CINEMA A BOMBA!

giovedì 31 ottobre 2019

I CLASSICI: DAL TRAMONTO ALL'ALBA, ASSASSINI NATI E VAMPIRI AZTECHI

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 1996
108'
Regia: Robert Rodriguez
Interpreti: George Clooney, Quentin Tarantino, Harvey Keitel, Juliette Lewis, Cheech Marin, Salma Hayek, Tom Savini, Fred Williamson, Danny Trejo, Tito Larriva, Kelly Preston, John Saxon, Michael Parks.


Gli evasi fratelli Gecko sono in fuga: Seth (Clooney) è un duro che però possiede un proprio codice morale, Richard (Tarantino) è uno psicopatico violento e semidemente.

Il loro piano è superare il confine col Messico, trascorrere le ore notturne in un locale e al mattino incontrare il proprio complice (Marin).
Durante il tragitto lasciano dietro di sé una lunga scia di sangue e rapiscono la famiglia Fuller, composta da due adolescenti e un padre (Keitel), pastore vedovo in crisi di fede.

Tutto sembra andare per il verso giusto, se non fosse che il Titty Twister - il locale scelto per passare la notte - si rivela in realtà un antico tempio azteco infestato da vampiri.
Riusciranno i nostri ad arrivare vivi l'alba?






2013: Halloween.
2014: Nightmare.
2015: Venerdì 13 - Jason X.
2016: Plan 9 From Outer Space.
2017: Lo Squalo.
2018: Auguri per la tua Morte.

Quest'anno la pellicola che recensiamo in occasione della Vigilia di Ognissanti non è un horror per chi non va mai a vederne uno: è un vero e proprio omaggio al genere, zeppo di citazioni e rimandi al cinema di Carpenter e Romero, ma pure a quello di Fuller e Hawks.

E chi poteva esserne il principale autore, se non quel filmmaker onnivoro e post-modernista che risponde al nome di Quentin Tarantino?

La genesi avviene all'indomani del successo di Pulp Fiction, che ha improvvisamente catapultato il regista italo-americano nell'empireo di Hollywood.

Il nostro, anziché fare il prezioso (specie considerando le miriadi di richieste che gli piovono sulla testa in quel frangente), si lancia in qualsiasi lavoro gli capiti a tiro, meglio se come attore e ancor più se si tratta del progetto di un qualche suo amico.






QT redige quindi il copione basandosi su un'idea di Robert Kurtzman - ossia la "K" della premiata ditta di trucchi & effetti KNB (gli altri soci sono Greg Nicotero e Howard Berger), responsabile tra l'altro dei film di zombi del compianto George A. Romero - e affida la regia al suo "gemello artistico" Robert Rodríguez.

Questi, come dimostreranno opere successive quali Sin City e Machete, è il migliore dei numerosi amici/emuli di Quentin, e Dal Tramonto all'Alba rimane ad oggi il più riuscito tra i lungometraggi che ha diretto.

La prima metà del film è un "romanzo criminale" in linea con Le Iene e il succitato Pulp Fiction, mentre la seconda si trasforma inaspettatamente in uno splatter iperbolico che pare studiato a tavolino per appagare la golosità degli amanti del genere.

Benché la violenza nel suo cinema non manchi quasi mai, questo è il primo e finora unico vero horror di Tarantino, che come attore si è riservato la parte del personaggio più turpe, sebbene compaia solo nella prima ora.






L'(anti)eroico protagonista è un George Clooney non ancora brizzolato e non ancora divo planetario (in quel momento era "solo" la star della serie tv E.R.-Medici in Prima Linea).
Un barbuto e misurato Harvey Keitel cerca spesso di rubargli la scena e a volte ci riesce.

In ruoli di supporto vale la pena di segnalare: Cheech Marin, metà del duo comico Cheech & Chong, che compare in 3 ruoli diversi (il poliziotto alla frontiera, il buttafuori del locale e il gangster nel finale); la statuaria Salma Hayek; Tom Savini, "truccattore" già visto in Zombi (Dawn of the Dead) e La Terra dei Morti Viventi di Romero.

