CINEMA A BOMBA!

venerdì 22 maggio 2020

I CORTI: FROZEN FEVER + LE AVVENTURE DI OLAF, PILLOLE DAL REGNO DI GHIACCIO

(Clicca sulle locandine per vedere il film Frozen Fever e il trailer di Le Avventure di Olaf). 

USA, 2015 (Frozen Fever) / 2017 (Le Avventure di Olaf)
7' (Frozen Fever) / 21' (Le Avventure di Olaf)
Regia: Jennifer Lee, Chris Buck (Frozen Fever) / Kevin Deters, Stevie Wermers (Le Avventure di Olaf)
Voci originali: Kristen Bell, Idina Menzel, Jonathan Groff, Josh Gad.


Tale è stato il successo di Frozen-Il Regno di Ghiaccio, forse persino al di là delle aspettative della Disney, che un seguito si è rivelato presto inevitabile.

Il colosso cinematografico ha avuto però il buon senso di aspettare, far crescere i personaggi, sviluppare bene la trama e presentare al pubblico un prodotto all'altezza dell'originale.

Il risultato è stato Frozen 2-Il Segreto di Arendelle, uscito solo pochi mesi fa, ossia a distanza di ben 6 anni (a proposito, presto vi recensiremo anche questo).

Come fare però a mantenere vivo l'interesse degli spettatori - e accontentare i fan più impazienti - per un periodo di tempo così prolungato?
Facile: con due cortometraggi!






Frozen Fever è ambientato circa un paio d'anni dopo le vicende del primo film.

Elsa sta preparando una festa a sorpresa per il 20° compleanno della sorella Anna, ma si prende l'influenza (in originale è più facile cogliere l'ironia: il raffreddore in inglese si dice cold, che significa anche "freddo").

Ovviamente combina un sacco di pasticci, e il trio Kristoff-Sven-Olaf che dovrebbe aiutarla ci mette del suo, ma alla fine tutto si risolve nel migliore dei modi.

Questo corto, davvero breve, ha almeno 3 meriti: presentare una nuova, orecchiabilissima canzone; rivelarci che fine hanno fatto sia Hans che il gigante Marshmellow; introdurre gli adorabili Snowgies, piccoli omini di neve che nascondo dagli starnuti di Elsa.






Le Avventure di Olaf è quasi un mediometraggio (sorpassa i 20 minuti) di ambientazione natalizia.

In occasione della più amata delle festività, Olaf va in cerca di "tradizioni" da regalare ad Elsa e Anna, che (apparentemente) non ne hanno, ma finisce per mettersi nei guai.
Il lieto fine è comunque assicurato.

Per la prima volta, la storia è ambientata davvero in inverno, non è più del tutto "sorelle-centrica" e conosciamo meglio il villaggio di Arendelle al di fuori delle mura del castello.

Da notare che qui Olaf non ha più sulla testa la nuvoletta che Elsa gli aveva creato alla fine di Frozen per evitare che si sciogliesse e che compariva ancora nel precedente corto (la contraddizione verrà risolta con una battuta in Frozen II).

Come sempre, sono notevoli i numeri musicali (specie l'ultimo) e i siparietti comici (il migliore è forse quello di Sven che mima a Kristoff quel che è successo a Olaf).




Etichette: , , , , , ,

domenica 17 maggio 2020

I CLASSICI: SPAWN, AVERE UN DIAVOLO PER CAPPUCCIO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 1997
96'
Regia: Mark A.Z. Dippé
Interpreti: Michael J. White, Martin Sheen, John Leguizamo, Theresa Randle, Melinda Clarke, D.B. Sweeney, Nicol Williamson, Frank Welker, Todd McFarlane.


L'agente speciale Al Simmons (White) viene tradito dal proprio capo (Sheen) e ucciso dalla spietata Priest (Clarke) nel corso di una missione.

All'inferno fa un patto col demone Malebolgia (Welker) e torna sulla Terra col nome e l'aspetto di Spawn, una sorta di cavaliere della morte.

Nel frattempo è passato qualche anno: la sua amata (Randle) ha messo su famiglia col suo migliore amico (Sweeney) e i suoi assassini sono ancora a piede libero.

La vendetta è l'opzione più ovvia, ma sul suo cammino si mettono il clown/mostro Violator (Leguizamo) e lo stregone Cagliostro (Williamson).






Ecco il primo e finora unico adattamento cinematografico di un fumetto della Image Comics, casa editrice fondata nel 1992 da sette disegnatori fuoriusciti dalla Marvel, superdivi della matita intenzionati a dimostrare la superiorità dell'Autore su quella del Personaggio (per la cronaca: l'esperimento ha funzionato alla grande per un paio di anni, poi è sostanzialmente imploso).

