CINEMA A BOMBA!

lunedì 26 settembre 2011

I PROTAGONISTI DI VENEZIA 2011: JAMES HOWSON


La redazione di CINEMA A BOMBA ha votato all'unanimità James Howson come miglior attore emergente alla recente Mostra del Cinema di Venezia.

Il giovane attore inglese di colore ne è stato uno dei protagonisti più sorprendenti: lo dimostrano i numerosi, calorosi, lunghissimi applausi che hanno salutato la sua interpretazione al termine dell'anteprima mondiale del 6 Settembre 2011 in Sala Grande dell'ennesima versione di Wuthering Heights (Cime Tempestose).

Ardua la sfida che la regista Andrea Arnold ha voluto affrontare per adattare il romanzo di Emily Bronte: cercare di fare qualcosa di diverso rispetto alle precedenti trasposizioni, affidando, in particolare, ad attori sconosciuti i vari personaggi.

Tra questi, quello più famoso è senza dubbio quello di Heathcliff.
La Bronte lo descrive come assomigliante nell'aspetto ad uno zingaro, oppure a un "little Lascar", cioè a un Indiano dell'India; ovvero, un uomo dalla pelle scura, ma non nera.
Curiosamente, tra gli interpreti che si sono cimentati nel ruolo ci sono Laurence Olivier, Timothy Dalton, Ralph Fiennes; tutti di carnagione chiara.
La Arnold ha voluto, invece, una maggiore rassomiglianza al modello presentato dalla scrittrice e si è rivolta alla comunità Rom per trovare il volto adatto a rappresentare uno degli antieroi più famosi della storia della letteratura.
Senza successo.
I produttori e la regista si sono così ritrovati a cercare tra i passanti di Leeds un Heathcliff credibile.
Alla fine, dopo lunghe selezioni e provini, hanno scelto un ragazzo senza alcuna esperienza recitativa.
Di pelle nera.

"È una scelta che ho fermamente voluto. L' ho presa per accentuare i contrasti in quella piccola comunità dello Yorkshire e mettere in risalto la caccia al diverso, facendo leva sul razzismo del nostro tempo e sulle sue origini. Nel romanzo l' autrice lo descrive di pelle olivastra, probabilmente è uno zingaro. Heathcliff nero è come un alieno arrivato in quel luogo" ha affermato la regista, che nel 2005 vinse un premio Oscar per il cortometraggio Wasp, per giustificare la sua scelta.

Il film ha diviso critica e pubblico e ha spiazzato numerosi fan del romanzo.
La trasposizione non è del tutto fedele: vengono eliminati i narratori, la vicenda termina a metà del libro, i personaggi di contorno sono ridotti a comparse.
Ma l'ottima fotografia (premiata non a caso con una meritatissima Osella) di Robbie Ryan e l'idea della Arnold di mettere in risalto la natura selvaggia della brughiera dello Yorkshire - con i suoi suoni, i suoi colori e i suoi ritmi - e i suoi abitanti (altrettanto selvaggi), ne fanno una pellicola suggestiva, impreziosita dall'interpretazione dei suoi attori: Kaya Scodelario (Catherine), Shannon Beer (Catherine da giovane), Solomon Glave (il giovane Heathcliff) sono davvero molto efficaci.

Su tutti, però, spicca James Howson, che nella sua intensa prova recitativa trasmette i tormenti e l'inquietudine di Heathcliff, la sua passione distruttiva e violenta. E lo fa non tanto con le parole (i dialoghi sono ridotti all'osso), ma con la gestualità, l'espressività.
Il film regge in gran parte sulle sue spalle. Bella responsabilità per un esordiente, che però se la cava benissimo, con naturalezza.

Se il buongiorno si vede dal mattino (e soprattutto se farà le scelte professionali giuste), di Howson sentiremo ancora parlare.

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domenica 25 settembre 2011

I PROTAGONISTI DI VENEZIA 2011: WILLIAM FRIEDKIN



Il "maestro" è tornato.
In oltre 45 anni di carriera, questo vecchio leone del cinema che disprezza le mezze misure ha attraversato quasi tutti i generi, passando con noncuranza dall'horror (l'epocale e sopravvalutato L'Esorcista, 1973) all'avventuroso (Il Salario della Paura, 1977), dalla commedia (L'Affare del Secolo, 1983) al noir (Jade, 1995), dal thriller giudiziario (Regole d'Onore, 2000) al film di inseguimento (The Hunted, 2003).

Ma è col poliziesco che Friedkin ha dato il meglio di sè. Due le pellicole fondamentali: nel 1971 Il Braccio Violento della Legge - che, per la cronaca, gli valse un premio Oscar - e nel 1985 Vivere e Morire a Los Angeles.
Ma dopo quest'ultima prova (da molti considerata il suo capolavoro) il nostro era uscito un po' di scena, riciclandosi in film "minori". Fino ad oggi...

Killer Joe, presentato in concorso a Venezia 2011, rappresenta il ritorno del regista al cinema che più ama.
In realtà non si tratta propriamente di un poliziesco - sebbene il protagonista sia uno sbirro talmente bastardo che farebbe imbarazzare persino due antieroi friedkiniani come il detective Doyle e l'agente Chance - ma è un film che coincide perfettamente con l'indole del suo autore: disturbante, provocatorio, dissacrante, discontinuo, cinico, estremo.
E dotato di un brillante umorismo nero in grado di stemperare anche la violenza più spinta: la parossistica ed esilarante sequenza "hard" con la coscia di pollo (fritta e con la pelle, please) è già pronta a diventare un cult.

