CINEMA A BOMBA!

domenica 25 giugno 2017

QUILIANO 2017. I TARANTINIANI, IL CINEMA ITALIANO CHE PIACE A ZIO QUENTIN

(Clicca sulla locandina per vedere il documentario). 

Italia, 2013
59'
Regia: Steve Della Casa, Maurizio Tedesco
Con: Sergio Leone, Tomas Milian, Tonino Valerii, Lamberto Bava, Barbara Bouchet, Franco Nero, Ruggero Deodato, Fernando Di Leo, Enzo G. Castellari.


Ah, Quentin Tarantino e il cinema italiano!

Il regista di Pulp Fiction, cineasta onnivoro e appassionato, non ha mai nascosto il proprio debole per le pellicole del nostro paese, in particolare quelle degli anni 70-80, che in America era possibile reperire solo nei videostore più forniti... Proprio come quello in cui lavorava il nostro prima di diventare il Re Mida di Hollywood.

I western spaghetti e i "poliziotteschi" di quegli anni hanno avuto una grossa influenza nel suo stile, tant'è che citazioni e omaggi più o meno espliciti si possono riscontrare in tutta o quasi la sua filmografia: da Kill Bill a Bastardi senza Gloria, da Dal Tramonto all'Alba (diretto da Robert Rodriguez ma scritto da Quentin) al Premio Oscar The Hateful Eight, passando ovviamente per il bellissimo Django Unchained, rifacimento apocrifo del classico Django di Sergio Corbucci con Franco Nero.

Steve Della Casa e Maurizio Tedesco, rispettivamente critico cinematografico e produttore/montatore, con I Tarantiniani - nel programma del recente Premio Quiliano Cinema - hanno cercato di riassumere in poco meno di un'ora le ragioni di un tale riconoscimento postumo dopo anni, se non decenni, in cui il cosiddetto "film di genere" era stato liquidato come un semplice prodotto di consumo.






Lo hanno fatto alternando filmati di repertorio (ad esempio quelli in cui compaiono Sergio Leone e Fernando Di Leo, da tempo scomparsi) a interviste più recenti, rinunciando all'uso della voce off (ottima scelta) e lasciando ai protagonisti di quegli anni il racconto di aneddoti, impressioni, ricordi.

Il risultato è forse nostalgico, ma né consolatorio né melenso: gli intervistati non si piangono addosso ricordando "i bei tempi andati", piuttosto riportano alla luce episodi poco noti con lucidità e spesso autoironia.
Il momento più divertente? Quello in cui il regista Enzo G. Castellari (Quel Maledetto Treno Blindato, Vado, l'Ammazzo e Torno) spiega il criterio secondo cui decideva i titoli dei propri film.

Resta la sensazione che quel tipo di cinema, almeno in Italia, non torni più: lo aveva già dichiarato lo stesso Tarantino qualche anno fa, sollevando un polverone.
Ma è davvero così?

Qualche segnale incoraggiante c'è stato: dopo anni di prodotti di qualità desolante, negli ultimi tempi si sono fatte strada pellicole di buon livello, a cominciare dall'interessante Lo Chiamavano Jeeg Robot dello scorso anno.

Solo semplici omaggi al defunto film di genere o avvisaglie di un nuovo corso? Solo il tempo ce lo dirà.
Forza, cinema italiano: Quentin è con te, e così tutti noi.




Etichette: , , , , , , , , , , ,

sabato 24 giugno 2017

QUILIANO 2017. RATATAPLAN, L'INGEGNO DELL'INGEGNERE

(Clicca sulla locandina per vedere la sigla iniziale disegnata da Guido Manuli e alcune scene del film). 

Itaklia, 1979
95'
Regia: Maurizio Nichetti
Interpreti: Maurizio Nichetti, Angela Finocchiaro, Edi Angelillo, Roland Topor, Lidia Biondi, Giorgio "Gero" Caldarelli.


Colombo (Nichetti) è un timido ingegnere con molto ingegno.
Pure troppo, per un lavoro da ufficio.

Infatti si deve accontentare di fare il cameriere tuttofare presso un isolato chioschetto di bibite posto sopra una brulla collinetta (la cosiddetta Montagnetta di San Siro o Monte Stella a Milano, al giorno d'oggi decisamente meglio tenuta) e di sfogare la sua creatività a casa (trasformata in un laboratorio pieno zeppo di invenzioni) e in un gruppo teatrale itinerante piuttosto scalcinato.