Tra questi c'è un tizio dall'aria severa che risponde al nome di Todd McFarlane.
Creatore grafico di Venom (ne avevamo parlato anche nel nostro podcast, ricordate?) e responsabile di un leggendario e controverso ciclo di Spider-Man, è colui che più è rimasto fedele allo spirito che animava in principio i "Magnifici 7".

A differenza di quasi tutti i suoi colleghi, Todd si è concentrato su una sola serie, ne ha mantenuto il controllo creativo fino ad oggi e si è arricchito con le action figure prodotte dalla sua McFarlane Toys.
Ricavarci pure un adattamento cinematografico era una mossa quasi scontata.

Fantasioso incrocio tra Batman, Darkman, Il Corvo e Robocop, Spawn è un B-movie girato un po' in economia da una squadra di tecnici dell'ILM (Industrial Light & Magic) di George Lucas.
Alcuni effetti speciali sono notevoli (il mantello), altri risultano decisamente mediocri (l'inferno).






La sceneggiatura è un po' prevedibile, ma funzionale; inoltre ha il merito di non discostarsi troppo dal fumetto.
Le due differenze principali sono l'identità dell'assassino di Al (quello originale, Chapel, è di proprietà di Rob Liefeld, co-autore di Deadpool) e l'etnia dell'amico Terry (qui è un bianco).

Il cast se la cava nel complesso bene: nella parte del primo supereroe afro del grande schermo, White è adeguato benché non particolarmente espressivo; Sheen fa del proprio meglio per non cadere nel ridicolo (quanto sono lontani i tempi di Apocalypse Now!), nonostante una tinta poco probabile; Leguizamo come Violator è la carta migliore del mazzo.

L'attore colombiano è pressoché irriconoscibile sotto fat suit e trucco richiesti dal personaggio, ma è si scatena in una performance istrionica, sopra le righe, esageratamente influenzata dal "metodo" dell'Actor's Studio (nella scena della pizza ha mangiato davvero dei vermi vivi!) e forse con qualche debito nei confronti del Pinguino di Batman-Il Ritorno.

Nei ruoli di supporto, segnaliamo: Frank Welker (voce del protagonista di Curioso come George, ricordate?), che dà la voce a Malebolgia nella versione originale; Nicol Williamson, indimenticato Merlino di Excalibur, qui nella sua ultima interpretazione; lo stesso Todd McFarlane, che fa una comparsata alla Stan Lee (è il barbone spaventato da Spawn).






A distanza di quasi 30 anni, Spawn è ancora un personaggio di culto.
Perché allora - in un'epoca in cui abbondano reboot, remake e sequel - non farne una nuova versione cinematografica, aggiornata e magari migliorata?

Dev'essere quello che ha pensato il buon Todd, che sta scrivendo di proprio pugno il copione del prossimo film, in cui dovrebbe persino esordire come regista.

Poche le indiscrezioni: al momento si sa soltanto che verrà accentuata la componente horror, che il ruolo principale sarà ricoperto da Jamie Foxx e che la trama dovrebbe incentrarsi non tanto su Spawn quanto sul detective Twitch (Jeremy Renner, alias Occhio di Falco degli Avengers).

Non possiamo che rallegrarcene e attendere.
Il personaggio è in ottime mani: quelle del suo creatore.




Etichette: , , , , , , , , , , , , , , , , ,

martedì 12 maggio 2020

I DOC: MARINA ABRAMOVIC:THE ARTIST IS PRESENT, LA VITA COME OPERA D'ARTE

(Clicca sulla locandina per vedere il documentario sottotitolato in italiano). 

USA, 2012
99'
Regia: Matthew Akers
Con: Marina Abramović, Ulay, Klaus Biesenbach.


In balia del pubblico per delle ore, consentendo ad esso di usare degli strumenti di piacere o di dolore sul suo corpo inerme.

In mezzo ad una stella a cinque punte infuocata posata per terra, dove prima aveva bruciato unghie e capelli che si era tagliata.

Intenta a spazzolarsi in capelli in modo sempre più deciso fino a sanguinare e fino a sfregiarsi il volto.

Impegnata a incidere sul proprio corpo nudo, con un rasoio, una stella a cinque punte.

Seduta su una montagna di ossa di bovino, mentre le pulisce maniacalmente per delle ore.