Occhio al prologo: compare per la prima volta il personaggio dello sceriffo federale Earl McGraw che Michael Parks (ve lo ricordate in Red State?) riprenderà - senza spiegazioni! - nei successivi Kill Bill e Grindhouse (quest'ultima un'altra collaborazione del duo Tarantino-Rodríguez).

Dal Tramonto all'Alba, che ha prodotto anche due insignificanti seguiti per il mercato home video e una recente serie tv curata dallo stesso Rodríguez, è quel che si definisce un cult movie.

Se vi piacciono gli horror citazionisti e autoironici, allora questo è il film che fa per voi.
Altrimenti... beh, lasciate perdere!

Buon Halloween dalla Redazione di CINEMA A BOMBA!




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martedì 15 ottobre 2019

JOKER, SIAMO TUTTI CLOWN?

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
123'
Regia: Todd Phillips
Interpreti: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Brett Cullen, Douglas Hodge, Dante Pereira-Olson, Shea Whigham, Bill Camp, Marc Maron, Bryan Callen


A Gotham City le profonde e durature disparità economiche hanno incattivito le persone: la criminalità dilaga indisturbata, i ricchi arroganti e strafottenti palesemente disprezzano e discriminano i più bisognosi, le periferie sono abbandonate al degrado e alla sporcizia.

Arthur Fleck (Phoenix) è un poveraccio con problemi psichici (che lo fanno ridere in modo parossistico e involontario) che vive con la madre (Conroy), anch'essa poco lucida, in uno squallido appartamentino in un edificio mal tenuto - dove vive anche la comprensiva ragazza-madre Sophie (Beetz) - e che guadagna qualche soldo facendo il clown in strada e in ospedale.

Il suo desiderio sarebbe quello di diventare un cabarettista - su modello del brillante conduttore televisivo Murray Franklin (De Niro) - ma la sua condizione mette a disagio le persone e in pubblico egli appare goffo e poco buffo.

La sua vita, poi, non è di certo una commedia: maltrattato da bambino, pure da adulto subisce ogni sorta di angheria e prepotenza.

Finché un giorno riesce a reagire all'ennesimo sopruso, scatenando un effetto domino sulla sua vita e su quella della città.






Preannunciato dalla clamorosa vittoria del prestigiosissimo Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, da un nugolo di polemiche per un presunto incitamento alla violenza e dal timore di atti emulativi (soprattutto negli Stati Uniti), è arrivato come una bomba Joker, film sulla genesi del principale antagonista di Batman.

Grossi incassi finora al botteghino in tutto il mondo, fiumi di inchiostro sui giornali, in tendenza in tutti i social network, pubblico in visibilio, critici sommersi di...critiche in caso di recensioni non entustiastiche e comunque molto divisi (soprattutto in patria; in Italia invece il consenso è stato quasi unanime): poche opere riescono a suscitare reazioni così viscerali - ed il cinema, in crisi, ha un gran bisogno di ritrovare passione e idee, schiacciato com'è dalla concorrenza spietata delle Tv e delle piattaforme di streaming (si veda il caso Netflix, capace di sfornare ottimi lavori quali Roma di Alfonso Cuarón, La Ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen e il prossimo e già acclamato The Irishman di Martin Scorsese).

È vero, pochi mesi fa Avengers: Endgame ha spinto milioni di persone nelle sale ed è divenuto il film che ha incassato di più nella storia del cinema; ma si tratta del frutto di una programmazione attenta alla fidelizzazione degli spettatori (e quindi finalizzata soprattutto a fare profitti): prodotto rassicurante per i fan, molto gradevole, fatto molto bene, ricco di effetti speciali, con attori belli e scanzonati.

