CINEMA A BOMBA!

giovedì 25 giugno 2020

I CLASSICI: OPERA SENZA AUTORE, VISSI D'ARTE VISSI D'AMORE

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Germania/Italia, 2018
188'
Regia: Florian Henckel von Donnersmarck
Interpreti: Tom Schilling, Sebastian Koch, Paula Beer, Saskia Rosendahl, Oliver Masucci, Ben Becker, Rainer Bock; Hanno Koffler, David Schütter


Kurt Barnert (Schilling) è un giovane molto dotato nella pittura, passione incoraggiata fin da bambino dalla bella zia Elisabeth (Rosendahl), poi sterilizzata e soppressa dal regime nazista in quanto schizofrenica.

Egli non sa che il responsabile di tale decisione è il facoltoso e autorevole ginecologo Carl Seeband (Koch), padre della ragazza del quale si innamora (Beer, già vincitrice del Premio Mastroianni alla Mostra del Cinema di Venezia 2016).

Il medico cercherà in ogni modo di ostacolare la relazione, considerata poco conveniente per la figlia (anche alla luce del suicidio del padre di lui).

Il ragazzo, tra mille difficoltà, dovrà impegnarsi per garantirsi un futuro con la donna che ama e per campare facendo l'unica cosa per il quale è portato.






Presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2018 e poi candidato come miglior film straniero sia ai Golden Globe che agli Oscar 2019 (qui nominato anche per l'eccellente fotografia di Caleb Deschanel, che aveva già curato quella di Killer Joe), Opera Senza Autore (Werk ohne Autor, in originale; Never Look Away, in inglese) ha perso tutte le volte a favore di Roma di Alfonso Cuarón.

Valutare un'opera solo dai riconoscimenti ottenuti, però, è ingiusto; soprattutto in questo caso.

William Friedkin ( Il Braccio Violento Della Legge, L'Esorcista...), uno che di cinema se ne intende, in un'intervista ha dichiarato:
One of the finest films I have ever seen is Never Look Away – a masterpiece [Uno dei migliori film che abbia mai visto è Opera Senza Autore - un capolavoro].

Siamo d'accordo.

L'opus numero tre di Florian Henckel von Donnersmarck - precedentemente aveva diretto lo straordinario Le Vite Degli Altri (la sua opera prima!), vincitore di una miriade di premi (tra i quali l'Oscar per il miglior film straniero nel 2007), e il meno notevole The Tourist con Angelina Jolie e Johnny Depp - è uno strepitoso affresco della Germania tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta.

C'è moltissimo della storia teutonica di quel periodo: distruzione (il bombardamento di Dresda), la soluzione finale contro i disabili e il ruolo dei medici negli stermini sistematici, la vita sotto il nazismo e quella sotto il comunismo, la divisione del Paese, la Guerra Fredda, la fuga verso Ovest...

Ma c'è soprattutto l'amore, la morte e una profonda e interessante riflessione sul ruolo degli artisti nella società e sulla loro creatività.

La vicenda è ispirata - neanche troppo velatamente - alla vita di Gerhard Richter, che non ha apprezzato i palesi riferimenti al proprio vissuto.

Il regista, però, ha utilizzato il passato del pittore tedesco per portare avanti un discorso più ampio sul significato dell'arte - soprattutto quella contemporanea.

L'arte assume un carattere di rivelazione, anche a livello inconscio, e di verità - passando dall'arte nazista, col rifiuto dell'arte cosiddetta degenerata, e dal realismo socialista, che pretendono di rappresentare la vita così com'è, senza creatività e senza l'intermediazione simbolica, ad una manifestazione di soggettività fraintesa ma decisamente più "vera" e sentita.

I dipinti del protagonista sono alla fine sì riconosciuti come validi dai critici, ma vengono nello stesso tempo male interpretati.

Egli è accusato di fare opere impersonali, che possono vivere per sé senza bisogno di conoscere il nome di chi le ha fatte.

