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USA, 2020
131'
Regia: David Fincher
Interpreti: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Charles Dance, Arliss Howard, Tom Pelphrey, Ferdinand Kingsley, Tuppence Middleton, Tom Burke
Chi è Mank, diminutivo di Herman J. Mankiewicz?
È il fratello di Joseph Mankiewicz - regista che ha vinto due Oscar consecutivi, come solo John Ford prima di lui e
Alejandro González Iñárritu dopo di lui - e colui che ha vinto insieme ad Orson Welles l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale per il capolavoro
Quarto Potere nel 1942.
È uno scrittore e drammaturgo brillante, ben pagato, ma paradossalmente sottoutilizzato in pellicole di secondo piano.
È un uomo di mondo brillante e caustico, disincantato e sardonico.
È un uomo sposato che vagheggia di amori con donne impossibili - amori che rimangono comunque platonici, anche per sua scelta.
È un uomo che annega nell'alcool, ma che cerca di galleggiare in quel mare di corruzione, potere, ingiustizia, sogni interrotti, illusioni che è Hollywood.
Mank è colui che David Fincher si è ripromesso di vendicare.
Basandosi su uno
script di Jack Fincher (suo padre), a sua volta ispiratosi ad un articolo della critica cinematografica Pauline Kael, egli sposa la teoria secondo la quale la sceneggiatura di
Quarto Potere, da moltissimi critici esaltato (secondo noi non a torto) come il miglior film di tutti i tempi (sebbene non sia stato un successo al botteghino, ai tempi), sia quasi esclusivamente farina del sacco di Mankiewicz, mentre l'apporto del tanto osannato Orson Welles di fatto si ridurrebbe a pochi interventi.
Welles, con la sua personalità strabordante, avrebbe messo in ombra così lo sceneggiatore, che sarebbe poi scivolato nell'oblio.
In questo racconto di potere, creatività, arte reso affascinante da una regia esperta che sa ricreare sapientemente l'atmosfera hollywoodiana degli anni Trenta e Quaranta, da una fotografia in bianco e nero fascinosa (di Erik Messerschmidt), dalla colonna sonora suggestiva di Trent Reznor e Atticus Ross, da un cast di ottimi attori - tra i quali spiccano un impressionante Gary Oldman (che, è bene ricordarlo, ha vinto il suo primo Oscar solo nel
2018) e la brava Amanda Seyfried (ve la ricordate in
Les Misérables?) - c'è però qualcosa che non va.
Chi ha letto libri, articoli, interviste su
Quarto Potere, chi lo ha visto e chi ha visto i film successivi di Orson Welles (
L'Orgoglio degli Amberson, Macbeth, Otello, L'Infernale Quinlan, F come Falso, autentici capolavori), non può negare quanto del regista ci sia nella sua opera più famosa.
Se è vero infatti che il protagonista, il magnate Charles Foster Kane, è calcato principalmente (ma non esclusivamente, occorre notare) sul ricchissimo e potente
tycoon William Randolph Hearst - che difatti aveva poi intrapreso una violenta campagna denigratoria e legale contro la pellicola - che Mankiewicz conosceva bene, è altrettanto vero che Welles gli ha dato il proprio corpo, il proprio carattere, la propria ambizione smisurata, il proprio egocentrismo e ha utilizzato elementi autobiografici per costruirne la vicenda umana.
Fincher, che pure ha al suo attivo alcuni tra i film più rappresentativi degli ultimi anni, come
Se7en, Fight Club, Panic Room, Zodiac, Il Curioso Caso di Benjamin Button, The Social Network, Gone Girl, sminuisce Welles e il ruolo che ha avuto nella genesi di
Quarto Potere (significativo anche il poco spazio in cui compare l'attore che lo rappresenta, Tom Burke) e lo ha fatto anche in diverse interviste, mettendo in discussione pure il suo ruolo di innovatore del linguaggio cinematografico.
Ma non tenere conto del contributo del regista è disonesto e fuorviante e secondo noi si ritorce contro lo stesso Fincher: alla luce di questo gelido, calcolato, meditato furore iconoclasta,
Mank suona falso, bugiardo, livoroso, parziale, incompleto.
Senza contare che l'articolo di Pauline Kael, alla base dello
script del film, era già stato ampiamente smentito da più parti.
L'impressione è che
Mank sia in realtà più un ingiusto
J'accuse nei confronti di Welles che un omaggio ad un artista di talento.
Sono stati fatti numerosi film con protagonisti degli sceneggiatori - a titolo di esempio citiamo gli straordinari
Viale del tramonto di Billy Wilder (1950),
8 1/2 di Federico Fellini (1963),
Barton Fink dei fratelli Coen (1991),
Caro Diario di Nanni Moretti (1993), oltre ai più recenti (e comunque notevoli)
Il Ladro di Orchidee di Spike Jonze (2002),
Trumbo di Jay Roach (2015).
Tutti molto efficaci nel rendere giustizia ad una figura che nel cinema è fondamentale, ma che spesso è considerata marginale dal grande pubblico.
Anche il buon Mankiewicz ne avrebbe meritato uno per sé.
Più sincero.
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