CINEMA A BOMBA!

domenica 29 settembre 2013

WILLIAM FRIEDKIN. JADE, ECCESSO BUGIE E VIDEOTAPE

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 1995
95'
Regia: William Friedkin
Interpreti: David Caruso, Linda Fiorentino, Chazz Palminteri, Michael Biehn, Richard Crenna, Angie Everhart, Victor Wong.


Vecchio porco, appartenente all'aristocrazia di San Francisco, viene trovato orribilmente assassinato nel proprio megavillone.
Si incarica del caso un ambizioso viceprocuratore distrettuale (Caruso), che concentra i sospetti su una sua vecchia fiamma (Fiorentino), ora sposata con un potente e cinico avvocato (Palminteri).
Ma nelle indagini è coinvolto persino il Governatore (Crenna)...

Un regista Premio Oscar, autore di capolavori che hanno rivoluzionato il cinema (indovinate di chi stiamo parlando).
Una bella attrice reduce da lodi sperticate per la sua interpretazione da femme fatale in un piccolo film dai buoni incassi, L'Ultima Seduzione (Linda Fiorentino).
Un popolare divo televisivo in cerca della consacrazione definitiva sul grande schermo (David Caruso).
Un attore fresco di nomination per Pallottole su Broadway di Woody Allen, nonché autore del copione di Bronx, convincente esordio dietro alla macchina da presa di Robert De Niro (Chazz Palminteri).
Lo sceneggiatore più pagato del momento (Joe Eszterhas, quello di Basic Instinct, per intenderci).
Un apprezzato autore di colonne sonore (James Horner).

Gli ingredienti per fare di Jade un successo c'erano tutti, almeno sulla carta. Il problema è che in gran parte sulla carta sono rimasti.
Non che il sottogenere "thriller erotico" faccia normalmente accorrere il pubblico a frotte nelle sale; ma se aggiungiamo a ciò alcuni gravi errori, ecco che non risulta poi inspiegabile il flop di questa pellicola.

Qualche esempio.
La scelta dei protagonisti: Caruso è ancora lontano dal ruolo dell'iconico eroe televisivo Horatio Caine di CSI: Miami; la Fiorentino è poco credibile e qui sfoggia un sex appeal pari a quello di una triglia bollita.
La fotografia: patinata come quella dei tipici porno soft di quegli anni.
Il copione: infarcito di luoghi comuni e con colpi di scena poco scioccanti.
Le scene di sesso: più o meno esplicite, ma fintamente trasgressive, cercano di provocare lo spettatore facendolo diventare – suo malgrado – un voyeur come i personaggi del film (insomma, la tipica "eszterhasata").

Allora perché recensire nello Speciale Friedkin un film che nel complesso non ci è piaciuto?
Perché dopo i fasti di Il Braccio Violento della Legge e L'Esorcista, e dopo film notevoli ma incompresi come Il Salario della Paura e Vivere e Morire a Los Angeles, il nostro ha vissuto un lungo periodo di crisi artistica.
E Jade - che pure negli anni Novanta tra i suoi lavori è il meno peggio - ne è la dimostrazione.

Ma non tutto è da buttare, anzi.
A partire dalla lunga sequenza - 8 minuti buoni - dell’inseguimento automobilistico, vero marchio di fabbrica del Maestro, che questa volta si diverte a giocare col ritmo: prima forsennato tra le ripide strade di San Francisco; poi di una lentezza esasperata quando inseguitore e inseguito si ritrovano rallentati dal carnevale cinese; infine sospeso, ma carico di tensione e attesa, nel finale sul porticciolo, con le due vetture che sembrano muoversi come predatori in procinto di attaccare la preda.
Un pezzo di rara maestria registica che da solo vale la visione del film.

Tra le altre cose da salvare: la colonna sonora, con brani di Loreena Mckennitt e di Stravinskij; la descrizione ambientale, condotta con virtuosismo quasi compiaciuto (vedere l’inizio, mentre scorrono i titoli di testa); la sottile satira antiborghese, probabilmente dovuta alle modifiche effettuate sulla sceneggiatura personalmente da Friedkin.

Per queste ragioni, nonostante tutto, Jade ha lasciato un ottimo ricordo ad Hurricane Billy, che ancora oggi lo annovera tra i suoi lavori più riusciti.
Sarà poi l’incontro con il drammaturgo Tracy Letts - autore prima delle pièce e poi dei copioni di Bug e Killer Joe - a ravvivare nel nostro, una volta per tutte, l’ispirazione dei tempi migliori.
Ma questa è un’altra storia.

