante, invitando al Lido ottimi autori e attori, ma anche dando spazio a modi alternativi di fare cinema (geniale ed azzeccata l'idea del concorso dedicato alla realtà virtuale), cercando quindi di avvicinare le esigenze di una rassegna cinematografica a respiro internazionale con i gusti del pubblico.

Ora la vittoria di Guillermo del Toro potrebbe dargli un'ulteriore mano: se The Shape of Water dovesse continuare a mietere successi, le major hollywoodiane in futuro potrebbero essere incentivate ancora di più a scommettere sulla kermesse lagunare.

La 74a edizione della Mostra del Cinema è appena terminata, ma noi della redazione di CINEMA A BOMBA! già non vediamo l'ora che arrivi la prossima.





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sabato 9 settembre 2017

VENEZIA 2017. I VINCITORI

Un po' di Leoni d'Oro. 


The Shape of Water del regista messicano Guillermo del Toro - uno dei più immaginifici cineasti viventi - ha sbaragliato la concorrenza ed è riuscito ad aggiudicarsi il premio più ambito, il Leone d'Oro.

D'altra parte era piaciuto già da subito sia a critica che a pubblico.
Si profila un cammino trionfale nei prossimi mesi per questa romantica storia d'amore tra una donna muta e un mostro anfibio?

La giuria guidata da Annette Bening e composta da altre quattro donne (tra le quali la nostra Jasmine Trinca) e da quattro uomini (uno di questi è il brillante autore britannico Edgar Wright) lo ha preferito ad un altro degli strafavoriti della vigilia, quel Three Billboards Outside Ebbing, Missouri che qui è stato premiato "solo" per la (strepitosa) sceneggiatura del regista Martin McDonagh ma che si prepara già per i prossimi Oscar.

A bocca asciutta, invece, l'apprezzatissimo Mektoub, My Love del franco-tunisino Abdellatif Kechiche - che paga le critiche di eccessivo maschilismo - e le altre pellicole americane.

Il palmarès, per il resto, è il risultato di decisioni che non volevano scontentare nessuno: premiato un attore palestinese, ma anche un film israeliano; un'attrice anziana, e un giovane regista esordiente; un cineasta aborigeno e un all-american boy.

Nel prossimo post faremo le nostre approfondite considerazioni, ma nel frattempo ecco i vincitori della selezione ufficiale.






LEONE D'ORO AL MIGLIOR FILM al miglior film: The Shape of Water, regia di Guillermo del Toro (Stati Uniti d'America)

LEONE D'ARGENTO per la miglior regia: Xavier Legrand, regista di Jusqu’à la garde

LEONE D'ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA: Foxtrot, regia di Samuel Maoz (Israele, Germania, Francia, Svizzera)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA: Sweet Country, regia di Warwick Thornton (Australia)

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione maschile: Kamel El Basha, L'insulte, regia di Ziad Doueiri (Francia, Libano)

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione femminile: Charlotte Rampling, Hannah, regia di Andrea Pallaoro (Italia, Belgio, Francia)

PREMIO OSELLA per la migliore sceneggiatura: Martin McDonagh, Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri)

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI ad un attore o attrice emergente: Charlie Plummer, Lean on Pete, regia di Andrew Haigh (Regno Unito)

LEONE D'ORO ALLA CARRIERA: Jane Fonda, Robert Redford

PREMIO JAEGER-LE COULTRE GLORY TO THE FILMMAKER: Stephen Frears





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