CINEMA A BOMBA!

domenica 16 maggio 2021

I CLASSICI: LA SPARATORIA + LE COLLINE BLU, IL DITTICO "CULT" DI MONTE HELLMAN

(Clicca sulle locandine per vedere i due trailer) 

LA SPARATORIA
USA, 1966
82'
Regia: Monte Hellman
Interpreti: Warren Oates, Millie Perkins, Will Hutchins, Jack Nicholson.

LE COLLINE BLU
USA, 1966
82'
Regia: Monte Hellman
Interpreti: Jack Nicholson, Cameron Mitchell, Millie Perkins, Harry Dean Stanton.


Due film "gemelli", eppure profondamente diversi.
Entrambi opere di un regista quasi esordiente, che grazie ad esse divenne oggetto di culto di cinefili e critici per i decenni successivi.

Monte Hellman (1929-2021) è stato un vero e proprio artigiano del cinema.

Allievo del maestro indiscusso dei B-movie - il geniale produttore Roger Corman - e grande esperto di editing, il nostro ha firmato un numero piuttosto esiguo di lungometraggi, lavorando spesso in incognito per altri colleghi, in qualità di montatore, aiuto regista o supervisore alla sceneggiatura.

Tra le sue memorabili pellicole ricordiamo ovviamente Strada a Doppia Corsia (forse il suo capolavoro) e Road to Nowhere, ma anche l'horror d'autore Silent Night, Deadly Night III e il cortometraggio Vive l'Amour.

Ma, come abbiamo detto, a conferirgli l'aura di venerato maestro agli occhi della critica è stato un dittico di western "acidi" che fece scuola.
Di seguito recensiamo entrambi i film, così che ognuno possa farsi un'idea di quale dei due sia il migliore o il più importante.



La Sparatoria

Una misteriosa ragazza (Perkins) convince una coppia di minatori - uno burbero e navigato (Oates), l'altro più giovane e poco intelligente - ad accompagnarla in un viaggio nel deserto.

Poco più tardi si unisce a loro uno spietato bounty killer nerovestito (Nicholson).
Un po' alla volta i due si rendono conto di non essere guide, ma ostaggi, e che il loro pellegrinaggio è in realtà una caccia all'uomo...

Dei due lungometraggi, questo è il più famoso e generalmente il più apprezzato.
Anche noi lo consideriamo più riuscito e intrigante.

Procedendo per ellissi, tra silenzi e ralenti, il racconto assume strada facendo sempre più valenze metafisiche, come suggeriscono il colpo di scena conclusivo e il finale sospeso (non dissimile, per certi versi, a quello di Strada a Doppia Corsia).

Come confermeranno le opere successive, Hellman è un regista che lavora di sottrazione, sfoggia un talento visionario non comune e risulta capace di momenti di raro lirismo.

Per quanto concerne il cast: Oates è sempre bravissimo e la Perkins è adeguatamente antipatica, ma il personaggio più iconico e cool è quello di Nicholson, qui ancora attore emergente ma già dotato di un carisma da divo.



Le Colline Blu

Finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato, una coppia di cowboy - uno giovane (Nicholson), l'altro più anziano - vengono scambiati per membri di una banda di rapinatori e inseguiti dagli uomini della legge.

Costretti a fuggire in un canyon, si rifugiano presso una famiglia di fattori che vive isolata.
Mentre la tensione sale sempre di più, i due pianificano di fuggire oltre le colline...

Girato di seguito a La Sparatoria, nello stessa location e praticamente con lo stesso cast e la stessa troupe, così da risparmiare sul budget ("trucco" comune a tutte le produzioni di Corman), Le Colline Blu è di solito considerato il capitolo più debole del dittico.

Basato su un copione dello stesso Jack Nicholson (pochi se lo ricordano, ma il futuro Joker è stato anche uno sceneggiatore e un regista), ha iniziato a essere rivalutato solo a partire dai primi anni 90.

Merito di Quentin Tarantino, che proprio in quel periodo scrisse di proprio pugno una celebre recensione postuma nella quale descriveva questo film come un capolavoro incompreso, "Uno dei western più autentici e brillanti mai realizzati".

L'autore di Django Unchained e C'era una Volta... a Hollywood deve parecchio a Monte: questi gli aveva prodotto Le Iene, permettendogli di fatto di iniziare una lunga e soddisfacente carriera.
QT ha saldato il proprio debito alla Mostra del Cinema di Venezia del 2010, consegnando personalmente nelle mani dell'anziano collega il Leone d'Oro alla carriera.

Come l'altro lungometraggio, Le Colline Blu è stato girato in esterni (nel deserto dello Utah) con luci naturali e nessun makeup per gli interpreti.
Lo stile è sempre minimalista, ma con maggior enfasi al realismo e alla riflessione.

Più lento e privo dell'elemento "misterioso" che caratterizzava La Sparatoria, ma non per questo meno sincero e potente.
Il cinema classico di John Ford non è così lontano.


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martedì 4 maggio 2021

IL PROCESSO AI CHICAGO 7, I MAGNIFICI SETTE (DEI DIRITTI CIVILI)

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2020
130'
Regia: Aaron Sorkin
Con: Sacha Baron Cohen, Eddie Redmayne, Mark Rylance, Joseph Gordon-Levitt, Frank Langella, Yahya Abdul-Mateen II, John Carroll Lynch, Michael Keaton.


