CINEMA A BOMBA!

martedì 31 marzo 2020

GLI INEDITI: JAY & SILENT BOB REBOOT, I FILOSOFI DELLO SPACCIO COLPISCONO ANCORA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
105'
Regia: Kevin Smith
Interpreti: Kevin Smith, Jason Mewes, Harley-Quinn Smith, Jason Lee, Brian O'Halloran, Shannon Elizabeth, Rosario Dawson, Joey Lauren Adams, Jennifer Schwalbach Smith, Justin Long, Joe Manganiello, Donnell Rawlings, Chris Wood, Method Man, Redman, Ralph Garman, Melissa Benoist, Val Kilmer, Jason Biggs, James Van Der Beek, Tommy Chong, Chris Hemsworth, Ben Affleck, Matt Damon, Stan Lee (non accreditato).


Il loquace Jay (Mewes) e il taciturno Silent Bob (K. Smith) vengono arrestati per spaccio davanti al Quick Stop, l'emporio fuori dal quale praticamente vivono.

Durante il processo per direttissima scoprono che a Hollywood il regista Kevin Smith (lo stesso K. Smith, ovviamente) sta girando il reboot di una pellicola ispirata a loro.

Il duo parte per Los Angeles con l'obiettivo di fermare le riprese del film, ma lungo il tragitto incontra svariati personaggi, tra cui Millennium (H.Q. Smith), figlia adolescente di Jay che questi non sapeva di avere...






Per chi non lo sapesse, Kevin Smith è stato - insieme a Quentin Tarantino, Robert Rodríguez e Richard Linklater - uno dei cineasti di maggior impatto nel cinema indipendente degli anni 90.

La sua parabola è stata tipicamente hollywoodiana: il successo da un giorno all'altro (prima dell'acclamato esordio con Clerks era un semplice commesso), la crisi personale che gli ha quasi rovinato la carriera (vedi Red State e dintorni), infine la lenta rinascita.

Fumettista (ha scritto ad esempio per DareDevil e Green Arrow), stand-up comedian, critico cinematografico, podcaster indefesso, opinionista onnivoro e instancabile presenzialista, negli ultimi 2 anni il nostro è pure sopravvissuto a un infarto che lo ha quasi ucciso, è diventato vegano ed è dimagrito considerevolmente.

La brutta esperienza deve avergli acceso una lampadina: la vita è breve, meglio passarla facendo ciò che amo, è il momento di ridare vita ai personaggi che mi hanno reso famoso (e che i fan richiedono a gran voce).

Ecco allora il settimo capitolo dell'Askewniverse (l'universo interconnesso dei film con Jay e Silent Bob), a 13 anni di distanza dal precedente (Clerks II) e a 25 anni dal primo (Clerks).






La rentrée dei due spacciatori filosofi era stata anticipata dalle fugaci apparizioni in un episodio di The Flash e nel videoclip I'm Upset, ma il loro vero ritorno è questo, una sorta di rifacimento aggiornato di Jay & Silent Bob Strike Back, quinto capitolo della serie uscito nel 2001.

E il concetto di reboot è uno dei tormentoni della pellicola, che non lesina frecciate né a se stessa né all'industria di Hollywood, così cronicamente a corto di idee da dover ricorrere spesso e volentieri al riciclo (la differenza tra reboot e remake viene spiegata bene e in modo assai divertente dall'ex skater Jason Lee in una delle scene migliori).

Il film - inedito nella sale italiane, ma reperibile in home video - sfoggia il consueto umorismo crudo di Kevin Smith, ma concede qualche momento genuinamente esilarante e almeno una sequenza che non è eccessivo definire commovente (il monologo del 2 volte premio Oscar Ben "Batman" Affleck sulla paternità).

Peccato solo che più che con una trama, qui si abbia a che fare semmai con una sequela di sketch studiata per veicolare diverse comparsate eccellenti, alcune francamente gratuite (quelle di Matt Damon e Chris Hemsworth, ad esempio).

