CINEMA A BOMBA!

martedì 25 luglio 2023

GLI INEDITI: LA TELA DELL'INGANNO-THE BURNT ORANGE HERESY, LA GRANDE BUGIA DELL'ARTE CONTEMPORANEA

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Italia/Regno Unito, 2019
98'
Regia: Giuseppe Capotondi
Interpreti: Claes Bang, Elizabeth Debicki, Mick Jagger, Donald Sutherland


Il facoltoso e influente collezionista Joseph Cassidy (Jagger) propone al critico d'arte una volta famoso e ora in disgrazia James Figueras (Bang) uno scoop esclusivo: intervistare nientemeno che Jerome Debney (Sutherland), celebre pittore che si è isolato dal mondo dopo che un grosso incendio ha distrutto anni prima tutte le sue opere e che è ospitato in una proprietà dello stesso Cassidy.

In cambio Figueras dovrà procurare ad ogni costo al mecenate un quadro dell'artista misantropo.

Il critico coinvolgerà la giovane Berenice (Debicki), conosciuta da poco; ma le cose prenderanno una brutta piega.


The Burnt Orange Heresy è il titolo di uno dei lavori che il fittizio Jerome Debney - ispirato all'autore di Il Giovane Holden, lo scrittore Jerome (sic!) David Salinger, e al pittore David Hockney, il cui A Bigger Splash ha ispirato l' omonimo film di Luca Guadagnino - ha nel suo studio ed è una presa in giro nei confronti del mondo dell'arte: è una tela bianca, con un titolo volutamente bizzarro, alla quale i critici possono trovare un qualsiasi significato (da notare le significative e beffarde iniziali dell'"opera": B.O.H.).

Tutta la narrazione della pellicola è incentrata su dicotomie: verità-bugia, arte-inganno, apparenza-sostanza, qualità artistica-valore di mercato, bellezza-morte...

L'italiano Giuseppe Capotondi - regista di videoclip e spot alla sua seconda opera (la prima, un altro giallo, è del 2009: La Doppia Ora) - ha confezionato un thriller elegante (degni di nota i costumi di Gabriella Pescucci, già Premio Oscar per L'Età dell'Innocenza di Martin Scorsese, e le ammalianti ambientazioni sul Lago di Como), ambiguo, complesso, dal sapore hitchcockiano, che, nonostante un finale un po' sbrigativo e qualche incongruenza e inverosimiglianza di troppo, convince.

Anche grazie ad un ottimo cast: Mick Jagger è luciferino al punto giusto e sembra proprio uscito dal brano Sympathy for the devil degli Stones, Claes Bang (già protagonista della Palma d'Oro a Cannes 2017 The Square, anch'esso sul mondo dell'arte) è a suo agio ed credibile, Elizabeth Debicki è eterea e delicata, Donald Sutherland offre un'interpretazione insolitamente misurata.

Ci eravamo già occupati del mondo dell'arte contemporanea: nel grandioso Opera Senza Autore il tema di fondo è la difficoltà dell'artista di trovare una propria via, un modo per esprimere al meglio la propria ispirazione; in The Artist Is Present sono le performance e la vita stessa di Marina Abramović a diventare delle opere d'arte; in Exit Through The Gift Shop è l'artista stesso a confondere le acque.

Qui il punto di vista è invece quello del critico, che per sensibilità, per cultura, per conoscenza della materia, per motivazioni venali, per vanità, per senso di onnipotenza è capace di fare di una creazione un'opera d'arte o di distruggere la carriera di un artista.

La mistificazione, il profitto senza troppi scrupoli sono all'ordine del giorno nel mercato dell'arte contemporanea, e The Burnt Orange Heresy ce lo mostra senza reticenze.

Presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2019, dov'era il film di chiusura - chiusura degna di un'edizione memorabile, quella che ha visto Joker vincere a sorpresa il Leone d'Oro - il film di Capogrossi in Italia non è uscito al cinema, nonostante le recensioni generalmente positive.

B.O.H., chissà perché...

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mercoledì 19 luglio 2023

I CLASSICI: FASCISTI SU MARTE, ALLA CONQUISTA DEL ROSSO PIANETA BOLSCEVICO E TRADITOR!

