CINEMA A BOMBA!

mercoledì 20 marzo 2013

EDUCAZIONE SIBERIANA, URKA CHE CRIMINALI!

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Italia, 2013
110'
Regia: Gabriele Salvatores.
Interpreti: John Malkovich, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Peter Stormare, Eleanor Tomlinson.


Il nuovo lavoro di Gabriele Salvatores è un Bildungsroman (cioè, romanzo di formazione) con al centro Kolima, nato e cresciuto nella Transnistria, regione semiautonoma dell'attuale Moldova, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.

Vera protagonista è però la violenta comunità di "criminali onesti" (i cosiddetti Urka, di origine siberiana) che forma e forgia il giovanotto con una serie di rigide regole interne, quali il divieto di strozzinaggio, stupro, relazioni omosessuali, spaccio e consumo di stupefacenti, la liceità di furto, rapina - solo se commessi nei confronti dei ricchi e dello Stato - e omicidio - autorizzato solamente per motivi di causa maggiore.

Questo film rappresenta una svolta per il regista del Premio Oscar Mediterraneo e di successi quali Nirvana, Amnèsia, Io non ho paura, Come Dio comanda: lasciati a casa i collaboratori abituali, l'autore si affida ad attori tutti stranieri (il nome di punta è quello del veterano John Malkovich, ma brillano anche il volto noto Peter Stormare e i giovani e bravi interpreti principali), gira non in lingua italiana e in condizioni estreme.

Questo salto nel vuoto del sempre originale cineasta napoletano possa essere di esempio per i colleghi connazionali: le pellicole nostrane sono spesso autoreferenziali, provinciali e all'estero sono considerate, nei migliori dei casi, non interessanti - se non addirittura dei veri e propri "mattonazzi".

Nella crisi di idee del cinema tricolore, ben vengano, quindi, storie che si discostano dalla mediocrità imperante, che parlano un linguaggio universale, che sono interpretate in modo dignitoso, com'è il caso - appunto - di Educazione Siberiana, tratto dall'omonimo romanzo ispirato ad episodi autobiografici e scritto nella nostra lingua dal russo naturalizzato italiano Nicolai Lilin, noto anche come abile artista di tatoo (vedi il sito ufficiale).

E questo mestiere - in realtà, qualcosa di più di un mestiere: il perpetuarsi di un rito - è retaggio della sua appartenenza agli Urka, presso i quali centrale è l'importanza dei tatuaggi, vero e proprio linguaggio alternativo che sostituisce la forma orale con precisi significati, intelligibili però solo agli appartenenti alla comunità (come spiega lo scrittore italo-russo in questo video).

"I nostri tatuaggi sono le nostre ferite, sono i trofei che abbiamo vinto lottando, raccontano la storia delle nostre vite" (il tatuatore Ink a Kolima).

Un linguaggio affascinante che riesca a rendere al meglio le vicende narrate: ecco la sfida che deve essere affrontata coraggiosamente ed ambiziosamente dai registi italiani che vogliono far sentire la propria voce al di fuori del territorio patrio.

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domenica 17 marzo 2013

ANNA KARENINA, COME UN MUSICAL SENZA CANZONI

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Regno Unito/Francia, 2012
130'
Regia: Joe Wright
Interpreti: Keira Knightley, Jude Law, Aaron Johnson, Matthew Macfadyen, Olivia Williams, Emily Watson.


Domanda: come fare ad adattare al grande schermo un romanzo impegnativo come quello, celeberrimo, di Tolstoj senza far addormentare gli spettatori dopo pochi minuti?
Risposta: fare come Joe Wright.

Il regista britannico, già autore di una dignitosa versione di Orgoglio e Pregiudizio (girata sempre col fido compositore Dario Marianelli e con la coppia Knightley-Macfadyen), opta per una scelta stravagante: ambientare la storia della tormentata Anna e della sua penosa infedeltà come una rappresentazione teatrale, quasi un balletto, una sorta di musical senza canzoni.

Scommessa vinta: merito anche della competente sceneggiatura del commediografo Tom Stoppard (premio Oscar per Shakespeare in Love), la pellicola possiede un ritmo e una cura dei particolari tale da poter risultare appetibile al grande pubblico.

Oltre ai costumi - non a caso premiati con l'Oscar - e alle bizzarre scenografie, sono da segnalare anche le musiche del già citato Marianelli (unico italiano in lizza quest'anno, purtroppo tornato a casa a mani vuote) e la prova d'insieme degli attori.

