CINEMA A BOMBA!

lunedì 30 luglio 2018

BOMBCAST: EP. 006 - VENEZIA 2018

(Clicca sull'immagine per ascoltare/scaricare il file). 


29 Agosto - 20 Settembre 2018.

L'edizione numero 75 della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia si preannuncia spettacolare: è stato annunciato il programma ufficiale e, sì, ci sono grandi titoli e grandi nomi.

Noi della redazione di CINEMA A BOMBA! siamo elettrizzati e pertanto abbiamo deciso di dedicare la sesta puntata del nostro podcast alla kermesse lagunare.

Con l'approssimarsi della Mostra vi faremo conoscere tutti i film in concorso e quelli più interessanti nelle altre sezioni e vi segnaleremo le star che potrebbero sbarcare al Lido.

Nel frattempo, ecco le nostre considerazioni e i nostri commenti preliminari.

Possiamo anticipare che anche quest'anno Venezia ha un cartellone molto più accattivante di quello di Cannes.

L'edizione dell anno scorso era stata memorabile.

Lo sarà anche questa?
Noi pensiamo proprio di sì.

Buon ascolto, fioi!




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lunedì 23 luglio 2018

I CLASSICI: BLACK PANTHER, MISTER CONSAPEVOLEZZA NERA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2018
134'
Regia: Ryan Coogler
Interpreti: Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong'o, Danai Gurira, Daniel Kaluuya, Martin Freeman, Letitia Wright, Winston Duke, Angela Bassett, Forest Whitaker, Andy Serkis, Sterling K. Brown, Stan Lee


Tutti pensano che il Wakanda sia un poverissimo e arretrato Stato africano.

In realtà, esso cela al mondo la sua vera natura, quella di un Paese all'avanguardia in tutto, ricco, retto dal giovane monarca illuminato T'Challa (Boseman) - che a tempo perso combatte il crimine sotto il costume di Black Panther - in collaborazione con la saggia regina madre (Bassett), la geniale sorella Shuri (Wright), la giovane e intraprendente Nakia (Nyong'o) e la leale e coraggiosa Okoye (Gurira), capo della guardia reale.

Ma la pace del piccolo e pacifico regno è messa in pericolo da Erik Stevens (Jordan), noto nel mondo del crimine come Killmonger, che ha un conto in sospeso con la monarchia wakandiana e che punta a salire sul trono per vendicarsi.






Creato dal duo Jack Kirby - Stan Lee nel 1966 (di poco precedente la nascita del movimento estremista delle Pantere Nere), il personaggio al centro della diciottesima opera del Marvel Cinematic Universe ha prima esordito nel 2016 in Captain America: Civil War e poi ha avuto l'onore di una pellicola solista.

Da molti considerato un film che in un certo senso ha cambiato il cinema (primo protagonista di pelle nera di una pellicola supereroistica), da altri il frutto di un'operazione di marketing molto furbetta, da altri ancora una risposta militante agli Stati Uniti di Donald Trump, Black Panther è stato comunque un trionfo - è attualmente nella top ten dei maggiori incassi di tutti tempi (non rivalutati con il tasso d'inflazione, però) con oltre un miliardo di dollari e ha entusiasmato critica e pubblico (soprattutto nel Nord America).

Sebbene la trama e alcune scene d'azione non brillino particolarmente per originalità, occorre dire che esso è piuttosto interessante sotto molti punti di vista.

Innanzitutto per il ribaltamento degli stereotipi.

Il Wakanda non è un Paese povero, sfruttato, corrotto, retto da un regime autocratico o dittatoriale, dilaniato da guerre: è invece un Eden opulento, tecnologicamente avanzato, autosufficiente economicamente, isolato dal mondo (al quale fa credere di essere arretrato), dove le diverse tribù convivono pacificamente, retto da una monarchia saggia e pacifica nella quale grande influenza hanno le figure femminili.