Egli è innamorato non corrisposto di una bella vicina (Angelillo) e cerca di attirare la sua attenzione in tutti modi ma riuscirà a farsi notare solo grazie ad un colpo di genio.

Sarà il suo vero amore?






1979.
L'Italia era alle prese con il terrorismo politico - le stragi di Piazza Fontana a Milano e di Piazza della Loggia a Brescia erano di non molti anni prima, ancora non si era spento l'eco del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro l'anno precedente, mentre nei primi mesi dell'anno vengono assassinati il sindacalista Guido Rossa, il giudice Emilio Alessandrini, il giornalista Mino Pecorelli, l'avvocato Giorgio Ambrosoli, l'ufficiale dei carabinieri Antonio Varisco, il capo della squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano.

Il capoluogo lombardo era alla vigilia del fenomeno "Milano da bere" (termine preso in prestito da un celebre spot pubblicitario del 1985 dell'Amaro Ramazzotti) e anche gli USA erano alle soglie del reaganesimo, ancora scottati dalla bruciante sconfitta in Vietnam del decennio precedente - Il Cacciatore di Michael Cimino in quest'anno (lo stesso dell'uscita di Apocalypse Now di Francis Ford Coppola) riuscì a imporsi agli Oscar con 5 statuette (film, regia, Christopher Walken attore non protagonista, montaggio, sonoro).

Nel contesto di questi drammatici fermenti e cambiamenti sociali, politici ed economici, a Settembre uscì in sordina un piccolo film interpretato da un mimo e attore milanese, al suo esordio alla regia.

Un film lieve, surreale, poetico con un protagonista che non parla mai e che ricorda i divi comici del muto Buster Keaton nell'imperturbabilità e nella fisicità, Charlie Chaplin nella malinconia, Jacques Tati nella goffaggine.
Ma con una cifra stilistica originale e molto italiana.

Dietro alle piroette e agli inciampi di Colombo e dei suoi sgangherati compari - "Quelli di Grock", compagnia teatrale veramente esistente fondata dallo stesso Nichetti e che vede, tra i propri membri, anche Gero Caldarelli (colui che fa muovere il Gabibbo) e la Finocchiaro, presenti anche in questa pellicola - c'è infatti la farsa e lo sberleffo nei confronti di una società dove il capitale riesce a monetizzare perfino i miracoli (falsi, in questo caso) e l'automazione spersonalizza i rapporti umani, una società contraddittoria dove grattacieli e palazzoni di uffici convivono con le povere case di ringhiera (quella dove vive il protagonista esiste tuttora ed è in Via Gaetano De Castillia, all'ombra del Bosco Verticale e a pochi passi da Piazza Gae Aulenti e dai grattacieli di Porta Nuova), dove alla frenetica vita di città si contrappone la semplicità (non tanto idilliaca e pacifica, in realtà) della campagna.

Interessante, nel cast, la presenza di Roland Topor, poliedrico artista (illustratore, attore, mimo, scrittore, drammaturgo...) francese che, assieme a Alejandro Jodorowsky - l'ormai anziano cineasta cileno che ha portato i suoi recenti La Danza de la Realidad e Poesia Sin Fin a Cannes rispettivamente nel 2013 e nel 2016 - e allo spagnolo Fernardo Arrabal, è stato uno degli alfieri del surrealismo nel mondo dello spettacolo Anni Sessanta.
E di un surrealismo caotico e provocatorio.

Anche la vicenda narrata procede in modo tutt'altro che lineare, con una serie di episodi (semplicistico chiamarli sketches) ricchi di ironia, buffi, simpatici e pieni di colpi di scena che spiazzano lo spettatore.

Esemplare, a tal proposito, quello in cui a Colombo viene ordinato un bicchiere d'acqua: per portarlo a destinazione deve attraversare mezza città e gliene succedono di tutti i colori; alla fine arriva a destinazione, ma...
Ecco, Nichetti aveva già anticipato la "Milano da bere"!

Ratataplan rappresentò ai tempi una boccata di aria fresca, ma anche ai giorni nostri non possiamo non apprezzare il carattere eversivo e anarchico della sua poesia e della sua ironia, ben rappresentato già dagli immaginifici titoli di testa dell'animatore Guido Manuli

Nonostante un budget molto limitato, fu subito grande successo di pubblico sia in Italia che (cosa meno scontata) all'estero, grazie soprattutto al passaparola.