Cineasta anarchico e discusso, Friedkin a Venezia è stato di certo il divo più simpatico - gigionissimo sul tappeto rosso e incontenibile in conferenza stampa (pare che i giornalisti presenti fossero letteralmente piegati in due dalle risate, sopraffatti dalla sua raffica di battute) - tanto che CINEMA A BOMBA! ha voluto omaggiarlo tributandogli un Leone d'Argento virtuale.

"Amo ogni nuovo film che faccio come se fosse il primo. Mi piace trovare storie che siano uniche, vere, che dicano qualcosa a proposito del buio nascosto nel cuore degli uomini."

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giovedì 22 settembre 2011

I PROTAGONISTI DI VENEZIA 2011: JAROMIR 99


Non so voi, ma se uno mi raccontasse di essere andato al cinema ad una proiezione notturna (inizio dopo mezzanotte, termine quasi alle 2 ) per vedere un cartone animato ceco in lingua originale (seppur sottotitolato in italiano e inglese), io sarei indeciso su cosa pensare: sono di fronte ad un cinefilo duro e puro, ad un intellettuale che se la tira o ad un insonne che non ha di meglio da fare?

Eppure...
Noi inviati a Venezia di CINEMA A BOMBA non ci sentiamo di appartenere alle suddette categorie (dai, li avete letti i nostri post...): ciò che ci ha spinto a esplorare una cinematografia così diversa da quelle alle quali siamo abituati è stata pura e semplice curiosità, suscitata dall'immaginifico trailer (lo potete trovare anche sul nostro post dedicato ai film fuori concorso) di Alois Nebel.

Questo cartone animato in rotoscopio (tecnica di animazione che consiste dapprima nel girare un film in pellicola utilizzando attori in carne ed ossa, poi nel ricalcarne le scene), in effetti, è stato uno dei migliori film che abbiamo visto.
Basato su una graphic novel popolare nell'Europa Centrale, ne è fedele nella trama e nella grafica, anche perché entrambi gli autori hanno lavorato sia al fumetto che all'adattamento cinematografico.
Jaroslav Rudis, scrittore tra i più noti nel suo Paese (suo il romanzo cult Nebe pod Berlinem - Il cielo sotto Berlino - nel quale si narra la storia di un insegnante ceco che lascia il suo impiego per diventare musicista di strada nella metropolitana di Berlino), ha scritto la storia e la sceneggiatura: un intreccio di vite, personaggi, fantasmi da un passato prossimo ancora bruciante, sullo sfondo della regione montagnosa dei Sudeti dal clima opprimente e dell'alienante stazione ferroviaria di Praga, nel contesto della pacifica Rivoluzione di Velluto del 1989.

Ma pensiamo che Alois Nebel sia soprattutto la creatura di un personaggio davvero eclettico.
Jaromir 99, pseudonimo di Jaromìr Švejdík, è cantante, leader dei gruppi underground Priessnitz, Umakart, The Bombers; compositore (sua la colonna sonora del film); disegnatore (suoi i disegni del fumetto e del cartone animato).
Non si è occupato della regia del film (affidata all'esordiente Tomas Lunak), ma ha contribuito in modo significativo alla storia (abita a Praga e viene da una famiglia originaria dei Sudeti: non per niente, le ambientazioni del racconto).

Storia drammatica, che si dipana tra violenza, vendetta, solitudine, ma che lascia spazio anche all'umanità, alla comprensione; persino all'amore.
Alois Nebel è una pellicola suggestiva nelle immagini (il bianco e nero fa sempre il suo effetto; i disegni sono un'opera di maestria) e nelle atmosfere che riesce a creare.
Visto che al termine dell'anteprima mondiale in Sala Grande - a notte inoltrata - siamo scappati per prendere l'ultimo vaporetto, non abbiamo potuto applaudire sufficientemente Jaromir 99, Rudis e Lunak. Peccato.
Però il Premio Speciale della Giuria che abbiamo assegnato non è tuttavia una pubblica ammenda, ma un riconoscimento agli autori di quello che che ci auguriamo possa divenire un piccolo cult. Non solo per cinefili nottambuli.

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martedì 20 settembre 2011

I PROTAGONISTI DI VENEZIA 2011: JEFFREY DEAN MORGAN


Numerosi applausi dagli spettatori (più tiepidi quelli dai critici) ha ricevuto Texas Killing Fields, opera seconda di Ami Canaan Mann.
La trama di questo thriller di pregevole fattura è ispirata a fatti realmente accaduti. Ecco qual è stato l'approccio della regista:

"Ai margini di una piccola cittadina chiamata Texas City, situata trenta minuti a sud di Houston, sono stati trovati i corpi di quasi sessanta vittime di omicidio. Alcuni di donne, altri di ragazze, prostitute, scolarette. Tutte vittime di assassini diversi. Tra la grande quantità di documentazione che corredava la straordinaria sceneggiatura di Don Ferrarone ho trovato una mappa allegata all’articolo di un quotidiano locale. Mostrava i volti delle vittime vicino a dove erano stati trovati i loro corpi. Capelli lisci stile anni ’70, frangette anni ’80, striati alla anni ’90. Decenni di ragazzine che si fanno il trucco e i capelli la mattina del loro ultimo giorno di vita, ignare che l’immagine che vedono allo specchio finirà anni dopo su una mappa delle vittime nelle mie mani. Molte sono foto di scuola. Gli occhi puntati dritti verso l’obiettivo, come si fa quando ci dicono di sorridere a scuola nel “giorno delle foto“. Su quella mappa, sembrano bei volti di fantasmi i cui occhi ti trapassano, alla ricerca di una voce. Ed è questa realtà, credo, che ha spinto me, il cast e la troupe a cercare di raccontare una storia difficile nel modo più elegante possibile. Come raccontare la loro storia? Come dare voce a coloro la cui voce è stata soffocata?"

La Mann lo fa narrando gli sforzi di due poliziotti - un giovane texano irruento e un più maturo padre di famiglia newyorchese - per risolvere il caso di una ragazzina misteriosamente scomparsa nelle paludi (i cosiddetti Killing Fields del titolo) presso la cittadina di Texas City e per trovarne un'altra, sparita nel frattempo.

Molto valide le interpretazioni dei protagonisti: Sam Worthington cerca di scrollarsi di dosso il personaggio che lo ha reso celebre, quello di Jake Sully, protagonista del campione di incassi Avatar, e ci riesce; Jessica Chastain, star in ascesa, è ancora una volta bravissima ma è sotto utilizzata; la giovanissima Chloe Grace Moretz, alle prese con un ruolo non facile, è efficace.

Ma è Jeffrey Dean Morgan a sorprendere.
Volto noto per le sue comparse in numerosi telefilm (ne citiamo solo alcuni: Walker Texas Ranger, E.R.-Medici in Prima Linea, C.S.I.-Scena del Crimine, Grey's Anatomy) e in qualche film (P.S. I Love You; ma è ricordato soprattutto come il Comico in Watchmen di Zack Snyder), è stato scelto per interpretare l'ispettore Brian Heigh.
Rimarchevole, questo personaggio: non del tutto impeccabile, è però sensibile e generoso, altruista, comprensivo, cattolico (ha in ufficio una foto di Papa Giovanni Paolo II) nelle convinzioni e nei fatti concreti: insomma, un poliziotto con la coscienza, caso piuttosto atipico per un film thriller.

Morgan lo tratteggia in modo magistrale. La sua prova attoriale è molto fisica ma, nello stesso tempo, misurata; intensa, e sotto le righe. Il suo lavoro sul personaggio è notevole e denota uno sforzo nel renderlo credibile.
Ami Canaan Mann, da parte sua, fa di tutto per far prendere agli spettatori le sue parti (e ce la fa).
Se il film avrà la promozione che merita, la sua interpretazione rimarrà impressa in molti spettatori. E chissà che non ci scappi pure una nomination all'Oscar o qualcosa di più... Sinceramente ce lo auguriamo.

Comunque, non è un caso che la redazione di CINEMA A BOMBA l'abbia nominato miglior attore di quest'edizione della Mostra del Cinema.

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domenica 11 settembre 2011

VENEZIA 2011: I NOSTRI PREMI


Posto che i giudizi sono per forza di cose soggettivi, si può dire che assegnare dei premi in un concorso cinematografico sia, in fondo, nulla più che un giochino.
E' difficile confrontare pellicole così numerose e tanto diverse tra loro.

Pur essendo questa un'edizione della Mostra complessivamente mediocre (moltissimi film di livello medio-basso, qualche delusione e pochissimi capolavori), ci sono state tuttavia alcune opere che - per una ragione o per l'altra - ci hanno favorevolmente colpito.

Ci siamo pertanto divertiti a immaginarci nei panni dei giurati e abbiamo stilato una nostra classifica ideale, basata sulle proiezioni cui abbiamo avuto modo di assistere personalmente (per questa ragione, trasgredendo alle regole della competizione, ci siamo permessi di considerare anche i film fuori concorso).
Ecco a voi:

Leone d’Oro per il miglior film:
Wilde Salomé di Al Pacino (USA)

Leone d’Argento per la migliore regia:
William Friedkin per il film Killer Joe (USA)

Premio Speciale della Giuria:
Alois Nebel di Tomas Lunak (Repubblica Ceca)

Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile:
Jeffrey Dean Morgan nel film Texas Killing Fields di Ami Canaan Mann (USA)

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile:
Jessica Chastain nel film Wilde Salomé di Al Pacino (USA)

Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente:
James Howson nel film Wuthering Heights di Andrea Arnold (Gran Bretagna)

Osella per la miglior fotografia:
Robbie Ryan per il film Wuthering Heights di Andrea Arnold (Gran Bretagna)

Osella per la migliore sceneggiatura:
Don Ferrarone per il film Texas Killing Fields di Ami Canaan Mann (USA)


In più, abbiamo inventato dei premi speciali per i divi coi quali abbiamo avuto - direttamente o indirettamente - a che fare:

Leone d'Oro per la simpatia: William Friedkin
Leone d'Oro per lo stile: Colin Firth
Leone d'Oro per la cortesia: Moni Ovadia
Leone d'Oro per la miglior pennichella: James Franco (menzione speciale come personaggio più citato nel nostro blog!)
Leone d'Oro per la scarsa resistenza alle ore piccole: Marco Bellocchio
Leone d'Oro per la migliore interpretazione di un divo: Tony Renis

A tutti i vip succitati, e anche a quelli che non abbiamo nominato, il nostro più vivo ringraziamento. Senza di voi questa esperienza sarebbe stata meno divertente!

