CINEMA A BOMBA!

giovedì 29 settembre 2022

I CORTI: MA'AMALADE SANDWICH YOUR MAJESTY?, GOD SAVE THE BEAR... EHM, QUEEN!

(Clicca sulla foto per vedere il corto). 

UK, 2022
2'
Con: Queen Elizabeth II, Simon Farnaby, Ben Whishaw (voce).


Da qualunque lato la si guardi, la recente dipartita della Regina di Inghilterra è stata un evento epocale.
C'è chi si è commosso, chi ha colto l'occasione per rilanciare la transizione da Monarchia a Repubblica, chi ha seguito o partecipato ai funerali per mera curiosità.

In queste settimane, in virtù di una copertura non-stop da parte di giornali e televisioni, abbiamo scoperto e imparato ogni dettaglio della sua vita e dei suoi 7 decenni di sovranità.
Ma forse non tutte/i sanno che, solo pochi mesi fa, Sua Maestà ha preso un tè con... l'orso Paddington!

Il personaggio creato dall'illustratore Michael Bond è il protagonista di una serie di libri per bambini amatissima nel Regno Unito.
Per capire l'importanza e la bizzaria di questo duetto, immaginate il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden che compare in una clip mentre vola coi palloncini insieme alla scimmietta Curious George...

L'occasione è stata il Giubileo di Platino di Elisabetta II festeggiato lo scorso 4 giugno fuori da Buckingham Palace con un mega concerto che ha visto coinvolti alcuni dei principali musicisti pop britannici, dai Queen (ovvio) ai Duran Duran.

A dare il via all'evento è stato proprio il breve cortometraggio che vi stiamo recensendo, durante il quale il quadrupede più popolare d'Oltremanica combina un paio di pasticci dei suoi prima di ringraziare la regina, tenendo insieme a lei il tempo della canzone We Will Rock You con l'aiuto di un paio di cucchiaini.

Momento cult: quando l'orsetto offre alla quasi centenaria sovrana un sandwich alla marmellata - un trademark del personaggio - e lei gli svela di averne già uno nella propria borsetta!
Vogliamo ricordare la regnante più longeva della storia così, con questa scenetta.

E per le recensioni dei due lungometraggi dedicati al simpaticissimo Paddington?
Pazientate, presto o tardi arriveranno...


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giovedì 22 settembre 2022

I CLASSICI: FINO ALL'ULTIMO RESPIRO, IL CINEMA DESTRUTTURATO E RIVOLUZIONARIO DI GODARD

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Francia, 1960
90'
Regia: Jean-Luc Godard
Con: Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Jean-Pierre Melville, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard.


Ladruncolo da strapazzo, Michel Poiccard (Belmondo) ruba un'auto.
Fermato per eccesso di velocità da un poliziotto, uccide questo e si dà alla fuga.

Braccato dalle forze dell'ordine, rintraccia una ragazza americana di cui è innamorato (Seberg) e pianifica di fuggire con lei in Italia...


Poche pellicole hanno cambiato le regole del "gioco" cinematografico come quella che vi stiamo recensendo.
Pochi registi hanno saputo osare come Jean-Luc Godard.

Fino all'Ultimo Respiro è stato il film-manifesto della Nouvelle Vague, il movimento artistico, politico e culturale francese che tra gli anni 50-60 rivoluzionò il modo di intendere la settima arte.

Ne facevano parte alcuni giovani cineasti in erba, molti dei quali provenienti dalla critica giornalistica dei Cahiers du Cinéma, la più prestigiosa rivista cinematografica francese (e probabilmente mondiale).

Tra questi proprio Jean-Luc, che esordì con questo lungometraggio riscrivendo e mettendo in immagini una storia ideata dai suoi colleghi e amici François Truffault e Claude Chabrol, che a loro volta sarebbero diventati auteurs affermati e rispettati.

Più che per l'esile trama, il film è ricordato per lo stile innovativo e non convenzionale: è una dichiarazione di superiorità della forma sulla sostanza, del Segno sul Senso.
Famoso soprattutto il montaggio "a salti", che conferisce un ritmo nervoso e serrato.

Fu il collega Jean-Pierre Melville - il maestro del gangster movie transalpino - a suggerire questa tecnica quando Godard si mostrò combattuto su quali scene tagliare per ridurre la durata della pellicola.
Perché rinunciare a intere sequenze quando si possono semplicemente eliminare qua e là tanti piccoli frammenti privi di dialoghi e movimento? Detto fatto.

Ci sono almeno 3 momenti memorabili: l'inizio, in cui Godard - giocando col montaggio - si diverte a "ingannare" le percezioni degli spettatori (vi siete mai accorti che lo sguardo del protagonista è rivolto dalla parte sbagliata rispetto all'azione?); l'omicidio del poliziotto, suggerito anziché mostrato; l'epilogo, tragico ma non serio.

Che dire poi dei due attori principali?
Se da un lato la Seberg è più che adeguata al ruolo, dall'altro Belmondo è prefetto.
Imitando sfacciatamente Humphrey Bogart, verrà a sua volta imitato fino alla nausea (un probabile esempio? Joe Strummer nel pulp-western post-moderno Straight to Hell).