Ne avevamo già parlato a proposito di Cosimo e Nicole di Francesco Amato: è sempre la stessa storia, solo proponendo qualcosa di nuovo il cinema italiano si arricchisce e cresce.

Gli organizzatori del Premio Quiliano Cinema hanno fatto bene a scegliere allora due cineasti che hanno saputo distinguersi dai colleghi.

Amato è giovane e promettente e ha le carte in regola per farsi conoscere ancora di più.
Nichetti ha saputo costruirsi una carriera piena di soddisfazioni restando fedele al proprio personalissimo stile, pur sperimentando molto.

Insomma, per i cineasti alle prime armi da Quiliano arriva un messaggio: osate, sperimentate, fate fruttare le vostre idee e il vostro talento.

Chissà, magari anche voi un giorno potreste arrivare in questo bel paesino per essere premiati...




Etichette: , , , , , , , , , , ,

mercoledì 21 giugno 2017

QUILIANO 2017. COSIMO E NICOLE, UNA STORIA D'AMORE "INDIE"

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Italia, 2012
101'
Regia: Francesco Amato
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Clara Ponsot, Paolo Sassanelli, Souleymane Sow, Angela Baraldi, Joe Prestia, Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena, Bud Spencer Blues Explosion


La giovane francesina Nicole (Ponsot), ferita durante gli scontri del G8 di Genova del 2001, viene soccorsa dall'italiano Cosimo (Scamarcio).

I due si innamorano e rimangono nel capoluogo ligure, dove vengono assunti da Paolo (Sassanelli), il fonico che organizza concerti di musica indie che li aveva aiutati.

Durante l'allestimento di un palco, un immigrato clandestino (Sow) che stava lavorando in nero, cade da un'impalcatura.
Creduto morto, Paolo, preoccupato dalle conseguenze, con la complicità riluttante dei ragazzi getta il corpo in un luogo abbandonato.

Il senso di colpa metterà a rischio l'unione dei due giovani, soprattutto dopo la scoperta di una lettera che lo straniero aveva scritto (ma non aveva avuto tempo di inviare) alla sua amata.

Il destino, tuttavia, ha in serbo per Cosimo e Nicole un'occasione per redimersi.






Il cinema italiano, quando esce dalla ripetitività e dalla banalità, sa ogni tanto offrire opere di pregevole fattura.

L'avevamo già visto: negli ultimi anni i migliori film nostrani sono quelli che hanno saputo narrare storie in modo accattivante e originale, con un linguaggio finalmente adatto anche a chi non è un cinefilo di stretta osservanza.

Lo stanno a testimoniare i successi di critica e pubblico di pellicole quali La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino ( Golden Globe e Oscar come miglior film straniero nel 2014), Mia Madre di Nanni Moretti (2015) e il fenomeno Lo Chiamavano Jeeg Robot (2015) dell'esordiente Gabriele Mainetti.

Certo, non sempre idee e coraggio ripagano gli sforzi - il passo falso di Matteo Garrone con Il Racconto dei Racconti ne è un esempio - ma siamo sicuri che la strada da intraprendere per far sopravvivere la nostra cinematografia sia questa.

Idee e coraggio caratterizzano anche questo Cosimo e Nicole, che gli organizzatori del primo Premio Quiliano Cinema hanno deciso di proiettare in occasione della consegna del riconoscimento al suo autore, il giovane piemontese Francesco Amato.

Apprezzabile idea, quella di riproporlo: vale la pena riscoprire questo film che parla sì di una storia d'amore tormentata, ma non solo.

L'ottima sceneggiatura (dello stesso Amato) schiva le trappole del "buonismo" e del déja-vu e racconta in modo sincero turbamenti e crescita dei protagonisti, due giovani pieni di speranze e progetti alle prese con crisi economica, sociale e di valori.

Scamarcio - dimenticate Tre metri sopra il cielo - e la giovane Ponsot danno ai loro personaggi uno sguardo di selvaggia vitalità, un'inquietudine errabonda, un furibondo bisogno di vivere e amare, un'umanità credibile non priva di sbandamenti.

