I CLASSICI: ROBOCOP (1987), LA VENDETTA DEL CYBERSBIRRO
USA, 1987
101'
Regia: Paul Verhoeven
Interpreti: Peter Weller, Nancy Allen, Kurtwood Smith, Ronny Cox, Miguel Ferrer, Paul McCrane, Ray Wise.
In una metropoli distopica in cui le multinazionali hanno sostituito l'amministrazione pubblica e il commento dei telegiornali è ossessivo, un poliziotto onesto viene massacrato di spari da una pericolosissima banda criminale.
Eppure riesce a sopravvivere, prestandosi a fare da cavia per una società che costruisce robot per la sicurezza.
Diventerà un cyborg implacabile e avrà la possibilità di rifarsi una vita, di fare giustizia in città e di vendicarsi dei suoi assalitori.
Pochi altri film hanno definito l'immaginario cyberpunk degli anni 80 come questo poliziesco fanta-orrorifico, firmato da un visionario regista olandese in trasferta transoceanica che successivamente continuerà a mietere successi con pellicole quali Atto di Forza (1990), Basic Instinct (1992) e Starship Troopers-Fanteria dello Spazio (1997).
Vuoi per gli effetti speciali all'avanguardia di Phil Tippett (generati con un computer Commodore Amiga!), vuoi per i trucchi e il make-up del geniale Rob Bottin (sua l'iconica tuta robotica del protagonista), vuoi ancora per l'ironia sotterranea che lo permea, Robocop riesce a travalicare la trucida materia narrativa per diventare un classico: un apologo pessimista, ma non sconsolato, sul futuro dell'umanità.
Rispetto al rifacimento firmato dal brasiliano José Padilha (regista di culto per Tropa de Elite e Tropa de Elite 2), l'originale bada meno alla psicologia dei personaggi e punta molto più sullo spettacolo, con sparatorie, esplosioni e più di una concessione allo splatter più trucido.
Verhoeven vi inserisce inoltre un'interessante (ma discutibile) dimensione religiosa: RoboCop come figura cristologica postmoderna?
Nelle intenzioni del regista, le ferite alle mani del protagonista dovrebbero richiamare quelle di Gesù sulla croce e quelle alla testa sarebbero un parallelo con la corona di spine.
In una delle sequenze finali sembra persino che l'eroe cammini sulle acque, che poco più tardi diventeranno rosse (di sangue, però, non di vino).
Delirio mistico a parte, che cosa davvero si potrebbe rimproverare a questo film è l'assenza di Michael Keaton, che invece è il vero fiore all'occhiello del recente remake.
Al contrario, qui è più felice la scelta del "buono" (il rigido ma espressivo Weller) che quella del principale "cattivo" (Cox, un po' inamidato).
Tra le figure di contorno, notare i molti volti noti di cinema e TV: Kurtwood Smith con inquietanti occhialini alla Heinrich Himmler (era il severissimo padre di L'Attimo Fuggente, ricordate?), Miguel Ferrer (Twin Peaks) in versione yuppie, Paul McCrane (ER-Medici in Prima Linea) e Ray Wise (di nuovo Twin Peaks) come banditi sadici.
Reazionario nella forma e progressista nel contenuto, RoboCop è un ritratto spietato della società americana: dietro all'ambientazione fantascientifica c'è la forte critica agli Stati Uniti anni Ottanta, un Paese in balia della criminalità di strada e di corporation dove non c'è spazio per l'umanità e la pietà.
Insomma, l'America capitalista di Ronald Reagan.
PS: per concludere, una curiosità per cinefili. A questa pellicola ha dato un piccolo (ok, minuscolo) contributo un altro importante regista.
Si tratta di... Monte Hellman!
L'autore di culto di film come Strada a Doppia Corsia e Road to Nowhere ha diretto - non accreditato - le brevi immagini di RoboCop mentre guida per la città.
D'altra parte, nessuna clamorosa sorpresa: come suggeriscono i titoli citati, Hellman è uno che di strade se ne intende.
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