Eppure l'abbondanza di cammei è, paradossalmente, uno dei punti di forza della pellicola: scovarli tutti è una delizia per gli appassionati del regista e un ilare svago per il cinefilo medio.






Ci sono: Brian O'Halloran da Clerks e Clerks II, Jason Lee da Mallrats, Ben Affleck e Joey Lauren Adams da In Cerca di Amy, Matt Damon da Dogma, Shannon Elizabeth da Jay & Silent Bob Strike Back.
Ma anche: Donnell Rawlings e Ralph Garman di Hollyweed, Melissa Benoist e Chris Wood di Supergirl, Harley-Quinn Smith e Jennifer Schwalbach Smith (figlia e moglie del regista) di Yoga Hosers.

In più, compaiono: Tommy Chong (metà del duo Cheech & Chong), Joe Manganiello (Deathstroke in Justice League), Val Kilmer (Batman Forever, Twixt), Chris "Thor" Hemsworth e infine il compianto Stan Lee.

Proprio "The Man", già protagonista per Kev del bellissimo cortometraggio Cameo School, appare brevemente durante i titoli di coda, ed è uno dei momenti più spassosi e accorati del film.

Tra ripetute - e un po' compiaciute - autocitazioni e ammiccamenti più o meno diretti (la trasformazione di Silent Bob in Iron Bob nel climax è un chiaro e affettuoso omaggio ad Iron Man), Jay & Silent Bob Reboot ha il grande merito di non prendersi sul serio: è un divertissement senza pretese, un ideale abbraccio ai fan di stretta osservanza.

Il saluto pare un addio, tutto alla fine odora di capitolo conclusivo, ma forse non sarà così.
Clerks 3 e Mallrats 2, prima annunciati e poi cancellati, sembrano essere di nuovo in cantiere.

Per tacere di Moose Jaws ("Come Lo Squalo, ma con un alce", lo ha descritto il regista), commedia-horror che dovrebbe far collidere l'universo di Jay e Silent Bob con quello di Yoga Hosers.

Il mondo del cinema geek è avvertito: i personaggi creati da Kevin Smith non sono ancora pronti per la pensione.




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mercoledì 25 marzo 2020

OSCAR 2020. KNIVES OUT-CENA CON DELITTO, IL GIALLO DELLO SCRITTORE DI GIALLI

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
130'
Regia: Rian Johnson
Interpreti: Daniel Craig, Ana de Armas, Christopher Plummer, Jamie Lee Curtis, Don Johnson, Michael Shannon, Chris Evans, Toni Collette, Lakeith Stanfield, Katherine Langsford, Jaden Martell, Frank Oz, Riki Lindhome, Edi Patterson, Noah Segan, M. Emmett Walsh.


Il giorno dopo la festa per il suo ottantacinquesimo compleanno, il celebre e ricchissimo scrittore di gialli Harlan Thrombey (Plummer) viene trovato morto.

Sembrerebbe trattarsi di un suicidio; ma non ne è convinto l'arguto detective Benoît Blanc (Craig), che affianca nelle indagini la polizia.

Così, ad uno ad uno vengono interrogati i familiari del defunto e si scopre che tutti avevano buoni motivi per uccidere il vecchio.

Intanto, l'infermiera personale dell'anziano (de Armas)...






Finalmente un bel giallo, ben scritto, ben recitato e ben congegnato!

Hollywood, in passato, ha attinto a piene mani ai romanzi di Agatha Christie, la regina incontrastata del genere letterario, con risultati alterni - fra le tante trasposizioni, vi segnaliamo almeno Assassinio sull'Orient Express (soprattutto la versione del 1974, diretta da Sidney Lumet; quella del 2017, di Kenneth Branagh, è dignitosa, ma non certo al livello della precedente) e Assassinio sul Nilo (di John Guillermin, con Peter Ustinov; 1978); mentre tra i film che vi si sono ispirati, i divertenti Invito a cena con delitto (1976) e Signori, il delitto è servito (1986, tratto dal gioco da tavolo Cluedo) e il drammatico Gosford Park del grande Robert Altman (2001).