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Italia, 2006
100'
Regia: Corrado Guzzanti, Igor Skofic
Con: Corrado Guzzanti, Andrea Purgatori, Lillo, Marco Marzocca, Andrea Blarzino, Andrea Salerno, Irene Ferri, Caterina Guzzanti, Paola Minaccioni, Simona Banchi


1938. Al grido di "L'Italia ha diritto alla sua espansione. Anche in verticale!", il gerarca Barbagli (Guzzanti) guida un manipolo di camicie nere alla conquista di Marte.

Superati non senza difficoltà numerosi ostacoli - per esempio, grazie ad un perentorio "Respirate!" il gruppo risolverà il problema della rarefazione dell'atmosfera - i militi troveranno comunque nel "rosso pianeta, bolscevico e traditor" un luogo ostile e difficile da colonizzare, anche per la presenza di minacciosi marziani (in realtà sassi inoffensivi, scambiati per battaglieri autoctoni).

Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale faranno calare l'oblio sulla spedizione, fino all'arrivo nel 1996 della sonda della missione Mars Pathfinder.


Di Andrea Purgatori, noto e apprezzato giornalista d'inchiesta e conduttore televisivo morto il 19 luglio 2023, molti forse ricorderanno anche il lato "leggero", quello di attore da commedia in serie Tv (come Boris), lungometraggi, programmi televisivi.

Tra questi ultimi citiamo Il Caso Scafroglia del 2002, un vero e proprio cult comico che poteva contare su una serie di sketch divenuti particolarmente popolari, tra i quali non si può non annoverare la striscia intitolata Fascisti su Marte, incentrata su un gruppo di camicie nere - guidato da un Corrado Guzzanti in versione gerarca fascista e che comprendeva anche il milite Fecchia (interpretato dallo stesso Purgatori) - alle prese con l'improbabile conquista di Marte, a maggior gloria del Duce e dell'Italia littoria.

Costruiti efficacemente come cinegiornali dell'Istituto Luce, gli episodi, roboanti di retorica e di espressioni in pieno stile fascista, rappresentavano in realtà una graffiante satira della politica italiana del tempo e di certe nostalgie del Ventennio.

Il successo delle scenette portò Guzzanti prima a riproporle sotto forma di mediometraggio e poi in versione grande schermo.

Non aspettatevi certo un kolossal in stile The Martian, ma neanche una baracconata in stile Iron Sky: il Fascisti su Marte che nel 2006 è stato portato nelle sale non è niente di più della trasposizione filmica delle gag di Guzzanti & C.

Anzi, semmai è qualcosa di meno: la durata, pur non eccessiva, diluisce la vis comica che caratterizzava la serie; la storia, usata come pretesto per tenere uniti gli sketch, non apporta significativi spunti umoristici; Guzzanti si dimostra più efficace in Tv che al cinema (si veda, per esempio, la sua non memorabile presenza in A Bigger Splash di Luca Guadagnino).

Restano - e meno male - l'intelligente uso della declamazione e del linguaggio fascisteggiante in chiave satirica (più ricercato di quanto si potrebbe pensare, secondo noi), la buffa ucronia della conquista marziana (che tira in ballo anche il fisico Ettore Majorana, in realtà protagonista di quella che Franco Battiato aveva definito come una "scomparsa misteriosa e unica" proprio nel 1938), l'irresistibile marcetta che fa da sigla iniziale, le musiche del già Premio Oscar (per La Vita è Bella) Nicola Piovani, lo spirito goliardico e irriverente di Corrado Guzzanti e dei suoi sodali/amici (una menzione particolare, oltre che per Purgatori, anche per Marzocca e Lillo).

Ma allora tanto vale rivedersi gli episodi televisivi originali.


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venerdì 14 luglio 2023

INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO, EUREKA! IL PROFESSOR JONES NON DELUDE

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USA, 2023
142'
Regia: James Mangold
Interpreti: Harrison Ford, Mads Mikkelsen, Phoebe Waller-Bridge, John Rhys-Davies, Boyd Holbrook, Toby Jones, Antonio Banderas, Karen Allen, Thomas Kretschmann, Boyd Holbrook.