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ULTIMO TANGO A VENEZIA

Ultimo giorno al Lido: oggi va in scena la premiazione. C'è un'atmosfera generale di sbaraccamento, con grande delusione di tutti gli addetti ai lavori.

Gli Accreditati sono quelli più abbattuti: vagano per il Movie Village col passo barcollante, lo sguardo attonito, ripetendo all'infinito gli stessi gesti. Sembrano gli zombi dei film di Romero.
Hanno vissuto il loro momento di gloria, come teorizzava Warhol, ma ora è passato. Da domani non potranno più svegliarsi all'alba per assitere alla proiezione di documentari tibetani sulla vita dei pastori di yak o lungometraggi diretti da esuli yemeniti.
Ce li immaginiamo domani sera reclusi nel proprio salotto, a guardare dvd, facendo commenti da soli e piangendo sommessamente, come i protagonisti di una nota pubblicità di viaggi in crociera.

Assistiamo anche oggi alla sfilata sul tappeto rosso: c'è la giuria (quasi al completo) capitanata da Darren Aronofsky. Vediamo David Byrne, Alba Rohrwacher e Mario Martone.
Dopo che tutti hanno terminato le foto di rito e sono ormai entrati in sala, arriva trafelato l'ultimo giurato (che in verità non riconosciamo). Gli tocca concedersi ai fotografi in solitudine, visibilmente seccato per aver saltato la foto di gruppo.
L'hanno rimasto solo, come Peppe er Pantera de I Soliti Ignoti ("M'hanno rimasto solo, 'sti quattro cornuti!").

L'attesa per la premiazione è alta e, siccome tre dei film premiati verrano riproiettati in serata, al Movie Village i botteghini vengono presi d'assalto, mentre dinnanzi alla Sala Grande un maxischermo permette di seguire la premiazione in diretta.

Alla fine, la delusione è palpabile. Le pellicole prescelte non convincono nessuno. Il Leone d'Oro al Faust di Sokurov - pellicola di incommensurabile bruttezza che abbiamo avuto modo di vedere e recensire - è la goccia.

E così non resta che bersi una delle ultime birre del bar ("Gli sgropin li abbiamo finiti, è l'ultimo giorno", ci confessa soave la fanciulla della cassa) e salutare il Lido e la 68a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Domani si torna a casa. Que reste-t-il de nos amours?

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VENEZIA 2011: VINCE SOKUROV O PERDE LA GIURIA?


E così ha trionfato il vincitore annunciato. Già prima della proiezione, lo si dava tra i favoriti (forse i critici cinematografici leggono il futuro).
Faust, del regista Aleksander Sokurov, ha conquistato il Leone d'Oro per il miglior film, assegnato da una giuria che ha clamorosamente snobbato invece autori come Clooney, Cronenberg, Polanski, Friedkin e la Mann.
Sarebbe interessante domandare ad Aronofsky & C. i criteri con i quali sono stati attribuiti i premi, e perché abbiano scelto tale pellicola - non certo la migliore della rassegna (vedi recensione).

Non avendoli visti, concediamo loro, tuttavia, il beneficio del dubbio sugli altri film premiati: People Mountain People Sea (film a sorpresa presentato a Mostra già cominciata), Leone d'Argento - sempre a sorpresa - per la migliore regia (il cinese di Hong Kong Shangjun Cai: ricordarsi il suo nome è stato davvero arduo per i pur preparatissimi ragazzi dell'Ufficio Informazioni del Movie Village); Terraferma di Emanuele Crialese, Premio Speciale della Giuria (praticamente, un contentino per chi non ha vinto i due premi più importanti).

I giudizi dei critici cinematografici e degli spettatori sono stati divergenti: il verdetto della giuria è stato accolto con soddisfazione dai primi, con delusione e sconforto dai secondi.
Esemplare un episodio. I film onorati dai riconoscimenti più importanti vengono ritrasmessi; dopo aver acquistato il biglietto per Faust, un gruppetto di ragazze ignare ci ha chiesto com'era il film. Dopo la nostra risposta, non avevano più tanta voglia di andarlo a vedere.

Anche se forse non si è capito, non possiamo che condividere i sentimenti della maggioranza del pubblico.
Comunque, per completezza, riportiamo qui in basso le decisioni della giuria.