In questa apparente mancanza di originalità, tuttavia, Kurt riesce a venire a patti col proprio passato e a trovare finalmente la libertà alla quale ha sempre anelato.

L'opera artistica, in fondo, è come i numeri della lotteria: presi di per sé, essi non hanno alcun senso preciso; ma se sono quelli vincenti allora acquisiscono un significato e un valore.

E così egli trova nell'arte il bello - che, grazie alla propria sensibilità e ricerca, può disvelarsi pure nel suono cacofonico di un gruppo di clacson - e un'ancora di salvezza.

Opera Senza Autore dura oltre 3 ore.

Ma, credeteci, avremmo preferito che durasse di più.




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giovedì 18 giugno 2020

JAY E SILENT BOB. IL DUO "STRAFUMATO" DI KEVIN SMITH

A sinistra Kevin Smith (Silent Bob), a destra Jason Mewes (Jay).  


Jay (Jason Mewes) è alto, secco, pansessuale come Deadpool e altrettanto loquace.
Silent Bob (Kevin Smith) - che non è proprio muto come il nome lascia intendere - è più basso, grassoccio e riflessivo.

Trattasi della coppia di spacciatori-scoppiati-filosofi che popola l'Askewniverse (ossia l'universo dell'Askew View, la casa di produzione di cui Smith è co-proprietario), una sorta di versione aggiornata di Cheech & Chong.

I due sono apparsi in 7 pellicole di culto, spalmate nell'arco di 25 anni: ve le recensiamo una ad una qui sotto.
E questo senza contare altre fugaci apparizioni non ufficiali: in Scream 3, ad esempio, oppure - più recentemente - nei corti Null & Annoyed e I'm Upset.

Li rivedremo ancora in pellicole future?
Probabilmente sì: Kev ha dichiarato a più riprese l'intenzione di voler girare Clerks III e Twilight of the Mallrats (annunciato in precedenza col titolo MallBrats), oltre alla commedia orrorifica Moose Jaws (che collegherebbe Jay & Silent Bob all'universo di Yoga Hosers).

Ma ad oggi le apparizioni ufficiali sono quelle che riportiamo di seguito.
Scopritele tutte e ricordate: Snootchie bootchies!






Clerks (1994)

 
Una giornata tipo di due giovani commessi (Brian O’Halloran e Jeff Anderson), alle prese con clienti, ragazze e situazioni tra le più improbabili.

Girato da un regista esordiente poco più che ventenne con una troupe di amici e un budget irrisorio, vinse a sorpresa il premio alla regia al Sundance Film Festival e il Gran Premio della Giuria a Cannes, lanciando di conseguenza Kevin Smith nell’empireo di Hollywood.

Girato in un bianco e nero sgranato, è di fatto un collage di gag e battute a ripetizione, ma tra le righe si può leggere anche come satira sociale.

Stilisticamente strizza l’occhio soprattutto a Jim Jarmusch (la fotografia bicromatica e le situazioni surreali osservate con disincanto) e Quentin Tarantino (l’ossessione per la cultura pop), ma vi si trovano anche echi da Richard Linklater e dal primo Spike Lee.

A volte verboso, spesso volgaruccio, ma quasi sempre esilarante.
Diverse le scene memorabili, in primis l'imperdibile confronto tra L'Impero Colpisce Ancora e Il Ritorno dello Jedi.


Mallrats (1995)

 
Due giovani perdigiorno (Jason London e l'ex campione di skateboarding Jason Lee), lasciati dalle rispettive fidanzate (Shannon Doherty e Claire Forlani), cercano di riconquistarle partecipando a un “gioco delle coppie” in un centro commerciale.

Secondo film di Kevin Smith, il primo a colori e con un budget di tutto rispetto, è forse però una delle sue opere più deboli: l’umorismo si è fatto più pecoreccio che spiritoso e non sempre coglie nel segno, nonostante l’illuminante comparsata di Stan Lee e l’abbondanza di situazioni e omaggi fumettistici.