Negli ultimi anni i thriller, con varie declinazioni, non sono mancati; ma i gialli propriamente detti (quelli che nel mondo anglosassone sono chiamati whodunit) non sono stati numerosissimi.

Perlomeno sul grande schermo - basti pensare al grande seguito di pubblico che hanno serie Tv come, tra gli altri, La Signora in Giallo (Murder, She Wrote), Il Commissario Montalbano, Don Matteo e i vari CSI-Scena del Crimine.

Ma mentre la serialità aiuta, l'unicità cinematografica è un limite: una volta dipanata la trama e scoperto il colpevole, si tende a non vedere nuovamente il film, perché viene inevitabilmente meno l'effetto sorpresa alla base dello stesso.

E così pellicole ad enigma e deduttive, sul lungo periodo, non risulterebbero particolarmente redditizie.

Plaudiamo quindi i produttori di Knives Out-Cena con Delitto per il coraggio dimostrato e per i soldi spesi, soprattutto per assemblare un cast davvero di ottimo livello.

Si va da Daniel Craig (si veda alla voce " Agente 007") a Jamie Lee Curtis ( Halloween, Una Poltrona per Due), da Chris Evans ( Captain America) a Michael Shannon ( Bug, Take Shelter, L'Uomo d'Acciaio, Animali Notturni, The Shape of Water), da Don Johnson (la serie Tv Miami Vice) a Toni Collette (Il Sesto Senso, Little Miss Sunshine), dall'anziano Christopher Plummer (Tutti Insieme Appassionatamente, Insider, A Beautiful Mind, Tutti I Soldi Del Mondo) alla giovane Ana de Armas ( Blade Runner 2049), da Lakeith Stanfield ( Get Out!) a Katherine Langford (Tuo, Simon).

Tutti se la cavano egregiamente e sono comunque ben diretti da Rian Jonhson autore anche della sceneggiatura - candidata agli Oscar, unica nomination del film, che era in lizza invece per tre Golden Globe (per la migliore commedia, per Craig miglior attore in una commedia e per de Armas come migliore attrice in una commedia).

Il regista era reduce dal controverso Star Wars-Gli Ultimi Jedi, che aveva diviso il pubblico in due - tra chi lo ha apprezzato e chi lo ha detestato.

Non era facile scrollarsi di dosso il peso di un kolossal tanto dibattuto, ma Johnson ha confermato di essere cineasta originale e inventivo.

La storia gira bene, la trama si sviluppa con colpi di scena ben piazzati, il finale ha il giusto climax.

Ci sono anche sottotesti sociali di critica a certe politiche di Donald Trump.

Interessante il ruolo centrale dato al personaggio di Ana de Armas, ma non ci meraviglieremmo se venisse riproposto in futuro quello di Daniel Craig, degno erede di Hercule Poirot e Sherlock Holmes.

Se vi piacciono i gialli, vi consigliamo pertanto di vedere Knives Out: snobbarlo sarebbe... un delitto.




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domenica 22 marzo 2020

OSCAR 2020. JOJO RABBIT, DIARIO DI UNA NAZI-SCHIAPPA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
108'
Regia: Taika Waititi
Interpreti: Taika Waititi, Scarlett Johansson, Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Stephen Merchant, Sam Rockwell.


Germania, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Johannes detto Jojo (Davis) è un ragazzino appartenente alla Gioventù Hitleriana.

Ha come madre la forte e amorevole Rosie (Johansson) e come amico immaginario... il Führer in persona (Waititi).

Il suo fervente credo nazionalistico inizia però a vacillare quando scopre che il genitore nasconde in casa una ragazza ebrea (McKenzie)...






Ho appena visto Jojo Rabbit: è una pellicola davvero straordinaria, eloquente e bellissima.

Niente male come complimento.
Ancor più se viene da un 95enne di nome Mel Brooks, uno che di umorismo - e, purtroppo, anche di persecuzioni naziste (è un ebreo fuggito dall'Europa) - ne sa qualcosa.