Leone d’Oro per il miglior film:
Faust di Aleksander Sokurov (Russia)

Leone d’Argento per la migliore regia:
Shangjun CAI per il film Ren Shan Ren Hai (People Mountain People Sea) (Cina - Hong Kong)

Premio Speciale della Giuria:
Terraferma di Emanuele Crialese (Italia)

Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile:
Michael Fassbender nel film Shame di Steve McQueen (Gran Bretagna)

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile:
Deanie Yip nel film Tao jie (A Simple Life) di Ann Hui (Cina - Hong Kong)

Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente:
Shôta Sometani e Fumi Nikaidô nel film Himizu di Sion Sono (Giappone)

Osella per la miglior fotografia:
Robbie Ryan per il film Wuthering Heights di Andrea Arnold (Gran Bretagna)

Osella per la migliore sceneggiatura:
Yorgos Lanthimos e Efthimis Filippou per il film Alpis (Alps) di Yorgos Lanthimos (Grecia)

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sabato 10 settembre 2011

REBEL, NELL'ISOLA FANTASMA DI JAMES FRANCO

Ormai a corto di proiezioni - e in attesa di sbarcare un'ultima volta al Lido - abbiamo deciso di recarci stamane, nonostante la scomodità logistica, all'isola della Certosa.

Qui si trova Rebel, un'installazione audio-visiva realizzata da James Franco (ancora lui!) per la Biennale, costituita da più stazioni dislocate lungo i giardini che dovrebbero - il condizionale è d'obbligo - proiettare cortometraggi sperimentali e, in un caso, anche il film We Can't Go Home Again del regista Nicholas Ray (Gioventù bruciata), un documentario a lui dedicato e il lungometraggio Sal, biopic di Franco dedicato all'attore Sal Mineo.

Purtroppo al nostro arrivo ci rendiamo conto che le cose non stanno propriamente così... Sull'isola non c'è praticamente anima viva!
Non solo: le stazioni sembrano in stato di semi-abbandono; solo due schermi proiettano qualcosa, in alcuni mancano addirittura le cuffie.

Chiediamo spiegazioni per telefono alla Biennale, ma non ci sanno rispondere, genuinamente stupiti della situazione (gli addetti all'installazione si sono forse imboscati?).
Così, in un'atmosfera a dir poco surreale, ci troviamo a vagare sull'isola in completa solitudine, aspettandoci che da un momento all'altro sbarchi James Franco in persona per rimettere in moto il tutto.

Alla fine non arriva nessuno, non ci resta altro che abbandonare l'isola fantasma per altri...lidi.

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LIFE WITHOUT PRINCIPLE, LA CRISI DELLA GRECIA TERRORIZZA L'ORIENTE



Grosse somme di denaro recuperate ad un boss ucciso mettono in moto una catena di eventi che coinvolgono, in modo più o meno diretto e drammatico, i protagonisti: una consulente finanziaria di una banca; un poliziotto e la moglie, che devono comprare casa; un malavitoso di secondo piano generoso, leale, fedele.
Il tutto nel contesto di una Hong Kong entrata nel panico a seguito della crisi dei mercati globali dell'autunno 2010.

Il regista Johnnie To non è molto conosciuto dal grande pubblico occidentale, ma in patria è considerato maestro di un cinema fatto di inseguimenti, sparatorie, violenza, sangue, eppure ricco nell'introspezione psicologica dei personaggi.

Poco si vede di tutto ciò in questo film.
Innanzitutto, Life Without a Principle non è propriamente un film d'azione (questa è puttosto episodica all'interno della sceneggiatura), né di denuncia (il sistema finanziario può mettere in ginocchio chiunque, essendo basato su fattori e variabili difficilmente prevedibili; tuttavia, tutti i protagonisti, in un modo o nell'altro, alla fine se la cavano), né di analisi dei personaggi (inesistente o quasi).
E' un film di attualità? Sicuramente sì, e ha il pregio di essere abbastanza chiaro nello spiegare le dinamiche della crisi delle Borse, cosa che non era invece riuscita ad Oliver Stone nelle sue due pellicole su Wall Street, però più avvincenti.

Al termine della proiezione c'è quella sensazione che si avverte quando si ha la consapevolezza di aver visto una pellicola (pur non disprezzabile) che il giorno dopo verrà già dimenticata.

E ora, una nota di costume a margine.
Il Red Carpet è stato piuttosto avaro di grandi nomi: alla prima di Texas Killing Fields, per esempio, si sono presentati solo la regista Ami Canaan Mann accompagnata dal più celebre padre Michael, autore di alcuni dei migliori film d'azione degli ultimi vent'anni, ma non gli attori principali.
La redazione di CINEMA A BOMBA si è però rifatta incontrando, poco prima di prendere il vaporetto del ritorno, Marco Bellocchio, che in questi giorni ha ricevuto dalle mani di Bernardo Bertolucci il prestigioso Leone d'Oro alla carriera.
Lo abbiamo salutato e gli abbiamo fatto i complimenti; lui ci ha guardato in modo un po' imbambolato e ci ha ringraziato.
Anche i grandi registi fanno fatica a rimanere svegli e lucidi a mezzanotte e mezza.

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TEXAS KILLING FIELDS, BUON SANGUE NON MENTE



Ultima serata di proiezioni, domani c'è la premiazione.
Il primo spettacolo è Texas Killing Fields, opera seconda di Ami Canaan Mann, figlia del regista Michael (Heat, Collateral, Miami Vice), che l'ha accompagnata stasera sul tappeto rosso, essendo oltretutto uno dei produttori.

Ispirata ad una storia vera, la pellicola racconta la storia di una coppia di poliziotti - uno texano (Worthington), l'altro newyorkese (Morgan) - che si mette sulle tracce di un serial killer che rapisce e uccide giovani ragazze, lasciando i loro cadaveri nelle paludi (i "fields" del titolo) che lambiscono Texas City.