Questa immagine utopica non è però solo l'opposto della realtà quotidiana vissuta dalla stragrande maggioranza dei Paesi africani: essa si nutre anche delle idee di politici africani visionari quali il sudafricano Nelson Mandela, il senegalese Léopold Sédar Senghor (il principale esponente della négritude, il movimento letterario, culturale e politico che si proponeva di valorizzare le peculiarità delle popolazioni africane rispetto a quelle europee), il tanzaniano Julius Nyerere e soprattutto il rivoluzionario burkinabé Thomas Sankara (a quando un film sulla sua straordinaria vita?).

Nei riferimenti alla condizione dei neri negli USA, palesi sono i rimandi all'attualità, ma nella sceneggiatura abbiamo riscontrato altresì echi di Martin Luther King e Malcolm X, naturalmente, e anche di scrittori quali Toni Morrison (prima scrittrice afroamericana a vincere il Nobel, nel 1993), Maya Angelou e James Baldwin.

La costruzione di un "orgoglio nero" operata da Black Panther passa però anche dalla cultura e dall'arte del Continente Nero: le architetture wakandiane richiamano quelle delle antiche città di Zimbabwe e Timbuctù, i coloratissimi vestiti e i ricchi ornamenti riprendono quelli dei popoli Zulu, Bantu, Masai, Basotho, Ndebele, Dogon, Tuareg, Turkana (complimenti alla costumista Ruth E. Carter e alla sua squadra!).

Peccato che, tralasciando le scene ambientate in Corea del Sud, quasi tutto il film sia stato girato in uno studio nei pressi di Atlanta: solo poche e fugaci riprese sono state fatte in Africa (in Uganda, al confine con il Congo).

Insomma, si ha l'impressione che l'Africa della pellicola sia un'Africa conosciuta sui libri o sui documentari, un'Africa idealizzata ad uso e consumo degli afro-americani e degli Occidentali che ha a che fare con quella reale solo superficialmente.

Un film "africano" girato in Africa e con attori e maestranze anche locali sarebbe stato più sincero - un dato curioso: dopo l'India, il Paese con il maggior numero di produzioni cinematografiche nel mondo è la Nigeria; senza contare il fatto che Senegal e Burkina Faso hanno un'importante tradizione di cinema d'autore.

Lavorare nel Continente Nero sarebbe stato un bell'aiuto (anche economico) all'industria locale e un bel gesto di supporto.

Black Panther, però, è pur sempre un investimento hollywoodiano, pensato principalmente per un pubblico americano e fatto per incassare più soldi possibili - cosa mai scontata, vista la grande concorrenza (anche all'interno dell'universo Marvel).

Affidare la regia e la sceneggiatura a Ryan Coogler è stata una buona idea: oltre al fatto di essere afro-americano, il cineasta californiano è dotato di talento e ha saputo imprimere la sua impronta sull'opera.

I suoi lavori precedenti - Fruitvale Station e Creed (lo spin-off di Rocky che fece vincere a Sylvester Stallone un meritato Golden Globe e gli fece sfiorare un Oscar) - sebbene incentrati su tematiche "black" si sono rivelati un successo di critica e, abbastanza inaspettatamente, anche di pubblico.

E hanno avuto il merito di lanciare la carriera di uno degli attori più richiesti del momento, protagonista di entrambe le pellicole: Michael B. Jordan (se ve lo chiedete, la "B." sta per "Bakari", parola in lingua swahili che significa "nobile promessa").

Qui, egli fa la parte del cattivo e sta spesso a torso nudo, così come l'eroe, interpretato da Chadwick Boseman.

L'esibizione dei corpi muscolosi e possenti degli attori sembra quasi un'esaltazione della "razza" nera, una risposta all black alla celebrazione della "razza" ariana operata da Leni Riefenstahl in Olympia, documentario sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 (quelle dei trionfi dell'afro-americano Jesse Owens davanti agli occhi di Adolf Hitler).

Chissà se si tratta di una coincidenza oppure no...

Fanno solo da contorno Daniel Kaluuya (candidato all' Oscar quest'anno per Get Out), Martin Freeman (il giovane Bilbo Baggins nella trilogia cinematografica di Lo Hobbit), Andy Serkis (con la sua vera faccia!), Forest Whitaker.

