CINEMA A BOMBA!

giovedì 27 luglio 2017

GEORGE A. ROMERO. ZOMBI (DAWN OF THE DEAD), IL MATTINO HA L'ARGENTO IN BOCCA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 1978
126'
Regia: George A. Romero
Interpreti: Ken Foree, Gayleen Ross, David Emge, Scott Reiniger, Joe Pilato, Tom Savini.


Mentre gli Stati Uniti sono invasi da un’improvvisa quanto inspiegabile ondata di non-morti, tre uomini e una donna si barricano all’interno di un centro commerciale.
La situazione, già tesa, precipita con l'irruzione di una banda di motociclisti sciacalli...

10 anni dopo l'epocale La Notte dei Morti Viventi, George A. Romero torna agli "amati" zombi filmandoli per la prima volta a colori.
Ma non si tratta tanto di un seguito quanto di una variazione sul tema del film precedente, come avverrà per quasi tutte le pellicole successive.

La cosa più curiosa su questo 2° capitolo della trilogia (che poi diventerà un'esalogia) è che ne esistono... due versioni distinte!
Quella distribuita in patria, chiamata Dawn of the Dead, è un po' più lunga e ha avuto un successo moderato; quella europea si intitola Zombi e vanta la collaborazione di Dario Argento.

Il maestro italiano del cinema orrorifico è accreditato come co-autore della colonna sonora (!), ma è certo che supervisionò la sceneggiatura e modificò drasticamente il montaggio, dando più ritmo al film e inserendovi le ossessive musiche dei Goblin.
Una versione che lo stesso Romero - amico fraterno di Argento - ha sempre dichiarato di preferire all'originale.






Superiore per inventiva e pathos al capitolo precedente, Zombi è la prova che il regista newyorkese sia stato - insieme a John Carpenter - il più liberal tra i cineasti horror americani.
Non è un caso che questo film sia uscito nello stesso anno dell'altrettanto epocale Halloween: Romero condivide con Carpenter la medesima visione pessimistica sull'America.

Se La Notte era stato interpretato come una parabola anti-razzista, Dawn of the Dead è esplicitamente e dichiaratamente un atto d'accusa nei confronti della società dei consumi, esemplificata dal centro commerciale dove il gruppo di sopravvissuti si illude di trovare un'oasi di pace e benessere.
Il talento visionario e la sottile ironia del regista veicolano il messaggio fino a un finale non del tutto privo di speranza.

Ottimi e determinanti gli effetti speciali di Tom Savini, virtuoso attore-truccatore noto per Dal Tramonto all'Alba, che qui recita la parte del centauro-teppista Blades (molti anni dopo il personaggio ricomparirà brevemente in Land of the Dead).

Anche a distanza di quasi 40 anni, Zombi non ha perso un briciolo del proprio impatto.
Un'opera imprescindibile per i patiti dell'horror politico o semplicemente per tutti i fan di George Andrew Romero.




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domenica 23 luglio 2017

GEORGE A. ROMERO. LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI, IL SESSANTOTTHORROR

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 1968
96'
Regia: George A. Romero
Interpreti: Duane Jones, Judith O’Dea, Marilyn Eastman, Judith Ridley, Keith Wayne, George A. Romero.


Un gruppo di persone - un afro-americano, una ragazza, un giovanotto e la sua morosa, un uomo con moglie e figlioletta malata a seguito - trova rifugio in una casa abbandonata.

A dar loro la caccia sono morti tornati in vita e ora affamati di carne fresca - la loro.

Assediati e circondati, riusciranno a resistere agli attacchi dei mostri e a sopravvivere?






Alla vigilia dell'uscita nel 1968, pochi avrebbero pensato che La Notte dei Morti Viventi sarebbe stato un successo mondiale al botteghino e una pietra miliare del cinema (non solo dell'orrore).

È probabile che non l'avesse pensato neppure il ventottenne regista George Andrew Romero, che si era occupato anche di soggetto e sceneggiatura (insieme a John A. Russo),montaggio, fotografia, musiche, e di trovare finanziatori per quella che di fatto era l'opera prima di uno sconosciuto autore di pubblicità e cortometraggi.

Il budget racimolato era molto basso (114.000 dollari circa, una miseria anche per l'epoca) e ciò condizionò non poco i contributi tecnici: per il trucco ci si arrangiò con il fai-da-te (se n'è occupato soprattutto uno degli attori), gli effetti speciali non si può dire che fossero sofisticati, la colonna sonora era stata riciclata da altri spettacoli.