Tra scelte più (Keira Knightley, Jude Law) o meno azzeccate (Aaron Johnson), nel cast spicca il baffuto Matthew Macfadyen, che - pur in un ruolo marginale - risulta il più simpatico, nei panni di un dongiovanni gioviale e impenitente.

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lunedì 11 marzo 2013

ARGO, AFFLECK BATTE L'AYATOLLAH E VINCE L'OSCAR

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USA, 2012
120'
Regia: Ben Affleck.
Interpreti: Ben Affleck, Alan Arkin, John Goodman, Rory Cochrane, Kyle Chandler, Victor Garber, Kerry Bishé, Michael Parks.


Ben Affleck sta vivendo una seconda giovinezza.
Dopo l’Oscar vinto con l’amico di sempre Matt Damon per la miglior sceneggiatura di Will Hunting, ci eravamo abituati a vederlo sprecare il proprio talento in pellicole commerciali e mediocri (il punto più basso? Probabilmente Gigli, girato con l’allora fidanzata Jennifer Lopez).

Poi, qualche anno fa, il nostro mascellone ha deciso di darsi una ripulita: ha smesso di fumare, ha sposato la bella collega Jennifer Garner (quella del serial TV Alias), ed è diventato padre di 3 figli.
Nel frattempo ha vinto la Coppa Volpi a Venezia per Hollywoodland ed è passato alla regia.

Su quest’ultima mossa erano in pochi a scommettere, inizialmente. Invece, prima con l’eastwoodiano Gone Baby Gone e dopo col sottovalutato The Town, Ben ha dimostrato di essere un cineasta di tutto rispetto, forse persino più a proprio agio dietro la macchina da presa che non davanti.

Grande escluso dai membri dell'Academy quest'anno nelle nomination per la migliore regia, il nostro si è preso però una rivincita mica da poco: il suo Argo è stato il vincitore della notte degli Oscar, avendo vinto tre statuette per il miglior film (questa, impugnata fieramente durante la cerimonia di premiazione in qualità di produttore assieme all'amico George Clooney e a Grant Heslov), la migliore sceneggiatura non originale ed il montaggio.

La pellicola racconta la storia vera – benchè romanzata – del piano elaborato dalla CIA nel 1980 per riportare in patria 6 addetti dell'ambasciata americana a Teheran rimasti nascosti in Iran per sfuggire al linciaggio dei fanatici sciiti dopo la rivoluzione islamica e la fuga negli States dell’odiatissimo Scià.
Piano che prevedeva un'evacuazione dei prigionieri camuffata da sopralluogo di una troupe cinematografica canadese nei posti tipici della capitale persiana, per girare le scene "esotiche" di un improbabile film di fantascienza intitolato, appunto, Argo.

Bisogna dire che lo svolgimento del racconto è piuttosto lineare e convenzionale, ma questo, che in altre pellicole sarebbe un difetto, permette di seguire la trama senza intoppi.
Inoltre il ritmo è incalzante, i contributi tecnici (montaggio, colonna sonora, fotografia, scenografia...) di ottimo livello e i personaggi di contorno efficaci (soprattutto quelli interpretati da Alan Arkin e John Goodman, caratteristi a 24 carati).

Insomma, un classico prodotto hollywoodiano di azione/Storia/impegno con lieto fine incorporato (in barba all'Ayatollah), ma molto ben confezionato e decisamente gradevole.

Quindi: "Argo vaffanc**o!"
[Non è un insulto, è una citazione che - usata nel finale del film in senso liberatorio - sta a significare, più o meno, "Missione compiuta!"/"Ce l'abbiamo fatta!"]

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sabato 9 marzo 2013

IL GRANDE E POTENTE OZ, BRUCE C'E' MA (QUASI) NON SI VEDE

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USA, 2013
130'
Regia: Sam Raimi
Interpreti: James Franco, Mila Kunis, Rachel Weisz, Michelle Williams, Zach Braff, Bill Cobbs, Ted Raimi, Bruce Campbell.