Recentemente Scorsese ha definito le pellicole Marvel come un parco divertimenti, come un puro intrattenimento senza alcuna pretesa artistica.
Si può essere d'accordo o meno con il pensiero di un cineasta così illustre - un vero appassionato, comunque, della Settima Arte - ma non si può non notare la penuria di "cose nuove" e di progetti audaci in campo cinematografico.

Ecco che allora Joker rappresenta una novità, un qualcosa di visto pochissime altre volte (e mai in modo così efficace): il tentativo di proporre un film d'autore, un film di denuncia a basso budget, camuffandolo da cinecomics, da film popolare.

Come si fa a rendere interessante ad un ampio pubblico la storia di un uomo solo e con problemi psichici in balia della violenza, dell'indifferenza, del disprezzo?
Sarebbero in pochi quelli disposti a vedere una pellicola che tratta un argomento così duro e crudo.

Ma se quest'uomo così disgraziato diventasse poi un personaggio iconico e carismatico, principale antagonista di uno dei supereroi più celebri del mondo...

La rivincita di Arthur Fleck - avete notato che "A. Fleck" richiama il cognome del celebre attore che impersona l'Uomo Pipistrello nel ciclo della Justice League? - sulla società che lo ha così maltrattato, proprio in virtù del suo destino (da perdente sappiamo che diverrà un numero uno - sebbene del crimine), rappresenta allora un più potente megafono della protesta degli ultimi.

Chi, preoccupandosi, ha interpretato Joker come una chiamata alle armi rivolta a disagiati, però a nostro avviso non ha centrato il punto: con il pretesto del racconto delle origini di un cattivo, si affrontano i temi della malattia mentale, dell'emarginazione, della sopraffazione in un modo che possa arrivare diritto come un pugno agli stomaci degli spettatori.

Chi entra in sala convinto di vedere lo spin-off di un film di supereroi, si ritrova invece catapultato nella vita disgraziata di un pover'uomo e viene portato a trovare comprensione, rispetto, tenerezza per lui.

Il deflagrare della violenza, così, diventa la goccia che fa traboccare un vaso pieno di frustazione e, lungi dal giustificarne gli atti, diviene un urlo di rivolta liberatorio nei confronti di un mondo ingiusto in cui gli ultimi sono abbandonati a se stessi e i ricchi si permettono di deriderli o di liquidare le loro istanze come pretese irrealizzabili e comunque non prioritarie, se non addirittura come pericolose.

Joker ci avvisa: il mondo è in fermento, guai a far finta di nulla.






Todd Phillips non sbaglia niente, nella rappresentazione della sua visione: lasciati da parte Una Notte da Leoni e i suoi seguiti, ispirandosi a due classici del calibro di Taxi Driver e Re Per Una Notte di Scorsese, egli opta per un ritratto cupo, crudo, pessimistico della società.

La regia è grezza e realistica, ben lontana dalle esagerazioni dei cinecomics - apprezzabili, in questo contesto, la mancanza di effetti speciali fracassoni e invadenti e la fotografia "sporca" di Lawrence Sher.

La straordinaria colonna sonora composta dall'islandese Hildur Guðnadóttir è eterea e straniante; le canzoni That's Life e Send In The Clowns, rese universalmente note da Frank Sinatra, e Smile di Charlie Chaplin offrono un contrappunto ironico, mentre Rock & Roll Part 2 del molto discusso Gary Glitter e White Room dei Cream sono in sottofondo a due scene divenute iconiche - rispettivamente, quella della scalinata e quella dell'insurrezione.

Il trucco di Nicki Ledermann e Kay Georgiou e i costumi di Mark Bridges dovevano discostarsi in modo significativo da quelli delle personificazioni precedenti del personaggio: missione compiuta, sono stati apprezzati dal pubblico e sono divenuti riconoscibili e popolari.

Bravissimi gli attori "di contorno": Robert De Niro, quando vuole, sa essere straordinario (questa è la conferma); Zazie Beetz (già vista in Deadpool 2) ha una faccia che funziona; Frances Conroy (la madre di Arthur) e Brett Cullen (Thomas Wayne) sono convincenti.