Anche la tematica sociale (se si può dire che ce ne sia una) è cambiata: in Clerks i protagonisti erano proletari disillusi, qui sono figli di papà sfaccendati.

Curiosità: il film è uscito in Italia solo in home video col titolo Generazione X.






In Cerca di Amy (1997)

 
Un disegnatore di fumetti (il futuro Batman Ben Affleck) si innamora di una collega (Joey Lauren Adams) e, pur avendo scoperto che la ragazza è gay, intreccia con lei una tormentata relazione.

Terzo capitolo della cosiddetta "Trilogia del New Jersey", il primo a servirsi anche del registro drammatico.

Gli attori sono bravi, qualche battuta è divertente (specie all’inizio), ma alla lunga la commedia - infarcita di dialoghi scabrosi talora gratuiti - rischia di annoiare.

E' tra i film preferiti da Quentin Tarantino e presenta un insolitamente lungo monologo di Silent Bob.


Dogma (1999)

 
Una donna in crisi di fede (Linda Fiorentino) viene incaricata dal portavoce di Dio (Alan Rickman) di fermare due angeli caduti (Ben Affleck e Matt Damon, reduci dal successo e dall'Oscar di Good Will Hunting), prima che questi riescano a rientrare in Paradiso.

Il film più discusso e contestato di Kevin, ma anche il più ambizioso e sottovalutato.
Fu pubblicamente attaccato dalla destra religiosa americana, però risulta più irriverente che blasfemo.

Si tratta di una satira fanta-religiosa intelligente, pungente e divertente, forse un po’ dispersiva, con un gruppo di attori famosi e affiatati, e una morale non moralista.

Divertenti in piccoli ruoli lo stand-up comedian George Carlin e la cantautrice canadese Alanis Morrisette (che interpreta... Dio!).

Jay e Silent Bob non sono più personaggi di secondo piano, ma svolgono una funzione importante ai fini dell'intreccio narrativo.






Jay & Silent Bob Strike Back (2001)

 
Jay e Silent Bob partono per Hollywood con un unico obiettivo: fermare le riprese di un film... su di loro!

Passano in rassegna tutti o quasi i personaggi dei precedenti film, ma per la prima volta i protagonisti sono loro: i due spacciatori sboccati e un po’ filosofi che comparivano in tutti i precedenti capitoli.

La trama è solo un pretesto per una serie continua di sketch politicamente scorretti e poco raffinati, ma l’accavallarsi di rimandi, citazioni e autocitazioni (talora incomprensibili per chi non conosce l’opera di Smith nella sua interezza), qua e là funziona, grazie soprattutto alla presenza di un nutrito numero di attori e autori che non teme l’autoironia.

La parte migliore è quella finale, dove l'industria cinematografica viene presa in giro con una certa sagacia.

In Italia uscì scandalosamente in ritardo di 3 anni, solo in home video e col titolo Jay e Silent Bob… Fermate Hollywood!


Clerks II (2006)

 
Dante (B. O’Halloran) e Randal (J. Anderson), i commessi del primo film, sono finiti a lavorare in uno squallido fast food.

Il primo sta per sposarsi e trasferirsi, il secondo vorrebbe impedirglielo.
Fra i due si insinua una bella ragazza (Rosario Dawson), che è anche il loro capo.

Dodici anni dopo il primo film-culto che lo aveva lanciato, Kevin Smith firma la sua opera più matura tornando agli amati working clerks, che ora lavorano nella ristorazione di massa e hanno intorno ai trent’anni, ma continuano a fare scherzi, filosofeggiare, discutere della differenza tra Star Wars e Il Signore degli Anelli (scena impagabile), ma soprattutto sognare un futuro migliore.

Sboccatissimo, spesso esilarante e un po’ malinconico, è un ritratto generazionale che riesce a far riflettere e nel finale persino a commuovere.
Bravissimi gli attori, Rosario Dawson sopra tutti.