Solitamente non è facile seguire le orme di un padre famoso, ancor più se questo è un potente regista/produttore di polizieschi come Michael Mann. Ma la giovane cineasta - complice una sceneggiatura di ferro scritta da un ex agente di polizia - supera brillantemente la prova.
Pur rispettando molti luoghi comuni del genere, il film riesce a mantenere costantemente alta la soglia dell'attenzione, convincendo anche nel finale.
Senza dubbio uno dei migliori film dell'intera rassegna.

Azzeccata anche la mossa di affidare i ruoli principali ad attori emergenti: dal Sam Worthington di Avatar alla rossa Jessica Chastain (ormai una conferma, questa ragazza non sta sbagliando un colpo).
Ma la vera rivelazione è Jeffrey Dean Morgan, già visto in Watchmen: col suo personaggio di poliziotto cattolico e integerrimo, paterno e riflessivo, si candida prepotentemente per la Coppa Volpi come miglior interprete maschile.

Appunto per gli appassoniati del mitico serial Twin Peaks: nel cast compare - sebbene mimettizzata sotto un trucco pesante - anche Sheryl Lee, alias Laura Palmer. Un soldino a chi la riconosce!

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venerdì 9 settembre 2011

FAUST, L'UOMO SENZA DIO SI PERDE



Il Dottor Faust, senza più fede né valori, per amore della bella sorella dell'uomo che ha accidentalmente ucciso, cede la propria anima al diavolo.
Finirà per restare infelice per sempre.

Aleksander Sokurov usa come pretesto la figura di Faust, uno dei simboli della cultura germanica, per una riflessione sui temi della ricerca di Dio e della mancanza della fede.
Temi sempre attuali e decisamente alti, che il regista ha affrontato con una certa sensibilità e con scelte registiche (sequenze che sembrano quadri in movimento, fotografia, ambientazione) suggestive.

Ma il risultato finale è deludente. Molto.
Il film è esasperatamente lungo (più di due ore; ma sembrano sei) e lento; la trama è difficilmente comprensibile; i personaggi sono più macchiette che tipi; certe scene, che probabilmente dovevano essere grottesche, risultano invece ridicole e, in alcuni casi, non funzionali alla storia.
Insomma, una pellicola decisamente pesante.

Alla vigilia della presentazione, il maestro russo aveva dichiarato che il suo Faust sarebbe stato un punto di incontro tra la cultura europea e quella russa.
Siamo ancora distanti, ma provaci ancora Sokurov!


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KILLER JOE, IL BRACCIO VIOLENTO DI FRIEDKIN



Dopo aver scoperto martedì i due film a sorpresa - una pellicola cinese e un lungometraggio filippino: imperdibili... - abbiamo deciso di prenderci un giorno di pausa per fare i turisti protagonisti.
Abbiamo fatto bene: i due film in concorso ieri (mercoledì per chi legge, NdR) non sono andati bene: 4:44 di Ferrara non ha convinto, Quando La Notte della Comencini è stato subissato di fischi.

Come sempre molto divertente, il Red Carpet è ovviamente dedicato a Killer Joe. Tra gli ospiti si nota la pattinatrice Carolina Kostner in elegante abito rosso.
Matthew McConaughey manca all'appello, in compenso ecco comparire Emile Hirsch (il protagonista dello splendido Into The Wild, ricordate?), Juno Temple e soprattutto William Friedkin, ultrasettantenne alla sua prima partecipazione a Venezia.

Il regista gigioneggia molto, si concede ai fotografi mentre Hirsch si inginocchia letteralmente ai suoi piedi, firma molti autografi.
Prima che varchi i vetri della Sala Grande proviamo ad attirare la sua attenzione: "William!", gridiamo, ma sembra non sentire. "Friedkin!", ancora niente. "Maestro!", e solo a questo punto il nostro si gira, allarga le braccia benevolmente e ci sorride.

Premessa: Killer Joe non è un film per famiglie, per niente. E' un'opera cruda, estrema, un pugno nello stomaco, a partire dalla trama: un giovane spacciatore nei guai con un gangster assolda un poliziotto che arrotonda lo stipendio come killer a pagamento perchè gli uccida l'odiata madre anafettiva, ma questi anzichè denaro chiede in pegno la giovanissima sorella del ragazzo...

Coerente col proprio cinema intriso di lucido cinismo e pessimismo cosmico, il regista de Il Braccio Violento della Legge e Vivere e Morire a Los Angeles imbastisce una storia di violenza, cupidigia e morte che riprende i due temi a lui più cari - il dio denaro come motore del mondo e gli abissi oscuri dell'animo umano - e che sarebbe insostenibile se non fosse permeata da un sottile afflato di ironia che strappa più di una risata anche nelle sequenze più truci.

Nel cast fanno macchia le due protagoniste femminili (spesso in scena completamente nude), mentre McConaughey abbandona i soliti ruoli da bellone per cimentarsi in un antieroe sulfureo che probabilmente farà scuola.

Alla vigilia Friedkin aveva descritto la pellicola come "una versione perversa di Cenerentola".
Ma, al contrario di questa, nelle favole c'è sempre una morale.