Con il compagno di allora, l'artista tedesco Ulay, azioni estreme come: far passare la gente per una porta stretta, tra loro che sono nudi; stare per delle ore in piedi, di spalle, con i rispettivi capelli intrecciati; prendere la rincorsa e scontrarsi violentemente; spingere a sé un arco mentre lui incocca la freccia: se lui molla, la freccia le colpirà il cuore; attraversare l'una da una parte l'altro dall'altra la Grande Muraglia Cinese, incontrandosi nel mezzo e lasciandosi, ponendo così fine ad una storia d'amore e collaborazione durata 12 anni.

Esibizionismo, autolesionismo, follia?

Una forma di voyeurismo per pseudo-intellettuali snob, come quella descritta dalla famosa scena di La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino?

O arte?

E se parliamo di arte, che senso ha la performance art, della quale la protagonista delle esibizioni succitate, Marina Abramović, è la più famosa rappresentante?






Il documentario che stiamo recensendo, in questo caso, è illuminante per capire la figura di una delle artiste più discusse e controverse degli ultimi 50 anni circa.

Partendo dalla preparazione e dalla realizzazione di quella che è finora una delle sue performance più ambiziose e mainstream, The Artist Is Present, appunto - consistente nello stare seduta su una sedia per delle ore (precisamente 736) e per diversi mesi davanti ad un'altra sedia nella quale di volta in volta si siede qualcuno - che ha avuto luogo al Museum of Modern Arts (familiarmente, MoMA) di New York nel 2010 (tra i visitatori, una nostra vecchia conoscenza), esso ne racconta la vita, le opere, gli amori, le inquietudini, le difficoltà (anche di farsi accettare come artista).

Un vissuto che essa è riuscita a rendere arte con l'utilizzo del proprio corpo, divenuto strumento per veicolare messaggi.

Non che questo sia una novità - basti ricordare gli happening dadaisti di un secolo fa o la "vita come un'opera d'arte" di Gabriele D'Annunzio.

Ma pochi, prima di lei, sono riusciti a trattare la propria fisicità in modo così duro e scioccante per denunciare i mali della società - violenza, guerra, mercificazione femminile...

Nessuno in modo così efficace e viscerale.

Donna dal grande carisma e temperamento, scopriamo così che essa ha vissuto un'infanzia nella quale non si è sentita amata - i suoi genitori, già partigiani jugoslavi titini non le dimostravano molto affetto - ma nella quale è stata educata rigidamente, quasi militarmente.

Cosa che le è servita per sviluppare in seguito un rigore, una forte autodisciplina e una resistenza fisica che sono poi risultati indispensabili per le sue performance, volte spesso a esplorare i limiti del corpo umano e a creare un rapporto anche fisico con lo spettatore, sul quale esse hanno sovente un forte impatto emotivo.

Marina Abramović, col tempo, ha reso le sue esibizioni più scenografiche, più teatraleggianti, è riuscita a travalicare l'ambito artistico e a diventare un'icona pop - tra i suoi tanti fan nello star system, citiamo per esempio Lady Gaga - e un personaggio riconoscibile persino nella mondanità - la ricordiamo come giurata alla Mostra del Cinema di Venezia 2012; nel documentario la si vede in compagnia di Riccardo Tisci, celebre art designer, al tempo direttore creativo della maison Givenchy.

Il suo vecchio sodale Ulay (scomparso lo scorso marzo) l'ha accusata di essere diventata una "diva" - nonostante i momenti con lui siano i più emotivamente intensi del documentario, i due per anni se le sono date di santa ragione a suon di carte bollate: la frecciatina non è nulla in confronto a quello che si sono detti nei tribunali.

Ma è indubbiamente grazie alla sua visibilità che la performance art è divenuta, se non popolare, almeno riconosciuta come una forma d'arte con una propria dignità e ragione d'essere e non una stravaganza fine a se stessa, effimera e destinata a non lasciare traccia.

Se poi i suoi emuli rischiano di sembrare dei personaggi degni di Sorrentino, beh, questo è un altro discorso.




Etichette: , , , , , , , ,

martedì 5 maggio 2020

I CLASSICI: X-MEN-DARK PHOENIX, NO WOLVIE NO PARTY

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
114'
Regia: Simon Kinberg
Interpreti: Sophie Turner, James McAvoy, Jessica Chastain, Michael Fassbender, Jennifer Lawrence, Nicholas Hoult, Tye Sheridan, Evan Peters, Alexandra Shipp, Chris Claremont (non accreditato).


1992, qualche anno dopo gli eventi narrati in X-Men: Apocalisse.
Durante una missione di salvataggio nello spazio, Jean Grey (Turner) assorbe accidentalmente una potentissima entità extraterrestre che amplifica i suoi poteri mutanti.