Gli attori? Tutti sconosciuti - addirittura alcuni di essi non avevano neppure un'esperienza recitativa alle spalle.

Le motivazioni? Labili: Romero & C. volevano fare un film a tutti costi e la scelta di optare per un horror era dettata principalmente dal fatto che il genere, in quel periodo, "vendeva molto".

Insomma, le premesse erano degne di un Plan 9 From Outer Space o comunque di un filmetto senza troppe pretese.

Ma a differenza di prodotti simili, questo aveva qualcosa in più.

Idee innovative - prima di allora, le pellicole dell'orrore avevano un'ambientazione storica (gotica, soprattutto) oppure "esotica" (Europa, Antille...): trasporre la vicenda ai giorni nostri e negli Stati Uniti ha aiutato la verosimiglianza e l'immedesimazione negli spettatori.
Inoltre mancano gli eroi: tutti i personaggi sono incapaci di affrontare appieno la situazione; alcuni sono dei vigliacchi, altri stupidi, inerti e inetti, nel pieno di una crisi di nervi.

Resilienza (cioè la capacità di affrontare le difficoltà in modo reattivo e propositivo) - la pellicola, per mancanza di fondi, era stata girata in bianco e nero; ma proprio il contrasto tra ombre e luci rende certe inquadrature molto suggestive ed efficaci.

Immaginazione - Romero, pur non citandone mai il nome nel corso della narrazione, ha codificato definitivamente gli zombie come mostri con determinate caratteristiche: i segni nel corpo della loro morte, un insaziabile cannibalismo, la paura del fuoco, un incedere barcollante lento ma inesorabile, la possibilità di ammazzarli spaccando loro la testa.

Incoscienza - ci sono scene di violenza molto esplicite e crude e montate in modo tale da far provare sorpresa e spavento, e pure una (fugace) di nudo: non esattamente ciò a cui erano abituati gli spettatori.

Coraggio - va bene, eravamo nel Sessantotto, ma affidare il ruolo da protagonista ad un afro-americano era una bella sfida.

Romero si giustificò dicendo che il provino di Duane Jones era quello che lo aveva convinto di più; ma il quasi contemporaneo omicidio di Martin Luther King aveva caricato la scelta (in realtà, quindi, abbastanza casuale) di una valenza politica inaspettata.

Perciò anche l'intero film è stato letto da più parti, a seconda delle interpretazioni, come una metafora della guerra del Vietnam, della questione dei diritti civili, della Guerra Fredda, di un capitalismo disumanizzante, della fine del Sogno Americano...
Il regista, a proposito (e giustamente), è sempre rimasto sul vago riguardo al significato della sua opera.

Di certo, La Notte dei Morti Viventi è stato un film per molti versi sovversivo, incompreso (molti i critici che lo stroncarono senza appello) e in grado di avere un impatto notevole su tutta la produzione horror successiva - per esempio, su L'Esorcista di William Friedkin, un altro caposaldo del terrore di non molti anni posteriore - sebbene al giorno d'oggi, al netto di scene ancora impressionanti e spaventose, risulti un po' prolisso, lento (per buona parte della durata) e datato.

Come vedremo nel prosieguo dello Speciale, Romero avrà tuttavia l''intelligenza e l'umiltà di aggiornarsi di volta in volta in modo da venire incontro al pubblico nel corso del tempo e del mutare dei gusti, pur continuando ad occuparsi di zombie e pur restando coerente con il proprio stile e le proprie idee.

Chi pensava che il plauso del pubblico per La Notte dei Morti Viventi fosse stato solo un evento fortuito o un fenomeno da teenager e che il suo regista sarebbe rimasto intrappolato nel successo della sua creatura, dovette ricredersi.





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lunedì 17 luglio 2017

GEORGE A. ROMERO. PERCHÉ UNO SPECIALE

George A. Romero in mezzo agli zombie. 


Dici zombie (o zombi, italianizzando) e pensi ad un uomo solo.

Se c'è un regista che ha legato indissolubilmente carriera e fama quasi esclusivamente ad un sottogenere - nel caso specifico, l'horror con protagonisti i morti viventi - questi è George A. Romero, mancato il 16 Luglio 2017.