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giovedì 19 settembre 2013

WILLIAM FRIEDKIN. L'ESORCISTA, 40 ANNI DI LOTTA TRA BENE E MALE

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 1973
132' (versione Director's Cut integrale)
Regia: William Friedkin
Interpreti: Max von Sydow, Jason Miller, Ellen Burstyn, Linda Blair, Lee J. Cobb, padre William O'Malley.


La giovane e vispa Regan (Blair), figlia di una celebre attrice (Burstyn), comincia da un giorno all'altro a stare male e a comportarsi in modo strano.
La madre, impotente e sempre più preoccupata, non sa cosa fare; né lo sanno i tanti medici che si occupano del caso.
Dopo averle provate tutte, le viene proposto di rivolgersi ad un esorcista: chissà, magari la piccola riesce a farsi condizionare.
Arriva Padre Karras (Miller), scettico e in crisi di fede, ma Regan è posseduta davvero da un demone e al suo capezzale viene chiamato anche l'anziano e più esperto Padre Merrin (von Sydow), che ha qualche conto in sospeso col demonio in questione.

Su L'Esorcista - uscito il 19/06/1973 in anteprima a New York (in Italia fu proiettato solo il 04/10/1974), rieditato nel 1979, ripresentato al cinema nel 2000 e infine riproposto 40 anni dopo nella stessa data e per un solo giorno - si sono scritti fiumi di inchiostro: articoli di giornale, saggi e studi hanno cercato di sviscerare il film più celebre e di successo di William Friedkin, quello in grado di dare una scossa e una svolta sia al genere sia al cinema tout court (è uno dei più clamorosi incassi di sempre al botteghino ed è da molti ancora considerato il più spaventoso horror di sempre).

Moltissimi sono i retroscena e le curiosità. Alcuni esempi:
- il ruolo della madre di Regan fu proposto a Audrey Hepburn, Anne Bancroft e Jane Fonda, che rifiutarono, sebbene per motivi diversi;
- un giorno il set fu distrutto quasi interamente da un incendio scoppiato chissà come;
- accaddero numerosi incidenti e la morte di otto persone in qualche modo legate alla realizzazione del film; durante le riprese uno dei figli di Miller fu investito da una moto e portato all'ospedale in condizioni gravissime (la disperazione del padre nel film era autentica; il bambino fu successivamente dichiarato fuori pericolo);
- il regista chiese ad un prete che faceva da consulente di eseguire un vero esorcismo, ma questi rifiutò, pensando che ciò avrebbe aumentato la tensione tra i membri del cast; impartì comunque una benedizione;
- per far in modo che il fiato degli attori fosse visibile, la camera da letto fu costruita in una stanza isolata sopra la quale c'erano quattro grosse unità refrigeranti, mentre certe scene furono girate direttamente in una fabbrica di ghiaccio;
- il vomito verde che Regan sputa in faccia a Padre Karras venne realizzato con farina di avena e passata di piselli, quindi spruzzato con un sistema di tubi e pompette;
- nelle scene di esorcismo, furono utilizzati come rumori di sottofondo o di grida, registrazioni di esorcismi effettivamente avvenuti;
- Friedkin non fu la prima scelta come regista: i produttori gli preferivano Stanley Kubrick e John Boorman, ma William Peter Blatty - sceneggiatore e autore del best seller dal quale il film doveva essere tratto - li convinse della scelta del Maestro dopo essere rimasto entusiasta dalla visione di Il Braccio Violento della Legge.

Questi e altri numerosissimi aneddoti hanno contribuito all'aura di film cult e maledetto accostata fin dall'inizio a L'Esorcista.

Ma perché a distanza di tanti anni se ne parla ancora?
Dal punto di vista dello spavento, l'opera risulta un po' superata: 40 anni dopo, non si può certo più affermare che faccia ancora paura; senza contare gli epigoni e gli imitatori che nel frattempo si sono spinti sempre più in là negli effettacci orrorifici, oppure le numerose parodie che hanno sbeffeggiato e dissacrato le scene clou (quelle dell'esorcismo), entrate di diritto nell'iconografia classica del cinema di terrore.

Eppure dopo averla vista si ha ancora un senso di profonda inquietudine.
La tensione è alimentata dalla maestria registica di Friedkin, che - novello Virgilio dietro alla cinepresa - prima ci accompagna nel tranquillo contesto borghese della vita dei protagonisti e poi lo sconvolge con l'irrompere del dolore e del male in un crescendo di drammaticità e angoscia (benché non manchino episodi di humour nero e politicamente scorretto).
Nel director's cut perfino il finale vira al pessimismo.