Trasformatasi in Fenice Nera, la giovane X-Woman diventa una minaccia per i suoi compagni e per il mondo intero, ancor più nel momento in cui l'algida aliena Vuk (Chastain) cerca di reclutarla per i propri scopi.

Riusciranno Xavier (McAvoy) - con l'aiuto del solito nemico-amico Magneto (Fassbender) - e i suoi ragazzi a neutralizzare queste minacce e salvare Jean?






2000: X-Men
2003: X-Men 2
2006: X-Men-Conflitto Finale
2011: X-Men-L'Inizio
2014: X-Men-Giorni di un Futuro Passato
2016: X-Men-Apocalisse
[Nota: di tutti potete leggere la nostra recensione.]

Dopo quasi 20 anni, la lunga saga dei supereroi mutanti termina qui.
Si tratta di un momento storico, perché l'originale X-Men era stato la scintilla che aveva dato vita alla fortunatissima serie di lungometraggi Marvel che ha avuto il proprio acme con l'epico Avengers: Endgame (da noi inserito tra i migliori film del decennio).

Proprio Endgame era uscito l'anno scorso, solo un paio di mesi prima della pellicola che vi stiamo recensendo.
Risultato di tale accavallamento? Uno è diventato il film che ha incassato di più nella storia del cinema, l'altro si è rivelato un flop.

Un insuccesso non del tutto ingiustificato, purtroppo.
La causa principale è - ça va sans dire - l'assenza dell'attore di punta della serie, Hugh Jackman.

Come sappiamo, il divo australiano ha lasciato (definitivamente?) i panni di Wolverine dopo Logan, ultima parte della trilogia dedicata all'eroe artigliato, per dedicarsi a tempo pieno a commedie e musical (con ottimi risultati, peraltro: vedere - e ascoltare - per credere Les Misérables e The Greatest Showman).
Decisione rispettabilissima, ma un film degli X-Men senza Wolverine ricorda un po' gli episodi di Star Wars senza Han Solo.






Ma questo non è, ahinoi, l'unico difetto di X-Men: Dark Phoenix.
L'esordiente Kinberg - sceneggiatore di lungo corso della saga, promosso alla regia dopo il chiaccherato defenestramento di Bryan Singer - fatica a tenere insieme una materia narrativa frammentata dai troppi tagli al montaggio (la pellicola dura insolitamente meno di 2 ore) e dal travagliato reshoot del terzo atto.

Come per diversi dei capitoli precedenti, la trama mantiene solo lo spunto della storia fumettistica d'origine (a proposito, occhio al cameo alla Stan Lee del suo co-ideatore Chris Claremont) per poi discostarsene quasi completamente.

A risentire di queste sconnessioni è soprattutto il cast femminile.
A Sophie Turner (Il Trono di Spade), benché sia la protagonista, viene lasciato paradossalmente poco spazio, mentre la premio Oscar Jennifer Lawrence finisce per essere semplicemente uno specchietto per le allodole.

E che dire di Jessica Chastain?
La diva di The Tree of Life, Zero Dark Thirty e Woman Walks Ahead ha accettato di interpretare qui l'antagonista dopo aver rifiutato parti di rilievo in Iron Man 3 e Ant-Man.

Mal gliene incolse: penalizzata persino da un trucco maldestro, la nostra recita distrattamente e sembra un pesce fuor d'acqua.
Un vero peccato per un'attrice cui avevamo sempre riconosciuto, oltre al talento innato, anche l'accortezza nella scelta dei propri ruoli.






Va meglio il reparto maschile, dove ai veterani McAvoy (già con Jessica nel sottovalutato The Disappearance of Eleanor Rigby) e Fassbender (vedere 12 Anni Schiavo) si contrappongono i promettenti Hoult (quasi irriconoscibile in Mad Max: Fury Road) e Sheridan (era il protagonista di Ready Player One).

Tra i soliti roboanti effetti speciali e qualche ammiccamento alla Distinta Concorrenza (la scena finale ricalca quella de Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno), Dark Phoenix non è la conclusione che ci si augurava per la serie.
Ma che cosa succederà adesso agli X-Men?

La Disney ne ha comprato i diritti dalla Fox, quindi si presume che entreranno finalmente a far parte del Marvel Cinematic Universe.
A quel punto ci sarebbe un azzeramento totale e tutte le possibilità sarebbero sul tavolo.

Persino il ritorno di Wolverine?
Anzi, di Hugh Jackman?




Etichette: , , , , , , , , , , , , , , ,