Avviso ai numerosissimi fan di Bruce Campbell (che i lettori di CINEMA A BOMBA! già conoscono per My Name is Bruce): il nostro beniamino compare solo per pochi istanti verso la fine, "nascosto" sotto un trucco pesante - con tanto di baffi e naso finto - che lo rende quasi irriconoscibile.
E' il guardiano del cancello della Città di Smeraldo che viene preso a bastonate dal nanetto scorbutico (piccola curiosità: la mano che brandisce il bastone è in realtà quella dell'amico di sempre Sam Raimi).

Fatta questa doverosa premessa, parliamo del film.
Anzitutto, non si tratta di un remake, ma di un prequel del celebre Il Mago di Oz: Oscar (Franco, da noi incontrato a Venezia nel 2011, ricordate?), prestigiatore da strapazzo in un circo ambulante, finisce casualmente nel mondo magico di Oz dopo una roccambolesca fuga in mongolfiera.
Qui viene scambiato per il potente mago che - secondo una profezia - libererà il popolo dalla tirannia della strega cattiva.

Raimi, autore di trilogie di culto come quelle di Evil Dead (in Italia La Casa) e di Spider-Man, ha realizzato un riuscito film per tutti, condotto a ritmo sostenuto, carico di colori - sgargianti quelli del mondo di Oz, in contrasto col triste bianco/nero del mondo reale - e buoni sentimenti.

Particolarmente felice l'uso del 3D, che per una volta non è un semplice orpello (o una scusa per spillare al botteghino un paio di euro in più), ma permette allo spettatore di immedesimarsi coi protagonisti e aggiunge dinamismo alle scene di azione.
Vedere per credere la discesa delle rapide in mongolfiera quando l'eroe arriva ad Oz.

La cosa che più balza all'occhio ai fan più accaniti della coppia Campbell/Raimi è una certa affinità narrativa col loro capolavoro riconosciuto, lo stracult L'Armata delle Tenebre.
La trama e la sequenza degli eventi sono praticamente le stesse: un furfante egocentrico e sbruffone si trova improvvisamente catapultato dalla realtà in un mondo fantastico dove imperversa una guerra tra la fazione dei buoni e quella dei cattivi, viene incensato dal popolo oppresso che vede in lui il "salvatore" indicato da una profezia, e suo malgrado diventa l'eroe che tutti si aspettavano.

Difficile credere a una semplice sequela di coincidenze: troppi i punti in comune tra le due pellicole.
Più facile pensare che i due sceneggiatori abbiano studiato approfonditamente l'opus raimiano o che lo stesso regista abbia voluto andare sul sicuro adattando lo script - perché pur sempre di un film su commissione si tratta - al proprio stile, strizzando l'occhio agli esigenti e appassionati cultori di Evil Dead.

Comunque sia, Il Grande e Potente Oz è un gran divertimento. Forse non passerà alla storia, ma vale il prezzo del biglietto.
E in più c'è Bruce Campbell. Vi sembra poco?

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venerdì 8 marzo 2013

ZERO DARK THIRTY, UNA DONNA SOLA CONTRO BIN LADEN

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USA, 2012
157'
Regia: Kathryn Bigelow
Interpreti: Jessica Chastain, Jason Clarke, Joel Edgerston, Jennifer Ehle, Mark Strong, Kyle Chandler, James Gandolfini, Harold Perrineau Jr.


2 Maggio 2011. Il Presidente USA Obama annuncia al mondo la morte di Osama Bin Laden in seguito ad un attacco da parte delle Forze Speciali in un compound (cioé un complesso delimitato da recinzioni) ad Abbottabad, nella parte nord-occidentale del Pakistan.
Nessuno, fino all'uscita di Zero Dark Thirty, che è cronaca fedele dei retroscena di questa operazione, poteva pensare che l'individuazione del nascondiglio dell'irrintracciabile "sceicco del terrore" fosse soprattutto opera della caparbietà e del lavoro maniacale di una sola persona, una donna.

5 candidature ai premi Oscar (compresa quella per il miglior film e per la migliore attrice protagonista), Golden Globe per la migliore attrice drammatica.
Purtroppo un solo Oscar, nel montaggio sonoro, e per di più ex-aequo (un premio condiviso è un fatto piuttosto inusuale per l'Academy).

È questo il magro bottino che si è portato a casa il film-evento che quest'anno ha maggiormente fatto discutere intellettuali, giornalisti ed editorialisti di tutto il mondo, affossato da scariche a raffica di critiche: per la rappresentazione di metodi brutali di interrogatorio da parte della CIA atti ad estorcere informazioni ai prigionieri della guerra al terrore; per aver implicitamente giustificato queste torture come necessarie; per aver utilizzato informazioni sensibili di intelligence, passate da persone vicine all'amministrazione Obama.