Una giovinezza esuberante che sente sotto pelle le vibrazioni della musica indie-rock nostrana: compaiono nel ruolo di se stessi Marlene Kuntz, Verdena, Afterhours, Bud Spencer Blues Explosion (no, l'amato interprete di ...altrimenti ci arrabbiamo e Porgi l'altra guancia non canta né suona).

Nello stesso tempo i due arrivano a confrontarsi con i drammi legati al lavoro nero e al caporalato - sempre non lontano da Quiliano nel 2012 avevamo visto, sull'argomento, il toccante documentario di Daniele Segre Morire di Lavoro -, all'immigrazione clandestina.

Temi, questi, che non sono ridotti a sfondo della love story, ma che fanno parte integrante della narrazione, che riesce ad amalgamare così il romanticismo "maledetto" con l'impegno e la trattazione di argomenti "seri".

Insomma, Cosimo e Nicole si allontana dai comodi e triti cliché del genere per provare qualcosa di meno banale e scontato, guadagnandoci per questo in freschezza e vivacità.

Verrà proiettato gratis il 24 Giugno ( qui i dettagli).

Cibo buono (il gruppo Tagliate Senza Frontiere e la locale Pro Loco, che organizzano la cena a buffet, vi garantiamo che sanno fare bene da mangiare) e buon cinema italiano: si comincia bene.




Etichette: , , , , , , , , , , ,

domenica 18 giugno 2017

QUILIANO 2017. IL CINEMA DI "QUEI BRAVI RAGAZZI"

Il logo del primo Premio Quiliano Cinema. 


Chi pensa che il grande cinema non passi anche per la provincia, per i piccoli paesi, non ha considerato alcune delle rassegne cinematografiche più prestigiose ed importanti del mondo.

Pensate a Telluride, piccolo centro del Colorado con poco più di 2.000 abitanti.
Qui a Settembre si svolge un festival importantissimo, nel quale vengono proiettati film in anteprima nazionale e talvolta internazionale.

Qualche nome?
Per restare solo all'anno scorso, i trionfatori degli Oscar La La Land e Moonlight, oltre a Sully di Clint Eastwood.

Poi c'è il Sundance Film Festival di Robert Redford, fucina inesauribile di talenti e luogo imprescindibile per il cinema indie - per esempio, qui si è rivelato Damien Chazelle (ricordiamolo, il più giovane vincitore di sempre dell'Oscar per la migliore regia), che nel 2015 ha presentato proprio qui Whiplash, poi vincitore di tre Academy Award nello stesso anno.
Esso, oltre che nella città di Odgen, si tiene in un sobborgo di Salt Lake City (Park City) di circa 7.000 anime.

E che dire, in Europa, della svizzera Locarno (16.000 abitanti), della basca Donostia-San Sebastián (18.000), delle italiane Giffoni Valle Piana (12.000) e Taormina (11.000)?

Tutte cittadine che sono riuscite a farsi spazio nel cuore di cinefili e semplici spettatori con iniziative interessanti e accattivanti (proiezioni, incontri con registi, attori...).

A queste si aggiunge ora il piccolo ma culturalmente vivace centro di Quiliano (con una popolazione di circa 7.000 unità), a pochi chilometri da Savona.






Il Premio Quiliano Cinema (che avrà luogo il 24 e il 25 Giugno 2017) è al suo esordio tra le kermesse cinematografiche, ma già presenta un programma di sicuro interesse.

Ad organizzarlo, il locale Gruppo Cineforum "Quei bravi ragazzi", che è riuscito a coinvolgere tre noti giornalisti del seguito programma radiofonico di Radio3 "Hollywood Party".

Giusto per capire di chi stiamo parlando.
Steve Della Casa è tra i fondatori del Torino Film Festival, del quale è stato anche direttore dal 1999 al 2002 - qui porterà anche un documentario da lui co-diretto, I Tarantiniani, sui protagonisti del periodo d'oro degli spaghetti-western -; Alessandro Boschi è l'ideatore del programma La Valigia dei Sogni su La7; mentre Alberto Crespi è critico cinematografico su "L'Unità" e presenterà il suo libro "Storia d'Italia in 15 film".

Saranno loro a condurre le serate e a premiare (con un'opera dell'artista Gianni Celano "Giannici") due protagonisti del cinema italiano: Francesco Amato e Maurizio Nichetti.