Anche perché si è voluto lasciare molto spazio ai personaggi femminili.

Se quelli interpretati da Angela Bassett (la regina madre) e Lupita Nyong'o (il Premio Oscar per 12 Anni Schiavo è la giovane e coraggiosa Nakia, della quale si innamora T'Challa) sono però abbastanza prevedibili, più incisivi risultano quelli affidati alle meno note Letitia Wright (la geniale e inventiva Shuri) e Danai Gurira (l'indomita e battagliera leader della guardia reale Dora Milaje, un corpo che prende spunto dalle storiche donne guerriere conosciute come le Amazzoni del Dahomey), dotate di piglio e personalità.

A proposito: la fotografia è stata affidata a Rachel Morrison, che proprio quest'anno è stata la prima donna candidata nella categoria agli Oscar.

E sempre quest'anno c'è stata un'altra prima volta: Kendrick Lamar è stato il primo rapper a vincere un Premio Pulitzer, per la musica.
Indovinate chi ha curato la colonna sonora della pellicola...

Insomma, la Marvel ha affidato a Coogler un film di supereroi e questi l'ha trasformato in un'opera militante non priva di riferimenti culturali e politici che si schiera contro il razzismo, le discriminazioni e che si mette in aperto contrasto con la politica di Donald Trump (emblematico è il discorso che fa T'Challa davanti all'Assemblea ONU in una delle scene post credit).

La pantera è nera.
Di rabbia.




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venerdì 6 luglio 2018

I CLASSICI: LOGAN, E TU QUALE WOLVERINE SEI?

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2017
137'
Regia: James Mangold
Interpreti: Hugh Jackman, Patrick Stewart, Dafne Keen, Boyd Holbrook, Stephen Merchant, Richard E. Grant, Eriq La Salle.


2029: gli X-Men sono morti e i mutanti pressoché estinti.

Un barbuto e indebolito Logan (Jackman) campa facendo l'autista di limousine e si prende cura di un vecchissimo Professor Xavier (Stewart), affetto da demenza senile.

Le cose precipitano quando nella loro vita piombano all'improvviso una bambina ispanica molto particolare (Keen) e i malvagi Reavers che vogliono catturarla...






Chi è davvero Wolverine?
L'ultimo capitolo della trilogia dedicata all'artigliato canadese pare incentrarsi su questa domanda.
Ma è una domanda sbagliata.
Il vero quesito che bisogna porsi è: quale Wolverine è QUESTO?

Quello originale, protagonista dei primi capitoli della saga degli X-Men e delle precedenti pellicole "soliste"?
Quello della realtà alternativa di Giorni di un Futuro Passato?
Quello fugacemente comparso in X-Men: Apocalisse col nome di Arma X?

La partecipazione di Stewart e la presenza del personaggio di Calibano interpretato da un attore diverso rispetto a X-Men: Apocalisse farebbero propendere per la prima o la seconda ipotesi; la pressoché totale assenza di riferimenti alle pellicole precedenti e il drastico mutamento di stile e tono rispetto ad esse avvalorerebbero invece la terza.

La controversia è stata risolta da James Mangold: nessuna delle tre.
Per il regista, che aveva già firmato Wolverine-L'Immortale nel 2013, Logan è da considerarsi un episodio a sé stante, slegato dalla "continuità" della serie.






Quel che conta è che si tratti della nona e ultima volta di Hugh Jackman nel ruolo di Wolverine, dopo 17 lunghi anni, nonché dell'ultima apparizione come Professor Xavier da parte di Patrick Stewart.

Il primo in particolare offre un'interpretazione crepuscolare e sofferta, non dissimile da quella di Les Misérables con cui qualche anno fa si guadagnò il Golden Globe.
La sua assenza nei prossimi film della serie - è attualmente in produzione X-Men: Dark Phoenix, primo capitolo di una nuova trilogia - peserà come un macigno.