Jean-Luc Godard verrà ricordato come un vero artista, idolatrato da gente come Quentin Tarantino (che ha chiamato la propria casa di produzione A Band Apart, gioco di parole con Bande à Part, un altro celebre lungometraggio del cineasta francese) e capace di mettersi in gioco fino all'ultimo, come dimostra la Palma d'Oro speciale vinta a Cannes 2018.

Fino all'Ultimo Respiro è invece già passato alla storia.
Non solo come un esperimento ambizioso e riuscito, ma come un autentico capolavoro del cinema.


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venerdì 16 settembre 2022

DC LEAGUE OF SUPER-PETS, IL CANE È IL MIGLIOR AMICO DEL (SUPER)UOMO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA/Australia, 2022
105'
Regia: Jared Stern
Voci originali: Dwayne "The Rock" Johnson, Kevin Hart, John Krasinski, Olivia Wilde, Diego Luna, Keith David, Alfred Molina, Lana Headey, Keanu Reeves.


Krypto (Johnson) è il fedele cane di Superman (Krasinski) fin dalla più tenera età, ma è geloso del fidanzamento del suo padrone con la giornalista Lois Lane (Wilde).

Quando l'Uomo d'Acciaio viene rapito dal perfido Lex Luthor, al quadrupede non resta che allearsi con un improvvisato team di animali abbandonati, guidato dal disilluso Asso (Hart)...


Avete presente la Justice League, ossia la supersquadra composta da Batman, Superman, Wonder Woman, Flash, Cyborg, Aquaman e - in alcuni casi, come questo - Lanterna Verde (di fatto gli Avengers della DC Comics)?
Ecco, ora immaginatevela in versione... semi-canina!

Supereroi e cani: una combo perfetta per entusiasmare il pubblico più giovane, come gli incassi registrati finora confermano!
Ma anche un'occasione piacevole per gli adulti, considerata la quantità di riferimenti meta-cinematografici e meta-fumettistici che solo chi non è più bambino può cogliere.

Se questo lungometeaggio funziona è merito soprattutto di un ritmo serrato che non concede momenti di noia, una sceneggiatura adeguatamente brillante e un cast vocale di prim'ordine.

A tal proposito, ci permettiamo di consigliarne la versione originale: sia perché abbiamo avuto l'impressione che alcune battute siano andate perse nella traduzione, sia perché il doppiaggio italiano - benché meno osceno di quello che ci si potrebbe aspettare - risulta appena sufficiente.

Vedendo il film in lingua inglese si possono invece apprezzare le performance di un nutrito gruppo di attori di serie A: dall'ex wrestler The Rock (Jumanji, Red Notice) al novello Mr. Fantastic Krasinski, dal messicano Luna (ve lo ricordate in Star wars: Rogue One?) alla bellissima Wilde già apprezzata in Her-Lei e nel recente Ghostbusters: Legacy.

Che dire poi di Keanu Reeves?
Il divo di Point Break e Matrix se la cava inaspettatamente bene nei panni (virtuali) dell'Uomo Pipistrello, al punto che quasi non si rimpiangono né Ben Affleck né Michael Keaton.

Occhio infine alla spassosa scena post-credits: viene introdotto un personaggio che presto avrà una pellicola in live action dedicata e compare un altro adorabile supercanide, Anubi (anch'esso con la voce originale di Johnson).

DC League of Super-Pets è un film per tutta la famiglia, uno di quelli che si rivede volentieri più volte e di cui ci si ritrova già ad attendere il seguito.
È proprio vero quel che si dice: il cane è il miglior amico dell'uomo.
Di più: anche del super-uomo.


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mercoledì 14 settembre 2022

VENEZIA 2022. I VINCITORI AL LIDO (CON VISTA SU HOLLYWOOD)

Dall'alto: la regista Laura Poitras (a destra) con la fotografa e attivista Nan Goldin, protagonista del documentario vincitore del Leone d'Oro, All the Beauty and the Bloodshed; Luca Guadagnino con il Leone d'Argento per la migliore regia; Cate Blanchett con la Coppa Volpi per la migliore attrice; Martin McDonagh con il premio per la migliore sceneggiatura. 



Leone d'oro al miglior film: All the Beauty and the Bloodshed, regia di Laura Poitras
Leone d'argento - Gran premio della giuria: Saint-Omer, regia di Alice Diop
Leone d'argento per la miglior regia: Luca Guadagnino per Bones and All
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Cate Blanchett per Tár
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Colin Farrell per Gli spiriti dell'isola (The Banshees of Inisherin)
Premio Osella per la migliore sceneggiatura: Martin McDonagh per Gli spiriti dell'isola (The Banshees of Inisherin)
Premio speciale della giuria: Gli orsi non esistono (Khers nist), regia di Jafar Panahi
Premio Marcello Mastroianni ad un attore o attrice emergente: Taylor Russell per Bones and All

Questi i responsi della 79a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

Che offrono interessanti spunti di riflessione.

