CINEMA A BOMBA!

martedì 18 giugno 2013

HOLY MOTORS, IL CATTIVO GUSTO VIAGGIA IN LIMOUSINE

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer) 

Francia, 2012
115'
Regia: Leos Carax
Interpreti: Denis Lavant, Edith Scob, Eva Mendes, Kylie Minogue, Michel Piccoli, Leos Carax.


Prologo: un uomo (il regista Carax) si sveglia, trova un passaggio nel muro della propria stanza e accede a una sala cinematografica gremita di spettatori catatonici.
Successivamente un altro uomo di mezza età (Lavant) esce di casa e, spostandosi in una limousine guidata da un'anziana donna bionda, si reca a numerosi "appuntamenti" che sono altrettante "prove" di recitazione.

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2012, dove mandò la critica (francese, soprattutto) in brodo di giuggiole, Holy Motors segna il ritorno del cineasta di culto (in Francia) Leos Carax dopo 13 anni sabbatici.

Risultato? Sarebbe stato meglio che il regista di Suresnes fosse rimasto in pensione.
Spiace per i redattori della storica - e snobbissima - rivista Cahiers du Cinéma, che hanno riconosciuto la pellicola come la migliore dell'anno (lo stesso è stato espresso da un sondaggio tra esperti del settore promosso dal sito Indiewire), ma questa volta hanno toppato di brutto.

Quello di Carax non è, come potrebbe sembrare, un film incomprensibile (anzi, i suoi intenti sono palesi), ma è un film insulso, di cui non si avverte la necessità.
Dilatato in 115 minuti che sembrano 200, Holy Motors non lesina inspiegabili tempi morti e qualche sequenza fastidiosa che vorrebbe essere disturbante, ricordando da vicino le provocazioni formaliste del Faust di Aleksander Sokurov da noi visto a Venezia 2011.

Sprecando presenze carismatiche come quelle di Eva Mendes e Kylie Minogue, il regista scivola nello pseudointelletualismo compiaciuto col personaggio di Monsieur Merde (e il nome dice tutto, canterebbero i nostri Elio e Le Storie Tese), col quale si permette persino di parodiare la Pietà di Michelangelo (e qui il cattivo gusto si spreca).

Solo per spettatori masochisti o cinefili già convertiti.
A chi che fosse interessato al tema del rapporto tra arte e artista, realtà e finzione, consigliamo invece una qualsiasi delle ultime opere di David Lynch, autore di ben altro spessore.

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sabato 1 giugno 2013

CANNES 2013. HA VINTO L'AMORE "DIVERSO"



Dall'alto: Adèle Exarchopoulos, Abdellatif Kechiche, Léa Seydoux festeggiano La Vie d'Adèle; Bruce Dern in una scena di Nebraska; Bérénice Bejo con il premio per la migliore attrice. 


Ha vinto uno dei più acclamati. Sicuramente, il più discusso.
La Vie d'Adèle del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche - racconto di formazione su un amore saffico - ha trionfato, conquistando sia l'ambita Palma d'Oro sia il Premio Fipresci (nella sezione indipendente), oltre ad un premio speciale per le due protagoniste: Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos.

La giuria presieduta da Steven Spielberg - e composta, tra gli altri, da Nicole Kidman e dal Christoph Waltz di Django Unchained - ha voluto così prendere posizione sullo scottante argomento che sta infiammando le piazze di tutta la Francia: il riconoscimento dei matrimoni omosessuali e la possibilità di adottare bambini da parte delle coppie gay.
Un tema piuttosto sensibile per mastro Steven, che da anni si batte per la parità dei diversi orientamenti sessuali all'interno del movimento scout, di cui fa parte (l'associazione proprio in questi giorni gli ha dato ragione, per la cronaca).

Non avendo visto il film non possiamo dire se fosse davvero il migliore di un concorso comunque scarno di titoli di rilievo (è un'annata di magra o dobbiamo aspettarci una Mostra del Cinema di Venezia strepitosa? Speriamo nella seconda ipotesi...); ma non possiamo non rimarcare la forte valenza politica - smentita, peraltro, dallo stesso Spielberg durante la conferenza stampa finale - che si è voluto dare al premio.

Oltre alla vittoria del film-scandalo (chissà perché nei festival cinematografici non mancano mai pellicole che destano scalpore...), un grosso punto interrogativo sui riconoscimenti al messicano Amat Escalante (miglior regia per Heli), al cinese Jia Zhangke (miglior sceneggiatura per A Touch of Sin) e al giapponese Hirozaku Kore-eda (al suo Like Father Like Son il Premio della Giuria).

Fanno invece piacere i riconoscimenti, come migliori attori, all'anziano Bruce Dern (è come il vino: invecchiando, migliora; a conferma di ciò, basta vedere i recenti Twixt di Francis Ford Coppola e il già citato Django Unchained di Quentin Tarantino) e alla deliziosa Bérénice Bejo, che dopo aver sfiorato l'Oscar 2012 come miglior attrice non protagonista per The Artist, conferma il proprio talento anche in Le Passé di Asghar Farhadi, già autore di Una Separazione (miglior film straniero proprio agli Oscar 2012).

Da notare inoltre il perpetuarsi di una tradizione: premiare i fratelli Coen ogni volta che presentano una pellicola.
Quest'anno è capitato a Inside Llewyn Davis, storia dolceamara di un musicista folk - liberamente ispirato a Dave Van Ronk - e delle sue disavventure nel Greenwich Village dei primi anni 60.

E gli sconfitti?
Anzitutto Paolo Sorrentino, che nonostante i numerosi apprezzamenti che hanno accolto La Grande Bellezza è rimasto a bocca asciutta. Peccato, perché il regista napoletano è uno dei migliori cavalli della nostra scuderia, uno dei pochissimi - se non l'unico - in grado di competere coi grandi autori di Hollywood.
E poi il danese Nicolas Winding Refn: 2 anni fa con l'osannato Drive si era aggiudicato il premio alla miglior regia proprio sulla Croisette, proponendosi come il nuovo William Friedkin. Ma il suo nuovo lavoro Only God Forgives ha deluso tutti, per la gioia dei suoi detrattori.

Ma Sorrentino e NWR sono in buona compagnia: neppure Soderbergh, Polański, Gray e Jarmusch sono riusciti a convincere i giurati.
Né ce l'hanno fatta, tra gli attori, il prezzemolino da cinema d'autore Toni Servillo (comunque sempre bravo), Michael Douglas, Ryan Gosling, Benicio Del Toro, la rivelazione Oscar Isaac (protagonista della pellicola dei Coen), Kristin Scott Thomas, Marion Cotillard, Emmanuelle Seigner.

Insomma: verdetti discutibili, film in buona parte deludenti.
Da Cannes ci saremmo aspettati di meglio.

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