Ma non è solo questione di tensione.
In L'Esorcista si possono trovare le paure dell'uomo contemporaneo, che teme di dover mettere in dubbio le proprie convinzioni, ma è costretto a ripensarvi col presentarsi di fenomeni che la scienza, eretta a custode dogmatica della verità, non riesce a spiegare.

Ciò che sconvolge, a pensarci, è che un rito che pare tanto arcaico - quello dell'esorcismo per liberare una persona posseduta dal diavolo - è praticato anche ai tempi nostri, che sembrano così permeati di razionalismo: invece, la vicenda è ispirata a fatti realmente accaduti. E non secoli prima!
Minuzioso è stato infatti il lavoro di ricerca sulla materia portato avanti da Blatty e Friedkin, e fondamentale l'apporto dei diversi sacerdoti - alcuni compaiono anche nella pellicola come attori - prestatisi come consulenti.

Ma ciò che il film sembra voler soprattutto sottolineare è la forza salvifica della fede: non semplice superstizione o suggestione, ma un modo di vivere diverso - dove centrali sono la fiducia, la speranza e un affidamento non fatalistico all'amore misericordioso di Dio, nutrimento e ragion d'essere di preghiere e azioni.
La salvezza per sé e per gli altri non è una via semplice, bensì una che vale comunque la pena percorrere - anche se ciò comporta un prezzo da pagare in termini di impegno e sacrifici personali.

Il Male, allora si può vincere, anche quando il compito sembra al di là della nostra portata.
Basta avere fede e saper esorcizzare i propri timori.

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domenica 15 settembre 2013

WILLIAM FRIEDKIN. IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE, LA POLIZIA SI INC***A

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 1971
103'
Regia: William Friedkin
Interpreti: Gene Hackman, Roy Scheider, Fernando Rey, Tony Lo Bianco, Eddie Egan, Sonny Grosso.


Dopo la recensione de Il Salario della Paura, presentato in versione rimasterizzata a Venezia 2013 in occasione del compleanno di William Friedkin (ivi insignito dello strameritato Leone d'Oro alla carriera), continuiamo il nostro speciale sul Maestro tornando indietro di qualche anno.

Siamo all'inizio degli anni 70.
Il nostro, dopo una buona gavetta in televisione, è reduce da un pugno di lungometraggi sperimentali che lo hanno reso un nome noto nei circuiti underground.
Viene notato anche dallo sveglio produttore Philip D'Antoni, che gli propone di dirigere un poliziesco metropolitano, The French Connection; una vera fortuna per il regista, che ha la possibilità di cimentarsi in un genere per lui inusuale (finora).

Il copione, affidato all’esperto Ernest Tidyman - romanziere di Shaft, da cui verrà tratta la celebre pellicola omonima con Richard Roundtree - è ispirato alle vicende di due veri poliziotti, Egan & Grosso, i quali partecipano alle riprese sia come consulenti tecnici sia come attori, in ruoli minori.
New York: il rozzo sbirro "Popeye" Doyle (Hackman), insieme al laconico collega "Cloudy" Russo (Scheider), dà la caccia ad un raffinato trafficante marsigliese (Rey), giunto negli USA per portare a destinazione un importante e ingente carico di droga. La sfida sarà senza esclusione di colpi.

Risultato? 5 premi Oscar, tutti meritatissimi: miglior film, regia (ad oggi la sola statuetta vinta dal Maestro), Hackman attore protagonista, sceneggiatura e montaggio.
Ma insieme ai premi e al successo commerciale arrivano anche le polemiche di parte della critica, che dipinge film e regista come "reazionari": un’accusa idiota che accompagnerà Billy per tutta la carriera, e che dimostra quanto questo autore sia stato e sia tuttora poco capito.

Come abbiamo già visto nel post dedicato a Il Salario della Paura, al nostro interessa realizzare opere il più possibile vicine al reale: non solo verosimili, ma "vere" (non dimentichiamo che Friedkin viene dai documentari).
La vita dei poliziotti è dura e violenta? Allora la finzione deve riprodurre quella durezza e quella violenza, senza filtri o edulcoranti: il personaggio di Popeye - interpretato da un grande Gene Hackman - è razzista e spietato perché sono l’ambiente in cui si muove e il mestiere che fa che lo hanno reso così.