Il primo è un giovane regista e sceneggiatore, che ha al suo attivo tre lungometraggi: la commedia Ma che ci faccio qui! (2006), il drammatico Cosimo e Nicole (2012) con Riccardo Scamarcio e il brillante (e recentissimo: è uscito ad Aprile) Lasciati andare con Toni Servillo.

Il secondo è uno dei cineasti italici più originali, autore di pellicole poetiche, surreali, divertenti e di grande successo come Ratataplan (1979), Ho fatto splash (1980), Ladri di saponette (1989), Volere volare (1991), Stefano Quantestorie (1993), Palla di Neve (1995), Luna e l'altra (1996, candidato come miglior film straniero ai Golden Globe dell'anno successivo), Honolulu Baby (2001).

E che rassegna cinematografica sarebbe senza film?

Di Amato verranno proiettati il cortometraggio Figlio di penna e Cosimo e Nicole, di Nichetti il suo esordio Ratataplan.
E il tutto gratis!

Qui potete trovare il programma completo.

Continuate a seguirci: parleremo ancora nei prossimi giorni di questo sfizioso appuntamento.

Ci vediamo a Quiliano!




Etichette: , , , , , , , ,

mercoledì 14 giugno 2017

WONDER WOMAN, L'EROINA CHE CERCAVAMO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2017
141'
Regia: Patty Jenkins
Interpreti: Gal Gadot, Chris Pine, Robin Wright, Danny Huston, David Thewlis, Connie Nielsen, Elena Anaya, Saïd Taghmaoui, Lucy Davis, Zack Snyder.


In un'isola felice vivono le Amazzoni, donne guerriere create da Zeus e guidate dalla regina Ippolita (Nielsen).

Costei ha una figlia, Diana (Gadot), indocile e coraggiosa, allenata nel combattimento fin dalla tenera età dalla zia Antiope (Wright), comandante dell'esercito.

Il mondo idilliaco nel quale vive la ragazza è sconvolto un giorno dall'ammaraggio del capitano Steve Travor (Pine), che sta combattendo la Prima Guerra Mondiale come spia al servizio degli Stati Uniti, in fuga dopo aver trafugato i piani di una nuova e terribile arma chimica progettata da una scienziata chiamata Dottor Poison (Anaya) per conto dello spietato Generale Ludendorff (Huston).

Toccata dalla carneficina in corso, Diana, convinta che dietro a tutta questa violenza ci sia lo zampino nientemeno che di Ares, dio della guerra, decide di partire per il fronte con l'obiettivo di fermarlo.

Qui nascerà la leggenda di Wonder Woman.






Ci sono voluti ben 75 anni per vedere la supereroina più famosa del mondo - creata da William Moulton Marston nel 1941 per la DC Comics - sul grande schermo, e uno in più per una pellicola imperniata su di lei.
Per di più diretta da una donna!

L'arrivo nelle sale di Wonder Woman non poteva avvenire in un momento più propizio: il mondo di Hollywood, superate le polemiche sugli "Oscar so white", sta affrontando da mesi la questione delle donne nell'industria cinematografica.

E ci si è accorti che esse:
- come attrici sono pagate meno dei colleghi maschi;
- non hanno quasi mai ruoli da protagonista e, anzi, il più delle volte sono costrette in compiti di spalla;
- non hanno molte possibilità di dirigere film (figuriamoci un kolossal!).

Pochissime, infatti, le registe che riescono ad emergere; ancora meno quelle che ricevono riconoscimenti internazionali - Kathryn Bigelow è l'unica ad aver mai vinto un Oscar per la regia (nel 2010, per The Hurt Locker), Sofia Coppola (lo abbiamo visto recentemente) è solamente la seconda donna ad essersi aggiudicata il premio per la migliore regia al Festival di Cannes, dove la sola ad aver vinto la Palma d'Oro è Jane Campion (nel 1993, per Lezioni di Piano), mentre a Venezia il Leone d'Oro l'hanno vinto quattro signore e il premio per la regia solo una.

Non parliamo poi dei film bellici e d'azione: l'autrice di Point Break è un caso isolato, ma rare sono anche le attrici in ruoli pivotali: tra queste, la Jessica Chastain di Zero Dark Thirty (ancora firmato Bigelow) e la Charlize Theron di Mad Max: Fury Road.