Ma Joker, volenti o nolenti, è il film "di" Joaquin Phoenix.

Che fosse un interprete eccellente lo sapevamo già - è a dir poco strepitoso in Lei-Her di Spike Jonze e in The Master di Paul Thomas Anderson, giusto per fare due esempi.

Ma che fosse così bravo...

Non è molto corretto fare accostamenti con Jack Nicholson e col rimpianto Heath Ledger, che avevano già portato sullo schermo il personaggio, rispettivamente in Batman di Tim Burton e Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, anche perché i due erano co-protagonisti (sebbene molto carismatici e incisivi), mentre Phoenix è il fulcro dell'intero film, capace di reggerne il peso dalla prima all'ultima scena.

Scheletrico, nevrotico, sofferto, sgraziato, ferito, deformato, il corpo di Joaquin Phoenix si fa rappresentazione del dolore e dell'ingiustizia, così come il suo volto dolente è una smorfia di una sofferenza anche interiore e non un sorriso o un ghigno.

L'attore nato a Porto Rico dà un'interpretazione viscerale e totalmente immersiva, tanto da diventare lui stesso il personaggio che porta in scena, in una trasformazione che è impressionante: non si tratta di un semplice gigioneggiare in modo istrionico, né di un'adesione totale al Metodo Stanislavskij di immedesimazione maniacale.

È come se trasferisse tutti suoi demoni interiori, il suo vissuto, nel dolore, nella maschera, nella risata terrificante e straziante di Arthur Fleck.

Praticamente tutti quelli che hanno visto il film concordano sul fatto che egli meriterebbe ampiamente l'Oscar come miglior attore protagonista, ma indipendentemente dalla sua vittoria o dalla sua sconfitta sappiamo già che la sua magistrale prova attoriale sarà ricordata a lungo, tanto è incisiva, disperata, viva e sconvolgente.

Sicuramente la sua recitazione è l'asso vincente di un film che non esitiamo a definire un capolavoro incendiario - tanto è potente e in grado di generare discussioni.

Certo la scelta dei produttori di discostarsi dalla travagliata serie DC Extended Universe (L'Uomo d'Acciaio, Batman v Superman, Suicide Squad, Wonder Woman, Justice League, Aquaman, Shazam!) si è già rivelata un azzardo vincente.

Solo tra qualche anno vedremo se Joker resterà un caso isolato o se assumerà il titolo di precursore di un nuovo modo di intendere i cinecomics.

Noi tifiamo per quest'ultima ipotesi.




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giovedì 3 ottobre 2019

I CLASSICI: TAXI DRIVER, GIUSTIZIERE CHE NON DORME MAI NELLA CITTA' CHE NON DORME MAI

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 1976
113'
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Robert De Niro, Cybill Shepherd, Peter Boyle, Albert Brooks, Jodie Foster, Harvey Keitel, Leonard Harris, Martin Scorsese.


Travis Bickle (De Niro) è un reduce del Vietnam insonne e dipendente dagli psicofarmaci che per campare decide di fare il tassista di notte.

Durante il turno gira lungo le strade più malfamate di New York, covo di spacciatori, prostitute, teppisti, rapinatori; quando non lavora se ne sta rintanato in casa e occasionalmente va nei cinema a luci rosse o esce coi colleghi.

L'unico raggio di luce in tutto questo squallore è rappresentato dalla bella Betsy (Shepherd), che lavora nello staff elettorale del senatore Palantine (Harris), ambizioso politico che vuole diventare presidente degli Stati Uniti.

Travis, però, non sa come trattare le donne e, dopo un appuntamento disastroso, viene rifiutato dalla ragazza.

Preso dalla frustrazione e dalla rabbia, matura la decisione di fare giustizia di tutte le storture che sta vivendo: decide così di compiere un gesto eclatante e di salvare anche una baby prostituta (una giovanissima Jodie Foster) dalle grinfie del suo protettore (Keitel).