Questi mostri, nati nella tradizione haitiana, erano già approdati con vari adattamenti nella cultura occidentale: la loro prima pellicola è stata L'Isola degli Zombies del 1932 con Bela Lugosi - il celebre interprete di Dracula (nonché star del trashissimo Plan 9 From Outer Space) è stato portato sullo schermo poi in Ed Wood di Tim Burton da un ottimo Martin Landau (morto un giorno prima di Romero), che per questo ruolo ebbe un meritatissimo Oscar come miglior attore non protagonista - mentre il popolare romanzo Io Sono Leggenda di Richard Matheson (dal quale è stato tratto il celebre film con Will Smith) è del 1954.

Ma a renderli veramente famigliari al grande pubblico, con una serie di film cult che noi vi riproporremo, è stato Romero.

CINEMA A BOMBA! vuole perciò ricordarlo con uno Speciale - il secondo dedicato ad un cineasta, dopo quello relativo a William Friedkin - che possa rendere giustizia ad un Autore (sì, con la "a" maiuscola) troppo spesso e ingiustamente considerato di "serie B", ma in grado come pochi di plasmare l'immaginario collettivo e denunciare le storture delle società occidentali in modo molto arguto, originale, inventivo ed efficace.

Chi l'ha detto, infatti, che gli horror siano soltanto prodotti di facile intrattenimento?

Lo avevamo già visto parlando di L'Esorcista del Maestro, Halloween di John Carpenter, Nightmare di Wes Craven e della saga di Evil Dead ( La Casa, La Casa 2, L'Armata delle Tenebre) di Sam Raimi.

Seguiteci, e scoprirete quindi anche voi che "oltre gli zombie c'è di più"!




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domenica 16 luglio 2017

I CLASSICI: A BIGGER SPLASH, PANTELLERIA PORTALI VIA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Italia, 2015
120'
Regia: Luca Guadagnino
Interpreti: Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Matthias Schoenaerts, Dakota Johnson, Corrado Guzzanti, Aurore Clément, Elena Bucci


È un'estate particolarmente calda, a Pantelleria: calda per l'incombere dell'afa e per l'imminente arrivo dello scirocco; calda per l'arrivo massiccio di migranti dalla vicina Africa.

Ma alla famosa rockstar Marianne (Swinton) e al suo aitante toy boy Paul (Schoenaerts) questo interessa poco o niente: sono in vacanza ed hanno intenzione di rilassarsi, essendo reduci lei da un intervento alle corde vocali che l'ha lasciata temporaneamente afona, lui da un tentativo di suicidio.

La loro tranquillità ed il loro isolamento finiranno, però, con l'arrivo nell'isola dello scatenato Harry (Fiennes), ex di lei e produttore musicale, e della giovane sua figlia Penelope (Johnson).

Che innescheranno un turbinoso maelstrom di desiderio, attrazione, tentazione dagli esiti drammatici.






Caso più unico che raro: c'è un regista italiano più famoso negli States che in patria.

Se state pensando a Paolo Sorrentino, vi sbagliate: nel 2014, vincendo Golden Globe e Oscar per La Grande Bellezza si è fatto notare anche oltre Oceano e ha potuto così permettersi di utilizzare attori di caratura internazionale per le sue opere successive - Michael Caine per Youth-La Giovinezza (in concorso a Cannes 2015) e Jude Law per la serie Tv The Young Pope (presentata in anteprima a Venezia 2016).
Ma già precedentemente si era fatto apprezzare per i suoi film, soprattutto per Le Conseguenze dell'Amore (2004) e Il Divo (Premio della giuria a Cannes 2008 e candidato per il miglior trucco agli Oscar 2010).

No, stiamo parlando del siciliano Luca Guadagnino.

Dopo l'esordio con The Protagonist (1999) e il dimenticabile Melissa P. (2005), ha fatto il botto con Io Sono l'Amore, uscito un po' in sordina nel nostro Paese nel 2009, ma in grado di fare buoni incassi negli USA dopo critiche molto benevole e di ottenere addirittura una nomina agli Academy Award 2011 (per i costumi di Antonella Cannarozzi).

Buoni riscontri di critica e pubblico all'estero ha avuto anche A Bigger Splash - comunque in lizza per il Leone d'Oro a Venezia 2015 -, remake di La Piscina del 1969 di Jacques Deray con Alain Delon, Romy Schneider e Jane Birkin e "ispirato" anche all'omonimo quadro di David Hockney del 1967.

