CINEMA A BOMBA!

lunedì 29 aprile 2013

GLI INEDITI: ROAD TO NOWHERE, LA MESSINSCENA PRIMA DI TUTTO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 2010
121'
Regia: Monte Hellman
Interpreti: Shannyn Sossamon, Tygh Runyan, Cliff De Young, Dominique Swain, Waylon Payne, John Diehl, Fabio Testi.


Un regista emergente (Runyan) si appresta a girare un film su un misterioso omicidio, realmente accaduto.
Ingaggia come attrice protagonista una ragazza (Sossamon) che assomiglia come una goccia d'acqua a quella morta nella realtà.
Nel frattempo una blogger e un investigatore da due soldi indagano, mentre realtà e finzione si intrecciano fino a confondersi.

Ci è voluto questo copione a scatole cinesi - approntatogli dall'ormai fido sceneggiatore Steven Gaydos, editor di Variety - per far tornare in campo il grande Monte Hellman dopo oltre 20 anni di inattività.
Il film, presentato in concorso a Venezia nel 2010, è valso al regista il Leone d'Oro alla carriera, consegnatogli direttamente dalle mani del suo amico e "allievo" Quentin Tarantino (cui aveva prodotto Le Iene), nell'occasione presidente della giuria.

La trama, ingarbugliatissima, non cela le intenzioni metaforiche e forse autobiografiche dell'autore di Strada a Doppia Corsia (occhio alle iniziali: il protagonista si chiama Mitchell Haven...), che sembra divertirsi assai a girare a basso costo con un ensemble di attori non troppo noti, tra cui si riconosce - pur in una parte marginale - l'amico di sempre Fabio Testi.

Guardando Road To Nowhere è difficile non pensare ad un'opera per certi versi molto simile: INLAND EMPIRE.
Certo, Hellman non è David Lynch (e la Sossamon, nonostante tutto, non è Laura Dern), ma - oltre all'affinità tematica - le due pellicole hanno in comune anche alcune scelte registiche (le riprese in digitale con la camera a mano) e un certo modo di intendere il cinema in cui i personaggi sono più importanti dell'intreccio e la messinscena è più importante dei personaggi.

Dopo un avvio ispirato, con la riuscita e inaspettata scena dell'aliante che si schianta nel lago ("Uno dei migliori incidenti aerei della storia del cinema", secondo l'Hollywood Reporter), il nostro dipana il film-nel-film seguendo i protagonisti con divertito distacco lungo una strada che, attraverso una continua alternanza di "verità" e fiction, li porterà alla tragica conclusione.

Una strada (a doppia corsia?) che forse non porta da nessuna parte.
O forse porta al Cinema.
Bentornato, Monte.

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domenica 21 aprile 2013

I CLASSICI: STRADA A DOPPIA CORSIA, L'ESISTENZIALISMO DI HELLMAN

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 1971
102'
Regia: Monte Hellman
Interpreti: James Taylor, Dennis Wilson, Warren Oates, Laurie Bird.


Il genere road movie ha avuto la sua età dell’oro a cavallo tra gli anni 60 e 70.
Almeno 3 le pellicole di rilievo uscite in quegli anni: Easy Rider, Punto Zero e, ovviamente, quella che vi stiamo recensendo.
La migliore? Proprio quest’ultima: benché la prima sia di certo la più famosa e imitata, e la seconda sia stata recentemente rivalutata da Quentin Tarantino in Grindhouse, Strada a Doppia Corsia è di certo la più coerente e la meno retorica dell’ideale trilogia.

Allievo del leggendario B-producer Roger Corman e autore di un paio di western di culto (il dittico formato da La Sparatoria e Le Colline Blu), Monte Hellman è uno dei più sottovalutati registi indipendenti americani.
Avvaledosi dell’ispirato copione à la Antonioni dello scrittore underground Rudy Wurlitzer (che più tardi sceneggerà Pat Garrett & Billy The Kid di Sam Packinpah e Candy Mountain con Joe Strummer), il regista brooklyniano realizza qui il proprio capolavoro.

Se i musicisti Wilson e Taylor – rispettivamente batterista dei Beach Boys e cantautore folk - se la cavano bene nel loro primo e unico excursus recitativo, il grande caratterista Warren Oates trova qui il ruolo della vita: irresistibile il suo personaggio di gradasso solitario e sparaballe, con un sorriso per tutte le occasioni e il maglioncino scollato che cambia continuamente colore.
E Laurie Bird? Anche lei esordiente, girò ancora due film, prima di togliersi la vita nell’appartamento newyorkese di Paul Simon, un altro musicista occasionalmente prestato al cinema.

Mentre la catatonia dei 3 ragazzi viene riequilibrata dall’esuberanza parolaia di GTO, in una chiara metafora del vuoto esistenziale giovanile post-sessantottino contrapposto alla patetica immaturità degli adulti, la strada – intesa come luogo al contempo fisico e metaforico – assume via via sempre più importanza fino a diventare la vera protagonista della storia.

Una storia composta da pochi dialoghi (fa eccezione, ancora una volta, il personaggio di Oates, l’unico dotato di un vero spessore psicologico), poca musica, pochi e ben calibrati virtuosismi registici, una manciata di sequenze che si ricordano e alcuni momenti di “assordante” silenzio.