Il vecchio Mel, d'altro canto, si è fatto beffe del Terzo Reich fin dal proprio esordio del 1967, The Producers (nel Belpaese uscì orrendamente rititolato Per Favore Non Toccate Le Vecchiette).
Non suona strano quindi il suo apprezzamento per un'opera che fa sostanzialmente la stessa cosa.

Nonostante ciò, Taika Waititi non potrebbe essere un regista più diverso.
Anch'egli ebreo, è vero, ma maori (è il primo di questa etnia ad aver vinto un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale), è diventato famoso per aver diretto Thor: Ragnarok e un episodio della serie tv The Mandalorian.

Oltre a essere un filmmaker, l'eclettico neozelandese è pure un apprezzato pittore/illustratore, uno stand-up comedian e un attore (compare brevemente nell'epico Avengers: Endgame).






Jojo Rabbit è un'opera di notevole spessore: ora inquieta, ora commuove, ora fa genuinamente ridere.
La sua accuratezza storica - cosa abbastanza inusuale per una commedia - è impressionante: tutti i costumi, gli arredi e i veicoli sono fedeli riproduzioni d'epoca.

I colori brillanti della fotografia e la raffinatezza dei costumi contrastano - volutamente, crediamo - con lo standard dei film bellici, solitamente cupi e deprimenti.

La sceneggiatura mette giustamente alla berlina Hitler (interpretato dallo stesso Waititi con buffoneria isterica) e i suoi seguaci, rappresentati come una banda di inetti, ignoranti, bulli, burocrati.
Il succitato Oscar nella categoria è indubbiamente meritato.

In ambito recitativo, emergono almeno due performance maiuscole: quelle di Scarlett Johansson e Sam Rockwell.






La Vedova Nera degli Avengers (a proposito, attendiamo l'uscita della sua pellicola "solista" scritta da Ned Benson) era arrivata alla Notte degli Oscar con una duplice candidatura - come non protagonista qui e come protagonista per Marriage Story-Storia di un Matrimonio - ma in entrambe le categorie non ha vinto.

Davvero un peccato: nel ruolo della madre-coraggio del protagonista, l'attrice americana offre forse la propria interpretazione più raffinata e sofferta.
Quand'è che l'Academy smetterà di considerarla solo come una sensuale bambolina?

Da parte sua, Rockwell dimostra che il premio Oscar conquistato 2 anni or sono per Tre Manifesti a Ebbing, Missouri non è stato un colpo fortuito.
Il suo ufficiale nazi-gay, sarcastico e disilluso, è degno del miglior Bill Murray.

Jojo Rabbit è stata una delle rivelazioni del 2019.
Se vi piacciono le commedie satiriche, o semplicemente se ritenete sacrosanto farsi beffe dei nazisti in stile Iron Sky, non perdetela.




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giovedì 19 marzo 2020

OSCAR 2020. HAIR LOVE, QUANDO UN PADRE PRENDE LA SITUAZIONE DI PETTINE

(Clicca sulla locandina per vedere il cortometraggio). 

USA, 2019
6'47"
Regia: Matthew A. Cherry, Everett Downing Jr., Bruce W. Smith
Voce originale: Issa Rae.


Una bambina vuole sistemarsi i capelli per farsi bella in vista di un appuntamento molto importante.

Più facile a dirsi che a farsi: i capelli non ne vogliono sapere di stare in ordine.

La piccola chiede allora aiuto al papà.
Che non sa neppure da che parte iniziare.

E intanto il tempo scorre...






Ma che bello, il brevissimo cartoon premiato quest'anno con l' Oscar per il miglior cortometraggio di animazione!

A dirigerlo - strano ma vero, considerando il tatto e la sensibilità dimostrati - un ex giocatore professionista di football americano, Matthew A. Cherry.