Innanzitutto il feeling che la Mostra di Venezia ha con le opere non di finzione, soprattutto nell'era Barbera.

Molti sono sempre i documentari presenti in cartellone - qualcuno anche "promosso" nella selezione ufficiale, come quest'anno è successo a All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras (già Premio Oscar nel 2015 per Citizenfour, su Edward Snowden).

E proprio questo omaggio alla vita della fotografa e attivista Nan Goldin ha convinto la giuria capitanata da Julianne Moore a tal punto da portarsi a casa il riconoscimento più ambito, quel Leone d'Oro che solo un'altra volta in precedenza era andato ad un documentario (nel 2013 a Sacro GRA del nostro Gianfranco Rosi, che quest'anno invece era fuori concorso con In viaggio, su Papa Francesco).

Chissà se riuscirà a convincere anche i membri dell'Academy Award...

Eh sì, perché dall'altra parte dell'Oceano si guarda sempre con molto interesse alle pellicole presentate come in odore di Oscar e si analizzano le reazioni del pubblico a questo o a quel titolo.

Il palmarès può fornire qualche indicazione per individuare un papabile almeno a qualche nomination, anche se le scelte delle giurie da festival, così eterogenee e cosmopolite, quasi mai coincidono con i gusti dell'Academy.

Ma quest'anno, oltre al Leone d'Oro, consiglieremmo di dare un'occhiata a chi ha vinto le Coppe Volpi: due pesi massimi di Hollywood.

Cate Blanchett ha convinto tutti in Tár di Todd Field e ha sbaragliato un'agguerrita concorrenza, che comprendeva, tra le altre, le acclamate Ana de Armas (nei panni di Marilyn Monroe nel discusso Blonde), la camaleontica Tilda Swinton e - attenzione! - la transgender Trace Lysette.

Colin Farrell, invece, ha vinto una sfida che potrebbe riproporsi al momento degli Oscar: quella col rilanciato Brendan Fraser, irriconoscibile in The Whale di Darren Aronofsky.

Il film per il quale è stato premiato, The Banshees of Inisherin, è uno di quelli che ha maggiormente messo d'accordo critica e pubblico e non dubitiamo del fatto che nei prossimi mesi se ne sentirà ancora parlare.

D'altra parte il regista non è altro che Martin McDonagh, il brillante autore di veri e propri cult quali Six Shooter, In Bruges (anche questo con la coppia Colin Farrell - Brendan Gleeson), 7 Psicopatici e soprattutto Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, che gli valse proprio a Venezia il riconoscimento per la migliore sceneggiatura, bissato quest'anno.

Difficile che in America si guardi con molto interesse ai prestigiosi premi andati pur meritatamente alla giovane franco-senegalese Alice Diop e al cineasta iraniano dissidente e perseguitato Jafar Panahi.

Molto interesse hanno al contrario suscitato quelle pellicole che hanno portato al Lido orde di fan, il non-così-eccezionale Don't worry darling, con il suo stucchevole codazzo di polemiche e gossip che hanno coinvolto a diverso titolo la regista Olivia Wilde e gli attori Harry Styles, Florence Pugh, Chris Pine, Shia LaBeouf, ma soprattutto il molto più lodato Bones and all, con la superstar Timothée Chalamet.

Questa atipica (così definita per non vi spoilerarvi la trama) storia d'amore si è portata a casa due riconoscimenti: la Coppa Mastroianni per la migliore attrice emergente a Taylor Russell (nel passato se l'erano aggiudicata attori del calibro di, in ordine sparso, Jennifer Lawrence, Gael Garcìa Bernal, Diego Luna, Mila Kunis, Tye Sheridan, Charlie Plummer. Che le sia di buon auspicio) e il Leone d'Argento per la migliore regia a Luca Guadagnino.

La precedente collaborazione tra il cineasta siciliano e il protagonista di Dune, Chiamami col tuo nome, aveva portato parecchia notorietà a entrambi ed aveva guadagnato 4 nomination agli Oscar (film, attore protagonista, canzone, sceneggiatura - poi vinta da James Ivory).

Chissà se il successo si ripeterà; ma noi tifiamo comunque per questo regista così poco considerato in patria (si veda la tiepida accoglienza riservata agli altri suoi lavori, Io sono l'amore, A bigger splash, Suspiria, tutti e tre con un'attrice del calibro di Tilda Swinton) quanto apprezzato negli Stati Uniti.

Il premio per la migliore regia è meritato ed è una bella rivincita nei confronti di chi nell'industria e nella critica cinematografica italiana lo ha liquidato con troppa sufficienza e gli ha preferito autori che al di fuori dei confini nazionali solo pochissimi conoscono.

Insomma, anche quest'anno la Mostra di Venezia ha saputo suscitare interesse e curiosità all'estero, ha portato molto pubblico al Lido, ha fatto parlare di sé e dei suoi film, ha creato aspettative, ha cercato di rilanciare un cinema sempre più in crisi.

Il direttore Alberto Barbera ha fatto di nuovo un ottimo lavoro.

E noi non vediamo già l'ora di conoscere il programma della prossima edizione.


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