Dopo l'Arca dell'Alleanza (I Predatori dell'Arca Perduta), le pietre di Sankara (Indiana Jones e il Tempio Maledetto), il Santo Graal (Indiana Jones e l'Ultima Crociata), i teschi di cristallo di Eldorado (Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo), l'archeologo più famoso del grande schermo (Ford) dà la caccia ad un altro manufatto leggendario: la Lancia di Longino, la lancia che trafisse Gesù crocefisso, un'arma in grado di garantire l'invincibilità a chi la possiede e che è finita nelle mani dei nazisti.

Ma sul treno pieno di beni razziati in tutta Europa dalle forze ormai sconfitte del Führer c'è un qualcosa di più prezioso e potente: la metà del meccanismo di Antikytera, un quadrante ideato dal matematico siracusano Archimede che, una volta completato, consentirebbe di aprire varchi spazio-temporali e quindi di viaggiare nel tempo.

Nel concitato tentativo di recuperarlo sono impegnati Indiana Jones, il collega Basil Shaw (Tobey Jones) e lo scienziato tedesco Jürgen Voller (Mikkelsen), ma il prezioso oggetto va perduto.

25 anni dopo molte cose sono cambiate: Indiana Jones è ormai solo un disilluso professore fresco di pensione; Voller è considerato una sorta di eroe, essendo colui che ha contribuito a portare l'uomo sulla Luna (Wernher von Braun vi ricorda qualcosa?); Shaw è morto, ossessionato dall'invenzione di Archimede, ma la sua ricerca è ripresa dalla figlia, Helena (Waller-Bridge), che ha scopi meno nobili del padre.

Un nuovo terzetto si ritrova quindi ad inseguire il quadrante di Archimede: chi spinto dall'amore per la storia, chi dall'avidità, chi da brame di potere.


Quinto film del franchise creato da George Lucas e Steven Spielberg e primo ideato senza l'estro del creatore di Star Wars e la regia del secondo (ma i due sodali sono presenti come produttori esecutivi), Indiana Jones e il Quadrante del Destino, pur potendo contare su un budget imponente (è prodotto dalla Disney con un dispendio di mezzi tale da averlo fatto diventare uno dei film più costosi di sempre) e sul richiamo di uno dei personaggi più famosi della storia del cinema, non si può definire un successo commerciale (e già l'accoglienza a Cannes quest'anno, dove era stato presentato in anteprima, era stata meno calorosa di quanto previsto).

A sfavore della pellicola hanno giocato diversi fattori: la sostituzione di Spielberg (con il pur bravo Mangold, che pure aveva diretto l'interessante e crepuscolare Logan); la crisi del cinema in sé, sempre più sofferente nel confronto con le piattaforme di streaming; l'età avanzata di Harrison Ford (sempre affascinante e simpatico, ma pur sempre più che ottuagenario e considerato non più adatto alle rocambolesche scene d'azione alle quali il mitico dottor Henry Jones Junior ci ha abituato); la Disney, potentissima macchina da soldi troppo spesso accusata di essere stucchevolmente politically correct...

Cresciuti a pane e Indiana Jones, con queste premesse siamo andati in sala, senza aspettarci molto.

Però...

Però ne siamo usciti rinfrancati.

Il film è godibilissimo, pieno com'è di azione, scene incalzanti, umorismo, effetti speciali, location suggestive (ah, Siracusa...), storia (il crollo del nazismo, il ritorno dell'equipaggio dell'Apollo 11, un famosissimo assedio di un bel po' di anni fa, von Braun, Archimede...), mistero, un cattivo cattivo al punto giusto (sempre bravo, il buon Mads Mikkelsen!).

Il ritorno di personaggi ricorrenti (il Sallah di John Rhys-Davies, la Marion di Karen Allen), oltre alla presenza di Harrison Ford - uno degli attori più "recuperati" di Hollywood: basti pensare alle sue grandi rentrée in Star Wars: Il Risveglio della Forza e in Blade Runner 2049 - e la famigliare colonna sonora di John Williams sono funzionali alla continuità con il passato, mentre la presenza di Antonio Banderas è un divertissement, poco più di un piacevole cameo.