Per la cronaca, al termine dell'anteprima notturna al Festival di Cannes, ricevette 8 minuti di standing ovation.


Jay & Silent Bob Reboot (2019)

 
Per maggiori particolari, rimandiamo alla recensione completa.

Trattasi del ritorno dell'Askewniverse dopo 13 anni di pausa e del reboot-remake-sequel di Jay & Silent Bob Strike Back: come allora, i due strafumati amici per la pelle devono correre a Los Angeles per bloccare le riprese di un film su di loro.

In più, stavolta, c'è la figlia adolescente di Jay (Harley-Quinn Smith, nella realtà figlia di Kevin Smith).

Ritornano in cammei più o meno brevi diversi protagonisti delle pellicole precedenti, compreso Ben Affleck in quella che forse è la sequenza più riuscita.

Divertente senza pretese, è una passerella di amici del regista e un sincero tributo ai fan più affezionati.




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sabato 13 giugno 2020

I DOC: SEX PISTOLS-OSCENITÁ E FURORE, MA QUALE TRUFFA DEL ROCK'N'ROLL?

(Clicca su Sid per vedere il trailer). 

UK, 2000
108'
Regia: Julien Temple


1980.
Julian Temple, cineasta indipendente, firma The Great Rock'n'Roll Swindle (tradotto: "la grande truffa del rock'n'roll"), controversa docufiction sul gruppo punk inglese Sex Pistols.

La tesi che fa discutere è questa: la band era in realtà solo un artifizio pubblicitario e i suoi componenti delle mere marionette nelle mani del manager-pigmalione Malcolm McLaren.

2000.
Con vent'anni di ritardo, il regista torna sul luogo del delitto per ascoltare l'altra campana, ossia i Sex Pistols stessi.
I vari membri della band - tutti tranne il defunto Sid Vicious - raccontano una verità ben diversa...






Autore, in anni più recenti, di Il Futuro Non è Scritto-Joe Strummer, imperdibile pellicola sulla storia del compianto leader dei Clash, Temple è uno che di musica - punk rock, in particolare - se ne intende.

Nessuno come lui - a parte forse l'eclettico Don Letts, documentarista, oltre che videomaker, DJ e musicista nei Big Audio Dynamite di Mick Jones (il chitarrista dei succitati Clash) - ha saputo cogliere lo spirito di quell'epoca unica e irripetibile, senza peraltro celarne gli aspetti negativi e le contraddizioni.

I Sex Pistols sono stati, se non la più importante, di certo la più rappresentativa band britannica del genere, nonostante la breve vita (sono stati attivi, tardive reunion a parte, solo nel biennio 1976-78).

Johnny Rotten (voce), Steve Jones (chitarra), Glen Matlock (basso) e Paul Cook (batteria) iniziarono giovanissimi a suonare nei club un rock'n'roll grezzo e provocatorio che in un attimo sarebbe diventato la colonna sonora di un'intera società, se non di un'intera generazione.

Sostituito il talentuoso Matlock con l'impreparato ma iconico Sid Vicious, il gruppo si disciolse all'apice della fama dopo un disastroso tour negli Stati Uniti e una lunga serie di incomprensioni interne.






A questo punto il film, un po' troppo sintetico per i nostri gusti, si interrompe bruscamente.
Peccato, perché sul periodo post-Pistols ci sarebbe abbastanza materiale da girare un altro lungometraggio.

Il merito principale è stato invece aver dato voce ai componenti della band, ritratti in penombra come per celarne l'identità.
La storia che raccontano è diametralmente opposta a quella di McLaren, e c'è da crederci: ma quale progetto costruito a tavolino, questi sono quasi tutti musicisti veri (specie Jones e Cook) che compongono canzoni di livello e sembrano sinceri nella loro "missione" anarchica e antisistema.

Alternando interviste e immagini di repertorio, il documentario ha almeno due momenti memorabili: il matinée per i bambini, figli di vigili del fuoco in sciopero, e la voce rotta di Lydon (cioè Rotten) quando ricorda la triste fine di Vicious, ucciso da un'overdose a soli 22 anni.