Quando venne annunciato che Warner Bros. e Dc Entertainment avrebbero affidato un progetto a budget elevato riguardante la supereroina per eccellenza ad una donna - e per di più una con un'esperienza abbastanza limitata alle spalle (qualche puntata di serie Tv; un solo lungometraggio, il pur apprezzato Monster che valse proprio alla Theron l'Oscar per la migliore attrice nel 2004) - la curiosità salì alle stelle.
Wow: così tante novità in un colpo solo!

Sulle spalle di Patty Jenkins, però, non c'era solo il peso di rappresentare il proprio genere, ma anche quello di risollevare le sorti del franchise DC Comics dopo il mezzo - immeritato, secondo noi - flop di Batman v Superman: Dawn of Justice (storico esordio di Wonder Woman) e il passo falso di Suicide Squad.

Azzardo riuscito?
Possiamo dire di sì: gli incassi sono al momento molto buoni e la critica, soprattutto quella d'Oltreoceano, questa volta non ha storto il naso.

Noi possiamo aggiungere che, nonostante scene iperboliche e piuttosto inverosimili e una trama un po' sconclusionata, il prodotto finale in effetti è godibile: suggestiva l'ambientazione durante la Grande Guerra, ottimo ritmo, ironia e momenti di alleggerimento ben calibrati e inseriti nella vicenda (corretta finalmente la grave carenza dei predecessori nei confronti dei rivali della Marvel), effetti speciali non approssimativi, una regia sicura e attenta ai dettagli.

Continuiamo a tenere d'occhio la Jenkins: lei e Jennifer Kent (l'autrice di Babadook) potrebbero essere l'avanguardia di una generazione di cineaste non intrappolate nella gabbia del cinema d'autore e capaci di dirigere un'opera mainstream.

E poi c'è Gal Gadot, che nell'immaginario collettivo ha ormai preso il posto di Lynda Carter, protagonista della popolare serie Tv anni Settanta.

Alcuni Paesi a maggioranza musulmana hanno boicottato il film solo perché l'attrice è israeliana.
Peggio per loro: l'ex soldatessa e modella ha fatto valere i suoi trascorsi, dando al personaggio bellezza, eleganza, grazia e, senza perdere femminilità, anche forza e determinazione.

E ha rovesciato il cliché secondo il quale è la donzella in pericolo ad essere immancabilmente salvata dall'eroe di turno: questa volta l'"uomo forte" è una donna, mentre la parte della "fanciulla" tocca al personaggio di Chris Pine (ben lontano dalla sua ruvida interpretazione in Hell or High Water).

Finalmente: a fianco di tanti giustizieri maschi e forti ora si inserisce anche una donna energica, carismatica, sveglia e ironica, in grado di dare filo da torcere a qualsiasi uomo prepotente e arrogante.

Un modello (ideale, ovviamente) per ogni ragazza, ma non solo.

Il mondo dei supereroi cinematografici aveva bisogno di una grossa novità.
Il mondo dei supereroi cinematografici aveva bisogno di Wonder Woman.

E ora che c'è, prepariamoci a sentir parlare sempre di più di girl power.




Etichette: , , , , , , , , , , , , , ,

mercoledì 7 giugno 2017

GLI INEDITI. HELL OR HIGH WATER, PRENDI I SOLDI E RISCATTA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2016
102'
Regia: David Mackenzie
Interpreti: Jeff Bridges, Chris Pine, Ben Foster, Gil Birmingham.


Toby (Pine) e Tanner (Foster) Howard sono due fratelli; calmo e riflessivo il primo, scapestrato ed ex carcerato il secondo.

Sotto la fattoria di famiglia scoprono un giacimento petrolifero: una bella occasione per riscattarsi da una vita fatta di miseria.

Problema: il ranch è stato pignorato da una banca.
Soluzione: rapinare questa banca (e altre, già che ci siamo) per estinguere i debiti.

Ma sulle loro tracce si mette un anziano ranger alla vigilia della pensione (Bridges), coadiuvato da un collega di origini indiane (Birmingham).






È rimasto ancora inedito nelle sale cinematografiche in Italia (ma è disponibile su Netflix da Novembre 2016) uno dei film più interessanti di Cannes 2016 (presentato nella sezione Un Certain Regard), candidato a tre Golden Globe e a ben 5 Oscar - per miglior film, miglior attore non protagonista (Jeff Bridges), miglior montaggio, migliore sceneggiatura originale.

L'autore di quest'ultima è Taylor Sheridan, già attore in serie Tv quali Walker Texas Ranger, La Signora del West e soprattutto Veronica Mars e Sons of Anarchy.