Ma molto azzeccata, dobbiamo dire, è la scelta di Phoebe Waller-Bridge.

La vispa inglese, creatrice delle serie Tv Killing Eve e Fleabag (nella quale recita anche il ruolo principale) è una piacevole sorpresa e si dimostra un'ottima co-protagonista, scattante, sardonica, spigliata, intraprendente, senza troppi scrupoli; e compensa così gli umanissimi limiti anagrafici e fisici della star della pellicola.

Harrison Ford è un mito che non si tocca e anche in questo caso il nostro se la cava più che dignitosamente, senza risultare patetico o grottesco; anzi, aggiunge un tocco dolente e malinconico che non scalfisce però il proverbiale carattere scanzonato del personaggio - quello che più ci piace.

Ed è anche per questo che, da grandi fan dell'attore, siamo usciti dalla sala soddisfatti.

Possiamo dirlo con un sospiro di sollievo: eureka, la saga di Indiana Jones è salva!


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venerdì 7 luglio 2023

I CLASSICI: DETECTIVE PIKACHU, UNA PELLICOLA COME POCHE (ANZI, COME... POKÈMON)

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USA/Giappone, 2019
104'
Regia: Rob Letterman
Interpreti: Ryan Reynolds, Justice Smith, Kathryn Newton, Bill Nighy, Ken Watanabe, Diplo, Phil Collins.


Il giovane Tim (Smith) si reca nella metropoli conosciuta come Ryme City - un incrocio tra Londra e Tokyo - per indagare sulla sparizione di suo padre Harry, detective della polizia con cui da tempo non ha più rapporti.

Convinto che sia ancora vivo, si mette sulle sue tracce cercando di ricostruire la dinamica dell'incidente dopo il quale il genitore è misteriosamente scomparso.

Ad aiutarlo trova una graziosa aspirante giornalista (Newton) e soprattutto Pikachu (Reynolds), il Pokémon che era con Harry quella fatidica notte e che ora ha perso la memoria e - apparentemente - i poteri...


Mettete insieme una parte di Chi ha Incastrato Roger Rabbit?, un'altra di Cip e Ciop Agenti Speciali, aggiungete un pizzico di Sonic e frullate il tutto con una punta di Deadpool.
Cuocete a fuoco lento e otterrete uno dei migliori adattamenti di un franchise videoludico/animato degli ultimi anni.

L'idea geniale non è stata tanto fare un live action dei popolarissimi Pokèmon, né di aver affidato al vulcanico Ryan Reynolds il ruolo dell'adorabile personaggio-simbolo Pikachu (una sorta di topino giallo che spara scariche elettriche), che comunque sono belle intuizioni, quanto di aver sviluppato il lungometraggio come la più classica delle detective story.

Tra misteri che si risolvono un po' alla volta, colpi di scena, fragorose sequenze di azione e sketch genuinamente umoristici, la trama è in effetti un po' arzigogolata da seguire, ma tiene alta l'attenzione fino alla fine.

Ai bimbi possono piacere soprattutto le interazioni tra i personaggi umani e i vari Pokèmon (oltre all'iconico Pikachu, si segnala almeno uno psyduck, una sorta di papero dotato di poteri psionici), mentre gli adulti possono cogliere e apprezzare i momenti più seri e introspettivi (i temi del rapporto padre-figlio, dell'elaborazione del lutto e del passaggio dalla fanciullezza all'età adulta sono trattati con insospettabile sensibilità).

Ben scelto il cast: oltre a Reynolds e a Smith (quest'ultimo già visto ne Il Regno Perduto, seconda parte della trilogia di Jurassic World), lascia il segno la giovane Newton, che recentemente abbiamo ritrovato in Ant-Man & the Wasp: Quantumania (dove interpreta la figlia di Scott).
Occhio anche a due cammei più o meno nascosti: c'è un famoso DJ che fa - beh - il DJ, e un cantautore inglese che non è facile scovare (indizio: nella scena in cui compare... dorme!).

Detective Pikapool... - scusate, non abbiamo resistito! - cioè, Detective Pikachu è una pellicola insolitamente equilibrata e coesa nel proprio genere.
Consigliata a tutte/i, anche a chi non è necessariamente fan dei Pokémon.


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