A cosa è dovuta tutta questa attenzione al di fuori dei patrii confini?

Sicuramente c'entra il talento: Guadagnino ha una grande padronanza tecnica, che lo porta a costruire le scene in modo efficace, a utilizzare al meglio gli attori, a creare atmosfere.

E poi sa scegliere molto bene ambientazioni - che diventano esse stesse centrali nella storia, "esotiche" protagoniste affascinanti e misteriose - si tratti della Riviera Ligure di Ponente (Sanremo, Dolceacqua, Castel Vittorio, Buggio), di Villa Necchi Campiglio a Milano o di Pantelleria - e collaboratori (tra questi citiamo l'ottimo montatore Walter Fasano).

Senza contare tematiche e stile: abbiamo già visto con Ratataplan, Cosimo e Nicole, Lo Chiamavano Jeeg Robot la necessità di alcuni nostri autori di distinguersi da una cinematografia italica generalmente ripetitiva e avvitata in se stessa.

Il siciliano ha scelto di venire incontro più ai gusti americani che a quelli europei e italiani - e il grande credito che gli viene dato nel Nuovo Continente è la conferma della bontà della scelta.

Ma probabilmente ci si è accorti delle capacità del regista grazie soprattutto alla collaborazione con una delle attrici più acclamate al mondo, la versatile Tilda Swinton, capace di passare con bravura e disinvoltura da pellicole impegnate a blockbuster quali Doctor Strange della Marvel.

I due hanno lavorato assieme finora per ben tre volte (solo nel film del 2005 l'interprete britannica non compare); ma si parla già di altri progetti comuni, come la rilettura di Suspiria di Dario Argento.

La Swinton è per Guadagnino una musa androgina, algida, distaccata ma troppo debole per resistere alla forza sconvolgente del desiderio e della passione.

E lo dimostra anche nella pellicola che stiamo trattando, storia di un quadrilatero amoroso anomalo, nel quale i personaggi "anziani" sono molto più vitali di quelli "giovani".

La gattamorta Penelope (Dakota Johnson, figlia di Don Johnson e Melanie Griffith, è la protagonista anche di Cinquanta Sfumature di Grigio e sequel) e il fusto depresso Paul (Schoenaerts), infatti, non hanno l'energia della rockstar Marianne né l'esuberanza invadente di Harry - un Ralph Fiennes estremo, mai così su di giri e scatenato: una vera forza della natura, figura ben lontana dai ruoli che solitamente gli vengono affidati o che si affida da solo (stiamo parlando, in questo caso, del suo esordio alla regia Coriolanus).

Sono proprio i due attori britannici il fulcro dell'intero film, ennesima dimostrazione che, se ti appoggi a interpreti credibili e professionali che portano gente al cinema e applausi della critica, il lavoro da cineasta è un po' più facile.

Guadagnino, in America, anche per i suoi progetti futuri avrà a disposizione budget e cast importanti - avrà a suo fianco Benedict Cumberbatch, Jake Gyllenhaal, Felicity Jones ( La Teoria del Tutto, Rogue One: A Star Wars Story), tra gli altri.

Speriamo che la nostra industria cinematografica si dia una svegliata: e se i talenti che stanno emigrando all'estero per mancanze di opportunità in Italia non dovessero più rientrare?

Il Paese di Federico Fellini, di Vittorio De Sica, dei maestri del Neorealismo e degli spaghetti western vuole giocare un ruolo da protagonista nel cinema mondiale - proponendo nuove idee e prospettive, raccontando storie universali con una propria originale sensibilità - o si accontenterà di fare da spettatore dei successi dei suoi figli all'estero?

Meglio darsi delle risposte il prima possibile, prima che altri talenti scappino altrove.




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lunedì 10 luglio 2017

GLI INEDITI: YOGA HOSERS, SONO AFFARI DI FAMIGLIA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2016
88'
Regia: Kevin Smith
Interpreti: Lily-Rose Depp, Harley Quinn Smith, Johnny Depp, Justin Long, Ralph Garman, Haley Joel Osment, Harley Morenstein, Vanessa Paradis, Jennifer Schwalbach, Jason Mewes, Kevin Smith, Stan Lee.