A dimostrare che gli stereotipi non hanno molto senso, con lui (ma non hanno molto senso a prescindere), basta pensare che il protagonista del corto è sì un afroamericano, ma non uno di quelli che si vedono solitamente al cinema: è un padre affettuoso e non assente; non è un playboy, ma un marito devoto; vive in un appartamento normale e non in una situazione di degrado; è ironico e un po' imbranato.

Insomma, è una persona normale che alla fine fa solo una cosa piccola, ma di grandissima importanza per la figlia e la moglie.

Molto interessanti lo svolgimento della trama e i toni usati, ma d'altra parte Cherry aveva in mente già da qualche anno il progetto.

Per realizzarlo, ha dovuto ricorrere ad una campagna di crowdfunding su Kickstarter - campagna di raccolta fondi che ha avuto un successo oltre le previsioni e che gli ha permesso di avvalersi di collaboratori di altissimo livello.

Come disegnatori, animatori, co-registi e produttori, è riuscito a coinvolgere Frank Abner ed Everett Downing Jr. della Pixar, Bruce W. Smith della Disney, Peter Ramsey (che ha co-diretto Spider-Man: Into The Spider-Verse) e Karen Rupert Toliver (che, tra le altre cose, ha prodotto Curioso Come George).

Senza contare che l'unica voce che si sente - quella della madre - è di Issa Rae, brillante e simpatica attrice di serie web che però si sta ritagliando uno spazio anche al cinema.

Il risultato è stato un successo: questo corto è stato talmente apprezzato che è stato proiettato prima di pellicole dai buoni incassi, quali Angry Birds 2, Jumanji: The Next Level e Piccole Donne, mentre le visualizzazioni su YouTube sono abbondantemente sopra i 20 milioni (al momento attuale).

Senza contare che la storia è diventata pure un fortunato libro illustrato per bambini.

Era dai tempi di Dear Basketball che non si parlava così tanto di un cortometraggio di animazione - guarda caso, diretto anche questo da un ex campione sportivo, il rimpianto e leggendario Kobe Bryant, e anch'esso premiato con l' Oscar.

Hair Love è un piccolo gioiello e infatti si sorride, si ride, ci si commuove molto, in questi 6 minuti: miracolo di un film fatto bene, breve nella durata, ma grande nello scaldare i cuori.




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mercoledì 18 marzo 2020

OSCAR 2020. THE IRISHMAN, IL CREPUSCOLO DEI GANGSTER

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2019
209'
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Ray Romano, Bobby Cannavale, Anna Paquin, Stephen Graham, Jesse Plemons, Kathrine Narducci, Domenick Lombardozzi, Sebastian Maniscalco, Steven Van Zandt, Jack Huston, Aleksa Palladino.


L'irlandese Frank Sheeran (De Niro), camionista ed ex reduce della Seconda Guerra Mondiale, entra nel giro del boss italo-americano Russell Bufalino (Pesci) e ne diventa il braccio armato, un sicario fedele e senza troppi scrupoli.

La sua vita cambierà quando conoscerà il carismatico Jimmy Hoffa (Pacino), con il quale instaurerà un problematico rapporto di amicizia.






Probabilmente non sono molti, al giorno d'oggi, a conoscere James "Jimmy" Hoffa.

Ma il potente, discusso e influente leader del sindacato degli autotrasportatori è stato, negli anni 50 e 60, un vero e popolare protagonista della scena economico-sociale degli Stati Uniti.

La sua improvvisa sparizione, nel 1975, rimane tuttora uno dei più grandi misteri della storia americana e ha da sempre acceso la fantasia di dietrologi e complottisti.

Martin Scorsese ne dà una sua versione, basandosi sul saggio I Heard You Paint Houses (letteralmente: Ho sentito che tinteggi case; in Italia uscito con il titolo L'Irlandese) di Charles Bradt, adattato poi dallo sceneggiatore Steve Zaillian (Oscar per lo script di Schindler's List di Steven Spielberg nel 1994).

E ovviamente lo fa a suo modo, mettendoci dentro molto di sé.