Questa fissazione per il "realismo metropolitano" spiega alcune precise scelte di regia, quali girare totalmente on location (ossia senza l'utilizzo alcuno di set cinematografici), coinvolgere nelle riprese i protagonisti della vicenda originale (il meccanico che nella realtà aiutò Egan e Grosso, tale Irving Abrahams, compare nel ruolo di se stesso) o utilizzare un vero campione di eroina per la scena del test sulla purezza della droga (una sequenza che ricorda quella dei dollari falsi di Vivere e Morire a Los Angeles).

La sequenza più memorabile del film rimane però quella nella quale Doyle rincorre il sicario francese: 10 magistrali minuti senza musica che danno il via ad un’ ideale "trilogia degli inseguimenti", che proseguirà nel succitato Vivere e Morire a Los Angeles, fino a concludersi con Jade.
Notare che le 3 pellicole sono girate in decenni diversi (anni 70, 80 e 90) e ambientate in differenti metropoli (New York, Los Angeles, San Francisco), quasi rappresentassero dei veri e propri "giri di boa" per il regista, continuamente impegnato a superare se stesso e al contempo cimentarsi in qualcosa di nuovo, pur mantenendo il proprio originalissimo stile.

A distanza di oltre 40 anni, Il Braccio Violento della Legge fa ancora scuola, e rappresenta non solo una vetta nell'itinerario artistico di William Friedkin, ma anche uno dei più significativi connubi tra il cinema di genere e quello d'autore.

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sabato 7 settembre 2013

VENEZIA 2013. I VINCITORI, UN DOCUMENTARIO ITALIANO SALVA LA MOSTRA

(Il regista di Sacro GRA Gianfranco Rosi col Leone d'Oro) 


Come avevamo (modestamente) previsto nel nostro precedente post, è stato un documentario a salvare la 70a Mostra del Cinema di Venezia.
E un documentario italiano!
A 15 anni di distanza da Così Ridevano di Gianni Amelio, il Leone d'Oro è andato quindi ad un'opera tricolore - Sacro GRA (dove GRA sta per Grande Raccordo Anulare: parla infatti della vita ai margini dell'autostrada tangenziale che circonda ad anello Roma) - del regista Gianfranco Rosi.

Tolta la soddisfazione per la vittoria del connazionale e di un modo di fare cinema - il documentario - che noi di CINEMA A BOMBA! apprezziamo particolarmente (tanto da avervi dedicato un'intera sezione, I DOC), resta la sensazione che gli altri premi assegnati riflettano la modestia complessiva della selezione.

I pochi artisti di rilievo sono rimasti inopinatamente a bocca asciutta: Judy Dench e Nicolas Cage - alla vigilia favoriti per le due Coppe Volpi - tornano a casa a mani vuote, così come l'"aliena" Scarlett Johansson e il visionario Terry Gilliam.
Stessa sorte, soprattutto, è toccata al leggendario regista giapponese Hayao Miyazaki, asso dell'animazione e fondatore dello Studio Ghibli (lo stesso che ha realizzato, tra le altre cose, La Collina dei Papaveri), che al Lido ha portato l'ultimo lungometraggio della sua gloriosa carriera.

Diavolaccio di un Bertolucci, però: la giuria da lui presieduta è riuscita a rendere comunque indimenticabile - sebbene per noi Italiani e per pochi altri - un'edizione della Mostra di per sé piuttosto mediocre (la rassegna, per il suo settantesimo compleanno, avrebbe meritato un cartellone più interessante ed accattivante).

E nel fare i più sinceri complimenti a Gianfranco Rosi, permetteteci una citazione finale.

"E allora vieni con me, amore/sul Grande Raccordo Anulare/che circonda la Capitale".


LEONE D’ORO per il miglior film a SACRO GRA di Gianfranco Rosi (Italia)

LEONE D’ARGENTO per la migliore regia a ALEXANDROS AVRANAS per Miss Violence (Grecia)

GRAN PREMIO DELLA GIURIA a JIAOYOU (STRAY DOGS)) di Tsai Ming-liang (Taipei/Francia)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a DIE FRAU DES POLIZISTEN di Philip Gröning (Germania)

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione maschile a THEMIS PANOU nel film Miss Violence (Grecia)

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione femminile a ELENA COTTA nel film Via Castellana Bandiera di Emma Dante (Italia)

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI a un giovane attore o attrice emergente a TYE SHERIDAN per Joe di David Gordon Green (Stati Uniti)

PREMIO OSELLA PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a STEVE COOGAN e JEFF POPE per Philomena di Stephen Frears (Regno Unito)

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domenica 1 settembre 2013

WILLIAM FRIEDKIN. IL SALARIO DELLA PAURA, UN' OPERA DA MANEGGIARE CON CURA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

USA, 1977
121'
Regia: William Friedkin
Interpreti: Roy Scheider, Bruno Cremer, Francisco Rabal, Amidou.