Forse verrà sostituito da Tom Hardy o forse no (l'ex Bane de Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno è già impegnato come protagonista di un'altra pellicola targata Marvel: l'attesa Venom), ma una cosa è certa: nessuno potrà mai interpretare Wolvie meglio di lui.

In Logan, il divo australiano dimostra una volta per tutte di essere nato per il ruolo.
Su tutte le scene, vale la pena ricordare almeno le violente battaglie tra il nostro eroe e il suo clone malvagio X-24 (interpretato - idea geniale - dallo stesso Jackman) e le sue interazioni con la piccola ma tutt'altro che indifesa X-23.






Domanda: che cosa manca allora al film per essere ricordato come uno dei più riusciti della saga?
Risposta: gli altri X-Men e un po' di umorismo.

L'assenza del resto del team è un vero peccato: almeno la Jean Grey di Famke Janssen avrebbe avuto un senso.
Per non dire del tono troppo serioso della sceneggiatura (nonostante ciò candidata all'Oscar): la storia forse lo richiedeva, ma Deadpool - giusto per nominare l'altra famosa co-produzione Marvel-Fox - è un'altra cosa.

Non è un caso infatti che nei cinema la proiezione di Logan sia stata preceduta dal divertente No Good Deed, cortometraggio dedicato proprio all'irriverente mercenario chiaccherone.
Un tentativo (riuscito) di alleggerire i toni del lungometraggio, altrimenti un po' troppo cupi.

Non rivedremo quindi più Hugh Jackman nelle vesti dell'eroe che lo ha reso celebre?
Mai dire mai: il nostro ha giurato e spergiurato, tuttavia ha lasciato aperta la porta ad un'eventuale collaborazione con gli Avengers (magari!) o ad una comparsata in un film di Deadpool.

Difficile che si realizzi la prima ipotesi, ma alla seconda ci siamo arrivati vicino (in Deadpool 2 Wolverine appare in immagini di repertorio, opportunamente modificate, da X-Men: Le Origini).

E se Logan non fosse l'ultimo capitolo della storia?




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domenica 1 luglio 2018

I CORTI: I'M UPSET, RIMPATRIATA ALLA DEGRASSI!

(Clicca sulla foto per vedere il corto). 

USA/Canada, 2018
6'
Regia: Karena Evans
Interpreti: Drake, Nina Dobrev, Shane Kippel, Lauren Collins, Jake Epstein, Paula Brancati, Jason Mewes, Kevin Smith.


Un giovane afro di successo viene chiamato dai suoi ex compagni di scuola per una rimpatriata, una festa notturna tra le mura del vecchio liceo.

Ma la scuola in questione non è una qualunque: è la Degrassi High, e tra gli ospiti figurano anche Jay e Silent Bob...






Diretto da una giovanissima esperta di video musicali (Karena Evans ha solo 22 anni!), I'm Upset è un vero e proprio cortometraggio che omaggia la serie tv di culto Degrassi-The Next Generation, una sorta di Beverly Hills 90210 canadese.

La canzone che lo accompagna è - a dirla tutta - piuttosto brutta, ma non conta.
Quel che conta è l'atmosfera dolcemente malinconica di reunion tra vecchi amici e la spassosa partecipazione di Jay e Silent Bob.

Lo "strafumato" Mewes e l'onnivoro cineasta Kevin Smith avevano già prestato anni fa i propri iconici personaggi a una manciata di episodi della serie e hanno colto al volo l'occasione di rivestire i panni del duo che li aveva resi celebri.

Fatta esclusione della comparsata in The Flash-Null & Annoyed, è la prima apparizione dei due spacciatori dal cuor d'oro in 12 anni.
Nessun dubbio: sono loro il vero motore del corto, che scorre veloce tra gag e nostalgia.

E chi non si commuove alla fine, quando si rivedono i personaggi storici com'erano allora e come sono adesso, mentre si ascolta la vecchia sigla del telefilm...
Beh, allora vuol dire che non guardava Degrassi ai tempi del liceo.




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