Canada. Due adolescenti, entrambe di nome Colleen (H.Q. Smith e L.R. Depp), lavorano - si fa per dire - in un supermarket chiamato "Eh-2-Zed".
Quando non sono impegnate a scrivere-fotografare-postare tutto quello che vedono, suonano in una punk band improvvisata nel retro del negozio e prendono lezioni di yoga da un istruttore eccentrico (Long).

La loro placida esistenza viene sconvolta dall'arrivo di un esercito di pericolosi Bratzi (tutti interpretati da K. Smith): nazi-salsicciotti umanoidi vestiti come le guardie canadesi.
Per sventare la minaccia, le ragazze uniranno le proprie forze a quelle del famigerato investigatore Guy LaPointe (J. Depp).

La carriera di Kevin Smith si può dividere in 3 fasi:
- Gli Anni d'Oro: da Clerks (1994) a Clerks 2 (2006).
- La Crisi: da Zack & Miri (2008) a Tusk (2014).
- La Rinascita: dal 2016 in avanti (ossia da The Flash a Supergirl, passando per il corto Cameo School).

Yoga Hosers appartiene all'ultima: 3° horror di fila dopo la spiazzante svolta di Red State nel 2011 (Smith fino ad allora era noto come autore di commedie) e 2° capitolo della Trilogia del Profondo Nord iniziata con Tusk, con cui condivide quasi l'intero cast e buona parte dei personaggi, questa pellicola è in realtà molto superiore alle dirette precedenti e segna un evidente ritorno di forma del regista.

Ammesso che di horror si possa parlare: se Red State rientrava di diritto nella categoria e Tusk veniva alleggerito da qualche innesto umoristico (ancorché un po' incongruo), qui la componente comica prende decisamente il sopravvento.
Viene subito alla mente la trilogia di Evil Dead, con la sua progressiva trasformazione da splatter movie a commedia demenziale (vedi La Casa, La Casa 2 e L'Armata delle Tenebre).

Ma questo è solo uno degli innumerevoli omaggi disseminati nel corso del film.
Yoga Hosers è in pratica una continua citazione: dai teen movie di John Hughes a Batman (la serie tv del '66 e quella animata degli anni 90, non il lungometraggio di Tim Burton), da Gremlins a Critters, da La Strana Voglia a Degrassi Junior High, da Ragazze a Beverly Hills a Operazione Canadian Bacon.
Un pastiche così bizzarro e fumettoso da richiedere anche una bella comparsata "marveliana" di Stan Lee.






Le battute e i giochi di parole sul paese della foglia d'acero e i suoi abitanti ovviamente si sprecano. Ve ne bastino due: i cereali Lucky Charms che diventano Pucky Charms (puck è il dischetto dell'hockey) e Instagram che si trasforma in InstaCan (a proposito: geniale la trovata delle ragazze che vedono le persone come profili di un social).

Ma non manca neppure una pungente nota autobiografica. Fate attenzione al 3° atto e al catartico monologo finale del cattivo (Garman): dicono molto sul regista, sulla propria carriera recente e sul suo rapporto con la critica specializzata...

Kevin Smith si diverte e diverte, smette di prendersi sul serio ed esalta la prova delle due protagoniste, che probabilmente faranno strada: H.Q. Smith e L.R. Depp portano cognomi importanti, ma possiedono indubbie capacità recitative.
La prima è figlia del regista e di Jennifer Schwalbach (la proprietaria della tavola calda), la seconda è figlia di Vanessa Paradis (l'insegnante di storia) e di Johnny Depp (quasi irriconoscibile sotto il trucco pesante).

Sono affari di famiglia, ma poco importa: quel che conta è che Kevin abbia riacquistato fiducia in se stesso e giri film per il piacere proprio e altrui, senza badare né alle critiche - che pure sono piovute in abbondanza - né al botteghino.
Infatti, archiviati - forse per sempre - Clerks 3 e Mallrats 2, il cineasta del New Jersey sta per iniziare le riprese di Jay & Silent Bob Reboot e ha in progetto di chiudere la sua trilogia canadese con Moose Jaws ("Come Lo Squalo, ma con un alce", ha annunciato in un'intervista).

Se vi piacciono le trame lineari, l'umorismo raffinato e gli effetti speciali, girate alla larga.
Se invece siete fan del regista o semplicemente vi va di passare un'ora e mezzo di spensieratezza e divertimento senza pretese, potreste scoprire che Yoga Hosers - colpevolmente rimasto inedito in Italia - è una delle opere più riuscite e sottovalutate della scorsa stagione.




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