Imperdibile per i fan dei Sex Pistols e preziosa per gli appassionati di musica (e cultura) punk, Oscenità e Furore è un'opera che vale la pena guardare, senza moralismi né preconcetti.

Non ci si trova dentro alcuna Grande Truffa, solo tanto Rock'n'Roll.




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sabato 6 giugno 2020

I CLASSICI: FROZEN 2-IL SEGRETO DI ARENDELLE, L'ACQUA HA MEMORIA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
103'
Regia: Jennifer Lee, Chris Buck
Voci originali: Kristen Bell, Idina Menzel, Jonathan Groff, Josh Gad, Evan Rachel Wood, Alfred Molina, Jeremy Sisto, Ciarán Hinds, Alan Tudyk.


Sono passati 3 anni dagli eventi narrati nel primo film.

Elsa, regina di Arendelle, vive tranquillamente con la sorella Anna e i suoi amici: il generoso Kristoff (fidanzato di Anna), la renna Sven e il simpatico Olaf, un pupazzo di neve parlante da lei creato.

La sua serenità viene turbata da una voce che sente solo lei e che la spinge a inoltrarsi nella Foresta Incantata, da molti anni avvolta da una nebbia impenetrabile.

Coi suoi compagni riesce a entrare in quel luogo magico e misterioso: ad attenderla troverà diverse rivelazioni sui propri poteri e sul passato della propria famiglia.






Immaginate di aver appena realizzato il film d'animazione di maggior incasso nella storia (fino a quel momento).
Cinema che vendono un biglietto dopo l'altro, due meritati Oscar, il merchandising che macina milioni su milioni.

La mossa successiva potrebbe essere la più scontata: sfruttare l'onda realizzando in fretta e furia un seguito-fotocopia, tanto per fare cassa.
E' quello che avrebbe potuto fare la Disney dopo Frozen.

E invece no: ha atteso 6 anni, tenendo buoni i fan con due cortometraggi di buon livello e sviluppando una storia originale che fosse all'altezza della precedente.

Missione compiuta: Frozen 2 ha fatto incassi record, raccogliendo al contempo il consenso unanime della critica.
O quasi, essendo stato - con grande stupore di molti - il grande sconfitto dell'ultima Notte degli Oscar.

Peccato, perché il film merita: è puntellato da parecchie canzoni, tutte piuttosto trascinanti e meglio distribuite rispetto a quelle del precedente capitolo; approfondisce la mitologia di Arendelle indagando sulle origini dei poteri di Elsa, uno dei misteri rimasti insoluti nel primo film; scansa diversi classici cliché (gli uomini sono il sesso debole, non c'è né un vero antagonista né una vera e propria minaccia).






Per quanto concerne i protagonisti, Kristoff è un po' in secondo piano, mentre Olaf ha acquisito più spazio (ovvio).
Ma sopratutto, se Frozen era la storia di Anna, questa è invece la storia di Elsa.

La bionda principessa assume finalmente un ruolo di primo piano, mentre l'acconciatura dei capelli continua a simboleggiarne la "liberazione": nel lungometraggio precedente passava da una crocchia a una treccia, qui scioglie la treccia del tutto e rimane coi capelli sciolti.

Tra i comprimari, si rivedono per un attimo gli Snowgies di Frozen Fever e il gigante Marshmellow, i Trolls fanno una comparsata e il premio "miglior new entry" lo vince un'irresistibile salamandra.

Occhio anche al ciclo delle stagioni: Frozen era ambientato in estate, Frozen Fever in primavera, Le Avventure di Olaf in inverno, questo in autunno.

Come il suo predecessore - e forse anche di più - Frozen 2 è in grado di commuovere, divertire e in generale compiacere un po' tutti: grandi e piccoli, femmine e maschi, fan e neofiti.

Sfortunato agli Oscar, ma fortunato - meritatamente - al botteghino.
A quando Frozen 3?




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