Come se non bastasse, tre senatori (tra i quali l'ex candidato presidenziale repubblicano John McCain) hanno pure fatto aprire un'investigazione per chiarire eventuali legami con la CIA.
Naturalmente, è finito tutto in una bolla di sapone.

Fortunatamente, la pellicola è stata baciata da un'ottima accoglienza di pubblico e critica.
Meritatissima.

La vicenda della caccia a Bin Laden è raccontata in modo dettagliato - quasi documentaristico - e appassionante, sicché le oltre due ore e mezza di durata non pesano sulla suspence.
E questo grazie principalmente allo sceneggiatore Mark Boal - già oscarizzato per la precedente opera della Bigelow, The Hurt Locker - abile anche a riadattare in corsa e in tempi stretti un copione pressoché pronto: inizialmente lo script doveva descrivere i tentativi di scovare il terrorista, ma l'improvvisa notizia della sua uccisione ha sparigliato le carte.

La regista si dimostra invece ancora una volta eccezionale nello scavo psicologico dei personaggi, nella rappresentazione delle loro convinzioni e motivazioni; e, d'altra parte, nessuno sa descrivere meglio di lei quelle scariche di adrenalina che portano a fare le cose più impensabili (giova ricordare che il supercult Point Break l'ha diretto lei!).

Particolarmente efficace si è dimostrato poi quel velo di segretezza che si è voluto lasciare prima dell'uscita nelle sale: chi si sarebbe aspettato che il personaggio principale della storia fosse una donna?
Già si era parlato di un coinvolgimento di Jessica Chastain nel progetto, ma si pensava a lei per un ruolo da spalla, non certo da protagonista assoluta.

E l'attrice più ricercata del momento, alla quale è immeritatamente sfuggito ancora una volta l'Oscar (vedi il nostro precedente post), è superba come al solito.
E in grado di reggere la scena con un carisma ed una personalità che solo Meryl Streep e poche altre ormai hanno.

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domenica 3 marzo 2013

RE DELLA TERRA SELVAGGIA, UN URAGANO DI BAMBINA

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USA, 2012
93'
Regia: Benh Zeitlin
Interpreti: Quvenzhané Wallis, Dwight Henry, Levy Easterly, Gina Montana.


L'intero universo è un enorme puzzle e tutto ciò che lo compone è tenuto insieme da un equilibrio piuttosto precario: quando uno dei pezzi viene a mancare, l'intero sistema collassa.
E così un gesto banale come uno scatto d'ira di una bambinetta nei confronti del padre sembra portare alla fine del mondo - o per lo meno della comunità di straccioni che abita una zona paludosa e malsana nel Sud della Louisiana minacciata da una violenta tempesta (l'uragano Katrina?) - e ad un nuovo inizio.

Opera indipendente e a basso costo di un giovane regista alle prime armi, Beasts of the Southern Wild esce in Italia col fuorviante titolo di Re della Terra Selvaggia, in distribuzione piuttosto limitata.

E questo nonostante i successi in numerosi festival nel corso del 2012 (Cannes, nella sezione Un Certain Regard, e Sundance Film Festival, tra gli altri) e presso critica e pubblico negli USA (tra i fan più sfegatati troviamo addirittura il Presidente Obama).
Senza parlare delle quattro importantissime nomination agli Oscar: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura non originale (tratta dalla pièce teatrale Juicy and Delicious di Lucy Alibar, candidata essa stessa col regista), miglior attrice protagonista (la novenne Quvenzhané Wallis, la più giovane di sempre in lizza nella categoria).

Non ha vinto neppure un riconoscimento nella notte degli Oscar, però, questa storia che sa di gioco di bambini, con mostri, avventure, lieto (si fa per dire) fine compresi: una realtà vista con gli occhi di una fanciullina che mischia la sua drammatica vita di degrado con le proprie infantili fantasie (lo saranno veramente?) di riscatto e di speranza.

Tale commistione tra reale e immaginato è resa da Benh Zeitlin con uno sguardo partecipe ma discreto, e con una regia dalla mano sicura e dalle idee chiare.
Questo è il suo esordio cinematografico, ed è promettente: la nomination all'Oscar per il suo lavoro possa non diventare un traguardo, ma servirgli da incoraggiamento per continuare sulla via dell'originalità senza perdere freschezza.