Grande esperto nel montaggio, Hellman riduce all’osso la materia narrativa e punta al simbolismo, riservandosi il colpo da maestro nel finale: l’audio sparisce, le immagini rallentano e la pellicola sembra bucarsi e bruciare.
Come i protagonisti del film.
Come il cinema.

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lunedì 8 aprile 2013

I DOC: IF A TREE FALLS, GLI ECOTERRORISTI DELLA PORTA ACCANTO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 2011
85'
Regia: Marshall Curry, Sam Cullman


Ha senso parlare di "ecoterrorismo", equiparando gli attivisti estremisti "pro-Terra" - per lo più una banda di agitatori velleitari e ingenui - agli attentatori stragisti e ai kamikaze?
E' quello che si domanda If a Tree Falls: A Story of the Earth Liberation Front, candidato all'Oscar per il miglior documentario agli Oscar 2012.

La pellicola narra appunto l'ascesa e la caduta agli inferi dell'Earth Liberation Front (ELF; in italiano: Fronte di Liberazione della Terra), gruppo ecologista radicale protagonista di eclatanti azioni di protesta contro piccole e grandi compagnie (segherie e falegnamerie industriali...), ma anche contro alcune attività (macelli di cavalli, concessionarie di SUV, ecc...), tutte accusate di perpetrare gravi scempi ambientali per meri interessi economici.

Seguendo il caso di un attivista accusato di aver appiccato incendi dolosi, si ricostruisce lo sviluppo dell'ELF: da movimento spontaneo pseudo-hippie a "minaccia terroristica interna numero 1" (secondo la definizione dell'FBI, ma prima dell'11 Settembre 2001).

Riportando interviste a membri del Fronte (dall'aspetto tutt'altro che sinistro: facce anonime come se ne incontrano a centinaia tutti i giorni per strada), agenti federali che hanno seguito la vicenda (dall'apparenza di tranquilli funzionari statali), vittime dei danni (composte e dignitose, pur nella tragedia che li ha colpiti), i due registi, pur mantenendosi equidistanti dalle parti, disvelano però il volto di un'America dalla facciata molto borghese, ma in realtà in preda a paranoia e rabbia, focolaio di tensioni pronte ad esplodere in qualsiasi momento.

E così, i filmati delle brutalità compiute dalle forze dell'ordine nei confronti di militanti ammanettati e inermi (i fatti della scuola Diaz a Genova Bolzaneto non sono lontani) durante sit-in e manifestazioni pacifiche - organizzati per protestare contro la deforestazione esagerata, l'inquinamento e lo sfruttamento intensivo a fini di lucro delle risorse naturali - provocano reazioni di sdegno.
Ma colpiscono anche le immagini delle violenze vandaliche contro negozi che nulla c'entrano con la questione ambientalista, delle fiamme appiccate dall'ELF che distruggono il lavoro di una vita di piccoli imprenditori - trascinati sull'orlo del lastrico e di un vortice di disperazione.

Insomma, il documentario sembra suggerire che a rivendicazioni giuste si sia risposto in modo sbagliato: gli atti intimidatori e la repressione hanno avuto risultati sterili, se non del tutto controproducenti.

Una questione filosofica molto dibattuta - ripresa dal titolo dell'opera di Cullman e Curry - afferma:
"If a tree falls in a forest and no one is around to hear it, does it make a sound?"
[Un albero, se cade nella foresta ma non c'è nessuno nei dintorni che possa sentirlo cadere, fa rumore?]

Di conseguenza, il problema della preservazione dell'ambiente naturale, per fare rumore, ha bisogno della violenza e della cassa di risonanza di mass media sempre più morbosamente assetati di notizie sensazionalistiche?

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lunedì 1 aprile 2013

I CORTI: IDEM PARIS, L'ARTE DELLA... LYNCHOGRAFIA!

(Clicca sulla foto per vedere il corto) 

USA, 2013
8'
Regia: David Lynch


Ricordate? Avevamo lasciato il leggendario regista David Lynch alle prese con ogni genere di attività extra-cinematografiche: album musicali, mostre d'arte, l'apertura di un club esclusivo e qualche sporadico corto (rileggetevi il nostro precedente post).

In attesa del suo prossimo, misteriosissimo lungometraggio (pare stia finalmente lavorando al soggetto con la sua musa di sempre, Laura Dern), l'autore di Twin Peaks e INLAND EMPIRE ha prodotto un altro breve documentario.

A Parigi, dove ormai è di casa, Lynch ha cominciato ad interessarsi alla litografia, antica e desueta tecnica di riproduzione meccanica di immagini.
Dopo aver studiato con attenzione il processo, ha quindi realizzato un filmato di pochi minuti - in bianco/nero e praticamente muto - nello storico studio della Idem Paris.

King David si limita a documentare le macchine in esercizio durante le varie fasi di lavorazione, senza commenti né barocchismi stilistici.
Chi, tra i critici più snob, asserisce di aver trovato delle corrispondenze col film d'esordio del nostro, il disturbante e cerebrale Eraserhead (1977), ci pare un po' fuoristrada.

Il maestro di Missoula sembra invece continuare a crogiolarsi nel piacere di farsi trascinare dalla corrente, a metà strada tra sincera curiosità e divertimento fine a se stesso.
Almeno fino alla prossima volta.

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