Chicago, estate 1968.
Un gruppo di attivisti dei diritti civili, tra cui Abbie Hoffman (Baron Cohen) e Tom Hayden (Redmayne), parteciparono ad una manifestazione contro la guerra nel Vietnam che sfociò in uno scontro tra i manifestanti e la Guardia Nazionale.

Cinque mesi dopo, 7 (+1) di loro vennero arrestati con le accuse di cospirazione e incitamento alla sommossa.
Il processo che ne seguì ottenne un'ampia eco mediatica ed ebbe un forte impatto sull'opinione pubblica.



Chi è Aaron Sorkin?
Per molti è uno sceneggiatore di lungo corso che vinse l'Oscar un decennio or sono grazie a The Social Network di David Fincher (sì, proprio l'autore di Se7en e Mank).

Non tutti sanno però che questo ex drammaturgo di mezza età è pure un valido regista.
Dopo l'esordio dietro la cinepresa nel 2017 con Molly's Game (protagonista l'affascinante Jessica Chastain), il nostro ha firmato la propria opera seconda, che in tanti avevano dato tra le favorite nella corsa a Golden Globe e Oscar.

Sappiamo com'è finita: dopo il Globo per la miglior sceneggiatura, tutte e 6 le nomination per gli Academy Awards sono andate a vuoto.
Peccato: nonostante qualche difetto, Il Processo ai Chicago 7 è una pellicola che merita almeno una visione.

La forza principale di questo legal drama risiede nella sua attualità: racconta un episodio degli anni 60, ma chiaramente parla dell'America di oggi.
Difficile non vedere un parallelo - benché ideologicamente agli antipodi - tra i Chiacago 7 di allora e i Proud Boys di oggi.

Chiariamo: non c'è alcuna volontà di concedere pari dignità ai due movimenti o di giustificare le azioni dei facinorosi che, aizzati da Donald Trump, a inizio anno hanno assaltato Capitol Hill tentando - e fallendo - un colpo di stato.

Anzi, Sorkin non nasconde la propria fede democratica e strizza l'occhio anche a Black Lives Matter.
In definitiva, la sua tesi è: gli Stati Uniti hanno sempre avuto una storia violenta, anche recente, di insurrezioni civili e sociali, però c'è protesta e protesta.

A fare la differenza non è da quale parte della barricata si combatte (quella del popolo o quella delle istituzioni), ma per quale causa, per quale ideale.



Il regista esponde questo pensiero per mezzo di numerose libertà storiche e licenze artistiche che gli hanno attirato diverse critiche (e probabilmente precluso la conquista di una statuetta).
Si tratta tuttavia di un film, non di un documentario.

Come ha detto lo stesso Sorkin in un'intervista: "I personaggi non sono impersonificati, sono interpretati".
E se a farlo è un cast di grande caratura, allora c'è di che accontantarsi.

Si noti che molti dei protagonisti, pur recitando il ruolo di Americani, sono in effetti di nazionalità britannica!
Mark Rylance (già premio Oscar per Il Ponte delle Spie e visto successivamente nel sottovalutatissimo Ready Player One), Eddie Redmayne (anch'egli oscarizzato grazie a La Teoria del Tutto e poi protagonista della serie Animali Fantastici) e Sacha Baron Cohen (che proprio con Redmayne aveva condiviso il set di Les Misérables) sono straordinariamente credibili ed efficiaci.

Proprio quest'ultimo svetta su tutti: in uno dei suoi rari ruoli seri, il comico inglese ha dovuto recitare con un accento yankee per interpretare Abbie Hoffman, un nativo del Massachusetts trapiantato in California.
C'è riuscito così bene da essere stato candidato agli Academy Awards come miglior attore non protagonista.

Come purtroppo sappiamo, la sua nomination - così come quella per la miglior sceneggiatura non originale, ottenuta grazie a Borat 2
- è rimasta tale.
Senza nulla togliere a Daniel Kaluuya (il protagonista di Scappa-Get Out è stato premiato al suo posto per Judas and the Black Messiah, un altro biopic ambientato più o meno nello stesso periodo storico), Sacha non avrebbe affatto demeritato.

Nei ruoli di contorno, tra il giovane Joseph Gordon-Levitt (lo ricordate in Inception e Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno?) e l'anziano Frank Langella (grande attore di formazione teatrale, specializzato in ruoli di cattivo), emerge - tanto per cambiare! - Michael Keaton.

Come sappiamo, l'ex Batman (a proposito: è di questi giorni la clamorosa conferma che rivestirà i panni dell'Uomo Pipistrello nel film "solista" di Flash della Justice League!) sta vivendo negli ultimi anni una seconda giovinezza artistica, iniziata col plurioscarizzato Birdman.
Qui fa poco più di una comparsa, ma la sua performance ricorda da vicino quella - ottima - di un altro recente lungometraggio di impegno civile, Il Caso Spotlight.

Con uno script forse più consono al palcoscenico che al grande/piccolo schermo, Il Processo ai Chicago 7 resta una pellicola da vedere, su cui riflettere e di cui discutere.
Anche senza il blasone portato dagli Oscar.


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