Certo, ha rischiato grosso caricando il peso della sua opera sulle gracili spalle di Quvenzhané Wallis.
Ma la piccolina se la cava bene, regge la scena, con la sua simpatia ed esuberanza distoglie l'attenzione dalle pecche del film (storia non sempre comprensibile, personaggi secondari un po' macchiettistici).

Brava, sì; ma la scelta di nominarla all'Oscar come migliore attrice è sbagliata: non si può mettere a confronto una bambina che recita istintivamente con professioniste che fanno gavetta da anni cercando di affinare di prova in prova la propria recitazione, né scaraventare un baby attore nel mondo dello spettacolo creando aspettative esagerate (il caso Macaulay Culkin è un monito).

Speriamo solo che la giovane Wallis riesca a sopravvivere a tutta quest'attenzione mediatica e a crescere come una qualsiasi bimba della sua età, ricordandosi in futuro di questa esperienza come di un bel gioco, di una gioiosa parentesi in una vita che, ci auguriamo, le riservi ancora tante soddisfazioni (non necessariamente in campo cinematografico).

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venerdì 1 marzo 2013

OSCAR 2013. UOMINI CHE ODIANO JESSICA CHASTAIN?

Ben Affleck (regista) e George Clooney (produttore) con l'Oscar per il miglior film.  

L'elegantissima Jessica Chastain sul red carpet.  


Se c’è una cosa che le varie edizioni degli Academy Awards - volgarmente noti come Oscar - ci hanno insegnato, è che può succedere di tutto.

Capita così che quest’anno il regista del film uscito vincente dalla tenzone (Ben Affleck con Argo), non riceva l’Oscar per la miglior regia per il semplice fatto di essere stato escluso a priori dalla lista dei nominati, nonostante nel frattempo abbia vinto in quella categoria praticamente in tutte le competizioni analoghe.

Oppure capita che mastro Spielberg, partito favorito in virtù delle 12 nomination di Lincoln, si ritrovi sconfitto anche dal sopravvalutato Ang Lee, episodio che molti interpretano come un atto “politico” volto ad accontentare la potente lobby cinese.

Oppure che il superdivo George Clooney si porti a casa una statuetta senza aver recitato in alcuno dei film nominati (gli è spettata quella per il miglior film in qualità di produttore di Argo).

Oppure ancora capita che l’interprete più meritevole si veda soffiare l’Oscar tanto atteso dalla collega Jennifer Lawrence, carina e simpatica, ma ancora acerba quanto a recitazione.
A Jessica Chastain - attrice del momento e beniamina di CINEMA A BOMBA! - l’Academy ha tirato proprio un brutto scherzo. Oltretutto per la seconda volta consecutiva (vedi il post dell’anno scorso), e nonostante le lodi sperticate della critica.
Miopia o boicottaggio? A pensare male si fa peccato, ma…

Per il resto, i premi non hanno riservato grandi sorprese, confermando in sostanza l’esito dei Golden Globes, competizione che, a posteriori, ci pare sia stata più equa e corretta.
Tra le note di merito, sicuramente i 2 Oscar per Django Unchained: uno a Tarantino sceneggiatore (che fa il paio con quello conquistato anni or sono con Pulp Fiction), l’altro allo straordinario Christoph Waltz, cui la collaborazione con lo zio Quentin giova decisamente.

La statuetta a Daniel Day-Lewis per Lincoln è stata un’altra gradita conferma. Con questa, l’imbattibile attore irlandese sale a quota 3 ed entra nella storia: nessuno come lui, eccetto in teoria Jack Nicholson, che però ne ha vinta una da non protagonista.
Giusto anche il riconoscimento andato alla sottile Anne Hathaway, che in Les Misérables lascia il segno nonostante i pochi minuti di screen time.

Più di ogni altra cosa, di questa edizione rimarrà il sorriso e la sportività di quel simpatico guascone di Ben Affleck, interprete medio e cineasta di spessore, che quando qualcuno gli ha fatto notare quanto sia stata ingiusta la mancata nomination come miglior regista, ha risposto: "Perché nessuno dice la stessa cosa per quella come miglior attore?"
Non solo per l’autoironia, il vero vincitore è lui.

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