The Irishman diventa pertanto non solo un racconto di "come andarono le cose", ma una profonda, amara, pessimistica e intima riflessione sullo scorrere del tempo, sull'impatto che le nostre scelte hanno sulla vita nostra e delle persone che ci stanno accanto, sulla solitudine del peccato e dei sensi di colpa.

Non è un caso che egli abbia chiamato ad interpretare i protagonisti due attori a lui molto cari: Robert De Niro (alla nona collaborazione insieme, con un Oscar vinto per Toro Scatenato, senza contare il corto The Audition) e Joe Pesci (alla quarta collaborazione, con un Oscar vinto per Quei Bravi Ragazzi), che insieme hanno recitato complessivamente 4 volte per l'amico regista (la penultima, per il troppo sottovalutato Casinò).

E che si sia avvalso dei fidati collaboratori Thelma Schoonmaker (montaggio), Rodrigo Prieto (fotografia; avevano già lavorato assieme in The Wolf of Wall Street, The Audition e Silence), Sandy Powell (costumi), Robbie Robertson (musiche).

Una rimpatriata che assume i toni crepuscolari di un testamento spirituale (nonostante l'attivismo del regista, sempre impegnato in nuovi progetti), di una quadratura del cerchio: The Irishman è una summa di tutti film "di gangster" da lui diretti precedentemente, di quasi tutti i tòpoi trattati nella sua lunga carriera, di una visione del mondo e della vita.

Non aspettatevi tuttavia un déja-vu: la pellicola è piuttosto anomala, per gli standard scorsesiani.

Pur non mancando scene forti, il ritmo non è forsennato: più simile, forse, al fluire di un grosso fiume che scorre placido, ma che appare altresì imponente e potente.

Anche la scelta dei brani musicali è particolare: nessun pezzo rock, ma molti in stile "confidenziale".

Poi, quest'opera è l'unica, nella carriera del cineasta, ad essere stata distribuita principalmente per lo streaming.

La produzione da parte di Netflix è probabilmente uno dei motivi dei pochi riconoscimenti ottenuti: 5 nomine ai Golden Globe e ben 10 agli Oscar, ma nessuna statuetta conquistata - ma lo sappiamo quanto poco Hollywood apprezzi questo tipo di fruizione dei film (si veda il caso Roma).

Però dobbiamo anche aggiungere che senza lo sforzo produttivo della piattaforma via web, questo film non avrebbe potuto essere fatto (o sarebbe stato molto diverso): il budget infatti è stato imponente - da uno che ha creato capolavori come Taxi Driver con pochi soldi, è cosa alquanto inusuale.

I costi sono lievitati soprattutto a causa degli effetti speciali: la tecnica messa a punto dalla Industrial Light & Magic (quella della saga di Star Wars, per intenderci) per ringiovanire digitalmente gli attori si è rivelata sì molto efficace e suggestiva, ma anche molto dispendiosa.

Altra "stranezza": Al Pacino recita finalmente (e per la prima volta) in un film di Scorsese!

Quest'ultimo utilizza spesso attori italo-americani - qui compaiono, tra gli altri, Bobby Cannavale, Ray Romano, Steve Van Zandt - ma non aveva mai avuto la possibilità di lavorare con uno dei migliori attori di Hollywood.

E questi offre, da par suo, un'eccellente interpretazione di uno dei personaggi più ambigui della storia americana del Novecento, vincendo (a parer nostro) la sfida con l'eterno "rivale" (ma i due si stimano molto) Robert De Niro.

Vedremo quali altri film ci riserverà in futuro Scorsese; tuttavia, se dovesse riprendere il genere gangster movie, sapremo che lo farà, a questo punto, per sconvolgerlo definitivamente.




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domenica 8 marzo 2020

OSCAR 2020. PARASITE, L'OSCAR AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

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Corea del Sud, 2019
132'
Regia: Bong Joon-ho
Interpreti: Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Park So-dam, Lee Jung-eun, Jang Hye-jin.