La vittoria del Leone d'Oro del Joker di Todd Phillips all'ultima Mostra del Cinema di Venezia ha ridestato l'interesse su uno dei capolavori della storia del cinema presi a riferimento dal film del regista di Una Notte Da Leoni: Taxi Driver di Martin Scorsese.

L'Arthur Fleck di Joaquin Phoenix, che da reietto della società si prende la sua folle rivincita sul mondo con la violenza, è ispirato proprio all'iconico Travis Bickle di Robert De Niro.

Costui, per calarsi nel ruolo, frequentò per un po' di tempo dei tassisti (e prese addirittura la licenza per guidare!), si informò presso militari e veterani circa la loro vita e raccolse notizie a proposito di Arthur Bremer, che nel 1972 attentò alla vita del candidato democratico alla presidenza George Wallace.

E ci mise anche del suo - come nella celeberrima scena davanti allo specchio, improvvisata - dimostrando, oltre all'adesione maniacale al Metodo Stanislavskij, un formidabile intuito recitativo.

De Niro, che aveva già vinto il suo primo Oscar nel 1975 per Il Padrino - Parte Seconda e che proprio in quel periodo stava lavorando pure in Italia per Novecento di Bernardo Bertolucci facendo avanti e indietro da un set all'altro, si dimostrò uno dei talenti più brillanti della sua generazione e perfetto per incarnare un personaggio così complesso.

A rendere l'interpretazione dell'italo-americano indimenticabile è ovviamente anche una storia piuttosto incisiva: la sceneggiatura di Paul Schrader è potente e la regia di Martin Scorsese è piena di invenzioni - spesso si è discusso della scena dello specchio, della sparatoria e del finale ambiguo; ma tutto il film sarebbe da rivedere fotogramma per fotogramma per apprezzare meglio le scelte del cineasta.

Taxi Driver è un film cupo, pessimista, un noir - impreziosito dalla colonna sonora del grande Bernard Herrmann (quello delle pellicole di Hitchcock; qui al suo ultimo lavoro)- che accompagna il protagonista verso una vera e propria discesa agli inferi in un climax di paranoia e delirio e trascina lo spettatore nel cuore di tenebra di una civiltà corrotta e brutale.

È un ritratto impietoso di un'America uscita distrutta dalla guerra in Vietnam, con i reduci abbandonati a se stessi e in preda a disturbi da stress post traumatico, non in grado di riambientarsi nel mondo civile né di intrattenere rapporti normali con le persone.

È un ritratto crudo di una New York senza legge né ordine, una città da Far West con giustiziere annesso.

È un'opera che smaschera il mito del "Sogno Americano", trasformato in un incubo metropolitano nel quale la violenza assume una valenza catartica, liberatoria e viene persino giustificata dai mass media.

Così, mentre Travis probabilmente riesce solo a placare temporaneamente i propri demoni interiori, per l'opinione pubblica egli diventa una sorta di cavaliere dell'Apocalisse, un angelo vendicatore, un San Giorgio che uccide il drago e salva la fanciulla in pericolo.

Ma ben diverso sarebbe stato il giudizio, se avesse assassinato il potente uomo politico anziché il pappone e i suoi compiacenti sodali: sarebbe stato considerato come un pericoloso criminale dalla gloria sinistra.

Scorsese svela quindi anche l'ipocrisia dei mezzi di comunicazione di massa, che non si fanno scrupoli di influenzare l'opinione pubblica, offrendole in pasto "il mostro" o "l'eroe", a seconda dei casi, e di soffiare sul fuoco fino a quando la storia perde interesse.

Manifesto e rappresentazione di un'epoca, Taxi Driver è un film che non perde smalto con gli anni e che riesce ancora ad essere un punto di riferimento per chi vuole fare cinema - proprio come i veri capolavori.



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