«Apocalypse Now, Aguirre-Furore di Dio e il mio Il Salario della Paura sembrano in effetti aver sofferto dello stesso male. Sapete, la maggior parte dei registi ha un solo desiderio: quello di vivere sul filo del rasoio. Sapendo che un regista non ha sempre un controllo assoluto sulla propria creazione è evidente che egli ha forzatamente voglia di andare vicino al punto di rottura di una situazione data per provare al mondo di essere in grado di ritornare, all’ultimo minuto, padrone del suo destino».

Un camion che pare venuto dall'inferno - col muso che ricorda un demone e con sbuffi di fumo che escono da tubi che sembrano corna - attraversa un ponte di corde lacere e assi di legno putride, scosso da raffiche di vento e pioggia battente.
Sbanda, sembra poter cadere nel fiume da un momento all'altro.
I movimenti sono lenti, i volti del conducente e di chi sta guidando il mostro meccanico dal ponte sono terrei e tesi per l'attenzione e la preoccupazione: i due sanno che un minimo movimento brusco potrebbe far scoppiare il carico - delle casse di nitroglicerina - e ucciderli all'istante.

È questa la scena-simbolo di Il Salario della Paura, storia di quattro disperati in fuga dal mondo che si incontrano in un remoto villaggio dell'America Latina e che accettano per necessità il lavoro di trasportare dell'esplosivo attraverso la foresta, tra mille insidie e percorsi a dir poco accidentati.
Una sequenza di pochi minuti che però venne a costare un decimo dell'intero budget e fece guadagnare al regista il nomignolo di Hurricane Billy.

Circa un anno fa, CINEMA A BOMBA! - rispondendo ad un accorato appello apparso nelle pagine di Facebook e Twitter da parte del gruppo Save Sorcerer - sottoscrisse petizioni e fece pressioni sulla Paramount e sull'Universal per salvare le pellicole negative originali 35mm del film più impegnativo e maledetto di William Friedkin.

Immaginate quindi la nostra soddisfazione nel sapere a Febbraio di quest'anno - e nell'avere la relativa conferma a Maggio - del salvataggio di Il Salario della Paura.
Non solo, ma anche di una sua presentazione a Venezia 2013 in una nuova edizione restaurata e rimasterizzata, nel giorno del compleanno del suo autore e della consegna del prestigiosissimo Leone d'Oro alla carriera!

Il "maledettismo" della pellicola fu dovuto ai costi esorbitanti sostenuti dalla produzione negli scomodissimi esterni dominicani, al massacro dei critici all'uscita nelle sale e allo scarso risultato al botteghino.
Un flop che segnò in modo indelebile la carriera del cineasta di Chicago, allora considerato uno dei più talentuosi e promettenti della propria generazione.

Al disastro contribuirono di certo gli inadeguati interpreti, quasi tutti quinte o addirittura seste scelte (Scheider è chiaramente al posto di Steve McQueen); il fuorviante titolo originale Sorcerer, "stregone", riferito - ma l'associazione è tutt'altro che scontata - al destino malvagio; l'uscita nelle sale in concomitanza con quella dell'epocale Guerre Stellari.
E infine il perfezionismo maniacale di Friedkin, che per la scena dell'incidente nel prologo arrivò a far distruggere dodici automobili di fila (12!) prima di ritenersi soddisfatto.

Eppure l'opera in questione è notevole e decisamente non merita l'oblio al quale sembrava inesorabilmente condannata.
Potente, forgiata da una forza titanica, investe lo spettatore con il fango, la pioggia, l'umidità, il fumo e le fiamme incandescenti che tormentano i quattro antieroi, e gli fa vivere i loro stessi brividi.
L'accentuato realismo è sempre stato in fondo uno dei principali marchi di fabbrica del Maestro, allergico agli artifici spettacolari fini a se stessi.

Il senso di tensione, strisciante fin dalle prime sequenze, cresce progressivamente lungo lo svolgersi della vicenda, senza risparmiare il finale, amaro e sospeso.
Solo un grande regista poteva rendere la fisicità, la materia della storia in modo così efficace.
William Friedkin ci è riuscito.

«Di tutti i film che ho girato, questo è il mio preferito. E' uno dei pochi che posso rivedere perché è venuto quasi esattamente come volevo».

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