Corea del Sud, oggi.
La famiglia Kim - padre, madre, due figli grandi - vive al di sotto della soglia di povertà e pure al di sotto della soglia stradale, in uno squallido seminterrato.

Con uno stratagemma, il figlio maggiore riesce a farsi assumere dalla ricca famiglia Park, anch'essa composta da due genitori e due figli.

Uno alla volta, tutti i Kim riescono a "infiltrarsi" nella villa come dipendenti, inventandosi false identità e fingendosi non imparentati tra loro.

La truffa funziona per un po', ma un'inaspettata scoperta rischia di minare la loro copertura...






Prima la Palma d'Oro al Festival di Cannes dello scorso anno.
Quindi il Golden Globe come miglior film straniero.
Infine, inaspettatamente, il trionfo alla Notte degli Oscar.

Con Parasite, Bong Joon-ho ha sbaragliato la concorrenza - ossia 1917 di Sam Mendes e C'era una Volta... a Hollywood di Quentin Tarantino - conquistando 4 statuette "pesanti", tutte finite nelle sue mani: miglior film internazionale, miglior sceneggiatura originale, miglior regia e, soprattutto, miglior film.

Troppa grazia?
Forse sì, ma non per forza.

Questo paffuto cineasta coreano dai capelli sempre arruffati ha realizzato un'opera non convenzionale e complessa, da "leggere" tra le righe, capace di miscelare più generi senza cambiare mai tono.

Commedia nera, tragedia sociale, thriller: il film attraversa queste fasi con disinvoltura e un certo distacco critico tipicamente asiatico.

In questo drammatico spaccato della Corea odierna (ma l'Occidente è tanto diverso?), lo sguardo del regista è quello di un freddo entomologo, non di un filosofo umanista.






All'interno di una confezione impeccabile - la scenografia è particolarmente apprezzabile - troviamo una velenosa satira dell'influenza culturale anglosassone in Asia (il ragazzo che si finge insegnante di inglese per elevarsi socialmente, il bambino con la fissa dei Pellerossa) e, più evidentemente, un'impietosa analisi della situazione economica del paese.

Il profondo gap tra la povertà disperata dei Kim e il benessere snobistico dei Park è metaforicamente esemplificato da una ricorrente dicotomia basso/alto che pare presa di peso dagli horror di George A. Romero, in particolare da Il Giorno degli Zombi e La Terra dei Morti Viventi.

Da una parte il seminterrato dei primi e il bunker sotterraneo, dall'altro la spaziosa villa dei secondi: il sottosuolo contro la superficie, l'handicap contro il privilegio, l'ineluttabile realtà contro il sogno proibito.

Che cosa si può rimproverare a Parasite?
Qualche eccesso di troppo, il sotteso moralismo cinico e il fatto di essere nel complesso una "pellicola da festival" (può starci premiarla a una kermesse come quella francese, ma era necessario fargli vincere l'Oscar?).

I film di Mendes e Tarantino non avrebbero demeritato al suo posto, ma crediamo che l'Academy abbia voluto mandare un segnale a Hollywood, da sempre abituata a incensare solo opere anglofone.

I tempi sono maturi per allargare ulteriormente la rinomata competizione a opere provenienti dall'estero.
In questo senso, Parasite ha fatto da apripista.

Chissà se domani altre pellicole "nascoste" riusciranno, partendo dal sottosuolo artistico cui vengono spesso confinate, a risalire fino alla superficie del cinema che conta.




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mercoledì 4 marzo 2020

OSCAR 2020. 1917, LA PRIMA GUERRA MONDIALE VISTA DAI GIOVANI

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Regno Unito/USA, 2019
119'
Regia: Sam Mendes
Interpreti: George MacKay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong, Andrew Scott, Richard Madden, Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Daniel Mays, Claire Dubourcq


A due soldati inglesi - solo due ragazzi travolti dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale, una logorante guerra di trincea - è affidato un compito al limite dell'impossibile: superare le linee nemiche per recapitare un messaggio che potrebbe salvare le vite di un migliaio di militari di un battaglione, che stanno cadendo in una trappola dagli esiti potenzialmente disastrosi.