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mercoledì 7 settembre 2011

CIME TEMPESTOSE, VENEZIA CONQUISTATA DAL TALENTO ESORDIENTE




La trama dell romanzo di Emily Bronte è nota: un uomo vedovo e padre di due figli accoglie in casa sua il piccolo trovatello Heathcliff, che presto fa comunella con Catherine, la figlia. Tra i due ragazzi nasce un'intesa che dapprima è caratterizzata dalla complicità e da una sorta di fratellanza e poi si trasforma in una passione che travolgerà inesorabilmente le loro vite e quelle delle persone che li circondano.

Adattamento parziale (il film finisce laddove termina la prima parte del libro), del quale si è parlato alla vigilia come di una sorta di versione in costume di Twilight, Wuthering Heights, presentato in anteprima mondiale alla Sala Grande, è qualcosa di più: l'essenzialità dei dialoghi, l'uso delle sole luci naturali, la descrizione minuziosa della natura selvaggia e impetuosa come il vento che sferza la brughiera dello Yorkshire, il ritmo lento come il respiro contrapposto alla tempesta di sentimenti dei protagonisti sono l'impronta tecnica della sensibilità con la quale la regista Andrea Arnold ha voluto permeare questa messa in scena dell'opera della Bronte.

La pellicola ha diviso la redazione di CINEMA A BOMBA: chi ha detto che, in confronto, Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi sembra Fast and furious; chi, dall'altra parte, ne ha sottolineato il carattere elegiaco. Nel dubbio, restano comunque i fatti: applausi interminabili (soprattutto da parte del pubblico "giovane") alla fine della proiezione, indirizzati alla regista e al cast.

Particolarmente calorosa l'accoglienza riservata al giovane debuttante James Howson, il primo Heathcliff di pelle scura nella storia del cinema (ma era proprio così che la scrittrice aveva pensato il personaggio!), autore di un'interpretazione intensa e carismatica che primeggia sulle pur ottime prove recitative dei colleghi (tutti attori sconosciuti o quasi).
Una curiosità sulla scelta dell'attore: non riuscendo a trovare una persona adatta a interpretare il ruolo che già fu di Lawrence Olivier, Timothy Dalton e Ralph Fiennes, i produttori, scoraggiati, alla fine decisero di andare per le strade di Leeds per cercare la faccia giusta. Hanno trovato James Howson, l'esordiente che ha conquistato Venezia.

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UN GIORNO DI ORDINARIA (CINE)FOLLIA


Terzo giorno di Festival, e siamo già veterani.
Tra una mostra di Julian Schnabel e un'installazione di Bizhan Bassiri, una visita a Palazzo Ducale e la solita overdose di Tintoretto, riusciamo a far passare la giornata fino a che non arriva il momento più atteso.
Torniamo al Lido.

Anche gli Accreditati sono tornati. O meglio, non se ne sono mai andati. Li riconosci per il cartellino appeso al collo con un nastro rosso e perchè girano in gruppo, non hanno senso dell'umorismo e discettano solo ed esclusivamente di cinema.
Si sentono un'élite, e lo sono. Tullio Kezich è vivo e lotta insieme a loro.

Per ogni critico - vero o improvvisato che sia - il quartier generale è il Movie Village. Qui puoi scambiare opinioni, informarti sulle ultime news, bere un aperitivo e magari incontrare qualche vip.
Il luogo meno cool? Probabilmente il "buco" del nuovo Palazzo del Cinema. Una cosina costata (pare) 63 milioni di euro, destinata a rimanere così per molto tempo.

Oggi c'era l'anteprima assoluta di Wuthering Heights (o "Wolverine Heights", come ha annunciato la speaker della Sala Grande), ovvero Cime Tempestose. Standing ovation finale, col direttore Marco Mueller che si spellava i palmi.
Ma non tutti erano concordi: David Byrne - ex leader dei Talking Heads qui membro della giuria - si è alzato e se n'è andato. He's not in love, per parafrasare il titolo di una delle sue canzoni.

Dopo la scorpacciata di divi di ieri, il Red Carpet delude molto, oggi: uno stuolo di perfetti sconosciuti, che manco i fotografi prendono in considerazione.
Noi riconosciamo soltanto Violante Placido e Tony Renis. Chiamiamo Tony: lui si gira, ci guarda e fa con la mano il gesto di chi spara. Un vero boss.

Non ci resta che tornare a casa. Per fortuna, al ritorno incontriamo Moni Ovadia: con grande cortesia fa finta di riconoscerci e si ferma a salutarci con un affetto commovente.
Grazie Moni.

Quel "prezzemolo" di James Franco? Per una volta non pervenuto.
E un altro giorno è andato. A domani.

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martedì 6 settembre 2011

DARK HORSE, PECORE NERE E PURE PERDENTI


Storia di due perdenti: un collezionatore di giocattoli di oltre trent'anni che vive con i propri genitori e lavora svogliatamente nell'azienda del padre; una ragazza problematica depressa, apatica e ammalata di epatite B.

Insomma, due pecore nere (è il corrispettivo in italiano del termine "dark horse") per le rispettive famiglie.

Il film inizia bene: i goffi tentativi del protagonista (brutto, grasso e neanche molto simpatico) per conquistare la ragazza, piuttosto indifferente alle avances di un tipo che non le piace proprio, strappano qualche risata.

Ma poi il regista decide di virare verso uno stile più grottesco e caustico, con uno sguardo cinico e impietoso sui personaggi.
Il finale è amaro.