Quello di Hell or High Water è solo il suo secondo script a diventare un film, sebbene già nel 2012 fosse stato inserito nella Black List (la lista delle sceneggiature più promettenti non ancora trasposte sul grande schermo) con il titolo di Comancheria, dal nome di quell'area tra Texas Occidentale e New Mexico una volta dominato dagli Indiani nella quale è ambientata la vicenda.

Al suo attivo precedentemente solo quello dell'acclamato Sicario di Denis Villeneuve con Emily Blunt, Benicio Del Toro e Josh Brolin - in concorso a Cannes 2015 e poi candidato agli Oscar 2016 per colonna sonora, fotografia e montaggio sonoro - che affrontava in modo duro e violento la lotta ai narcos al confine tra USA e Messico.

Qui Sheridan continua la sua ideale trilogia dedicata alla Frontiera americana, un luogo geografico e mentale nel quale è molto forte il contrasto tra chi la legge la fa applicare e chi la infrange, ben rappresentato nelle atmosfere dalle interminabili e monotone distese aride del deserto.

In questo western moderno con le macchine al posto dei cavalli, i personaggi sono condizionati nelle loro azioni dall'ambiente nel quale vivono - la Frontiera, appunto.
Il ranger fa il suo lavoro con caparbietà e senso del dovere, senza avere nessuna comprensione per quelli che ai suoi occhi sono solo dei criminali; i fratelli rapinano banche senza troppe remore morali, convinti della fondatezza delle loro ragioni, spinti non dall'intento di arricchirsi ma di garantire ai figli di uno dei due un futuro lontano dalla povertà che ha sempre angustiato la famiglia.

Lo scontro sarà inevitabile e drammatico, con un finale sospeso che non allenta la tensione ben sviluppata nel corso della narrazione, né il senso di attesa (il regista, il britannico David Mackenzie, lo ha reso con maestria anche con uno svolgimento lento della vicenda e con un soffermarsi lirico sugli ampi spazi aperti), e ciò nonostante ci sia una prima resa dei conti verso la fine.

Bravo, Sheridan!
A Cannes 2017 ha portato il suo terzo film da sceneggiatore (questa volta da lui diretto) - Wind River, chiusura, quindi della sua trilogia sulla Frontiera - e ha pure vinto il premio per la migliore regia nella sezione Un Certain Regard.

Prossimamente un altro suo script prenderà forma: Soldado, seguito di Sicario, con Benicio del Toro, Josh Brolin, Katherine Keener, Jeffrey Donovan e con il nostro Stefano Sollima (!) dietro alla macchina da presa.

Insomma, teniamolo d'occhio.

Ma Sheridan e Mackenzie non sono i soli artefici di quest'opera indie ben riuscita: buona la colonna sonora del duo australiano Nick Cave-Warren Ellis, così come il montaggio e la fotografia.

Ben scelti gli interpreti: a Chris Pine solitamente danno ruoli un po' da bamboccio, ma in una parte più "virile" dimostra capacità recitative; Ben Foster è un caratterista di esperienza (lo ricordate in Lone Survivor?) ed è efficace come criminale sopra le righe.

Ma un plauso particolare va a Jeff Bridges, come abbiamo detto precedentemente in lizza agli ultimi Oscar come attore protagonista (settima nomination per lui, con vittoria nel 2010 per Crazy Heart, che gli è valso pure il Golden Globe).

Egli dà al suo personaggio le sue rughe, la sua ironia, un sarcasmo feroce.
Ma non fatevi ingannare: dietro l'apparente bonomia si nasconde una determinazione incrollabile e un carattere forgiato dalla violenza umana e dall'asprezza della natura, ma poco incline a giustificare gli sgarri all'ordine costituito.

Beh, non esattamente il Drugo di Il Grande Lebowski, quanto piuttosto uno sceriffo da film western trasportato ai giorni nostri, che non si darà pace finché non avrà la sua personale sfida all'O.K. Corral.

"Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto", diceva Ramón (Gian Maria Volonté) a Joe (Clint Eastwood) in Per Un Pugno Di Dollari di Sergio Leone.

Ma se l'uomo con la pistola è Jeff Bridges, per l'uomo col fucile le cose potrebbero mettersi male.





Etichette: , , , , , , , , , , , , ,