Il preavviso è scarsissimo, i pericoli della missione sono incalcolabili, il tempo è il nemico più insidioso.

Riusciranno i due giovani a farcela?






Molti conoscono Sam Mendes come regista di film di 007 (suoi sono i fortunati Skyfall e Spectre), ma chi è rimasto sorpreso dall'irrompere di 1917 nella stagione dei grandi premi cinematografici forse si è scordato del "Sam Mendes autore".

Prima del ciclo bondiano, il cineasta britannico (recentemente nominato baronetto dalla Regina Elisabetta) ha firmato opere veramente notevoli: dal gangster movie con Tom Hanks e Paul Newman (alla sua ultima, grande, apparizione) Road To Perdition-Era Mio Padre, al low budget American Life, passando per il bellico Jarhead e il dramma sentimentale Revolutionary Road (ritorno, dopo Titanic, del duo Kate Winslet - Leonardo DiCaprio).

Ma soprattutto egli è l'autore di American Beauty, suo fulminante esordio; un esordio che gli fruttò - esattamente 20 anni fa - l'Oscar per la migliore regia e valse alla pellicola altre 4 statuette (per il miglior film, per Kevin Spacey miglior attore protagonista, per la migliore fotografia e la migliore sceneggiatura originale).

Nel 2000 sembrava che la sua carriera dovesse decollare; ma nonostante il livello molto alto dei suoi lavori e un quasi sempre buono riscontro di pubblico, il "caso American Beauty" non si è più ripetuto: solo una nomination per la regia di Revolutionary Road ai Golden Globe 2009.

Fino a 1917.

Sulla scia del trionfo ai Golden Globe 2020, la pellicola bellica era data alla vigilia degli Oscar come favorita per la vittoria finale.

Come abbiamo visto, il film si è dovuto accontentare di 3 Academy Award - per l'ottima fotografia di Roger Deakins, per il sonoro e, sorprendentemente, per gli effetti speciali.

Ma la notizia che ci ha fatto piacere è che finalmente si è ripreso a parlare del talento di un regista troppo spesso sottovalutato.

1917 è un pezzo di virtuosismo cinematografico davvero notevole: girato con diversi piani sequenza e poi montato come un unico piano sequenza ininterrotto (ehi, vi ricordate di Birdman di Alejandro González Iñárritu?), utilizzando effetti speciali non invasivi e funzionali e una fotografia molto suggestiva, esso riesce a dare all'azione una fluidità e una linearità che tengono incollati allo schermo.

Negli ultimi anni abbiamo visto molti bei film bellici - alcuni di essi sono finiti anche nella nostra classifica dei migliori film dell'ultimo decennio - e questo si aggiunge all'elenco anche grazie al coinvolgimento emotivo dell'autore, che ha trattato una vicenda di per sé drammatica con tatto, rispetto e sensibilità - si è ispirato ai racconti di guerra di suo nonno, che aveva combattuto per l'esercito britannico sul fronte francese - pur non risparmiando scene forti e di violenza.

Ci sono morte, sangue, sudore, odore, paura, tensione per tutto il film, ma anche umanità e fratellanza, eroismo e dovere, amicizia e comprensione, commozione e partecipazione.

Mendes ha affidato quasi interamente il film ai due protagonisti, George MacKay e Dean-Charles Chapman (il Tommen Baratheon di Il Trono di Spade), e, sebbene non manchino divi - Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Mark Strong, Richard Madden - si è fatto bene a valorizzare i due giovani, che si sono dimostrati bravi.

Tutto funziona, in 1917 - date le numerose difficoltà tecniche, non era una cosa scontata - e nonostante la mancata affermazione agli Oscar il neo baronetto ha dimostrato che con la regia ci sa sempre fare.

Siamo curiosi di vedere il suo prossimo film.
E nel frattempo vi consigliamo questo, uno dei più toccanti sulla Prima Guerra Mondiale.




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