La trama non coinvolge e non convince, non ci si affeziona ai personaggi.
Ci si allontana dalla sala con la sensazione che il proprio tempo libero poteva essere meglio speso.

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TINKER TAILOR SOLDIER SPY, CACCIA ALLA TALPA


Dopo le emozioni di ieri notte e dopo esserci "caricati" con la mostra d'arte di Julian Schnabel al museo Correr (notevole l'uso che il pittore/regista ha fatto di resine e poliestere, ma questa è un'altra storia), siamo tornati al Lido.
Mentre ci rechiamo al red carpet ci passa accanto il solito James Franco, che ormai è di casa. Persino i veneziani non ci fanno più caso.

La passerella d'onore è tutta per il cast e la produzione della pellicola inglese: Gary Oldman è assente, ma gli altri ci sono tutti, sicchè vediamo sfilarci davanti agli occhi il regista Tomas Alfredson, il grande vecchio John Hurt, l'emergente Benedict Cumberbatch e il compassato Mark Strong.
Il più generoso però è Colin Firth, che si avvicina per salutare e si concede lungamente agli autografi. Un vero re, come l'Oscar insegna.

La Talpa, ambientato in piena guerra fredda, racconta la storia di un agente dei servizi segreti (Oldman, molto misurato) che indaga per scovare un traditore al soldo dei sovietici che si nasconde nel suo dipartimento.

Classico film di spionaggio albionico, è in parte inficiato dai difetti tipici del genere: scarsezza di ritmo e inesplicabilità dell'intreccio.

Per fortuna a bilanciare il tutto ci pensa l'alta qualità recitativa di un gruppo di attori che sa il fatto proprio e il mestiere di un regista svedese in grado di creare qualche momento di vera tensione.

Alla fine molti applausi, sebbene almeno metà del pubblico fosse inglese. Ma così vale?

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ALOIS NEBEL, UN DIVO IN PLATEA E UN ARTISTA IN GALLERIA


Nel contesto dei grandi cambiamenti portati dalla Rivoluzione di Velluto di Vaclav Havel e dal crollo della Cortina di Ferro, le vite del protagonista (misantropo capostazione ferroviario di una piccola cittadina cecoslovacca), di un misterioso esule muto braccato e ritornato in patria per compiere la sua vendetta, di un’inserviente di mezz’età della Stazione Centrale di Praga, di due maneggioni (padre e figlio) senza alcuna remora morale, si intrecciano e vengono sconvolte nell’atmosfera opprimente della regione dei Sudeti, abitata da una popolazione di lingua germanica che nel 1939 aveva accolto con entusiasmo l’invasione delle truppe naziste, ma che dopo il 1945 è stata oggetto di una vera e propria persecuzione.

La neve, che cancella i passi del fuggitivo, non riesce invece a cancellare il martoriato passato di questa terra e dei suoi uomini, né la pioggia lava via il sangue e i brutti ricordi.

Girato con attori in carne e ossa, la pellicola è stata poi ridisegnata da Jaromir 99 in modo tale da ricalcare in forma filmica la graphic novel da lui stesso ideata, che ha avuto un certo successo in patria, in Germania e in Polonia.

Ed è questo poliedrico artista (ha firmato anche la colonna sonora del film) il vero autore di Alois Nebel, colui che ne ha dato l’anima.

Il risultato è un’opera sicuramente suggestiva dal punto di vista visivo, seppur appesantita dall’atmosfera plumbea che permea tutta la storia e penalizzata dalla proiezione fuori concorso (e per di più in un orario da nottambuli). Peccato, avrebbe meritato più visibilità.

Nota di costume. Indovinate chi era seduto in platea due file davanti a noi alla prima mondiale in Sala Grande (presenti il direttore della Mostra Marco Mueller e gli autori della pellicola) tra gli spettatori comuni?

Nientemeno che James Franco! Che, a titolo di cronaca, nel bel mezzo della proiezione si è fatto un bel pisolino (o forse stava assaporando ogni parola dei dialoghi a occhi chiusi).

Anche i divi patiscono i bagordi?


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lunedì 5 settembre 2011

WILDE SALOME', PACINO (CON)VINCE ANCORA


L’atmosfera sul Lido è frizzante, caotica, l’attesa per il nuovo lavoro da regista di colui che è considerato (a ragione) il miglior attore vivente è palpabile.
Ci passa accanto, sfiorandoci, Eli Roth, il regista di Hostel amico di Tarantino. Ma sta correndo di gran carriera, forse non è lui, solo uno che ci assomiglia molto. Come scopriremo qualche ora dopo, vedersi un divo in “incognito”, mescolato a gente comune, qui non è poi così inusuale.
La proiezione ha inizio nel salone del Palabiennale, imponente e gremitissimo. Ma veniamo al film.

Wilde Salomé ripercorre sostanzialmente la stessa brillante idea di quel Riccardo III con cui Pacino aveva esordito dietro la cinepresa, 15 anni fa: non solo un adattamento del testo, ma anche uno sguardo dietro le quinte; una fiction su Salomé, ma anche un documentario su Oscar Wilde e su come si può interpretare una sua pièce. Insomma, una lezione di teatro. E di cinema.

Così, vediamo il nostro alle prese come un duplice, arduo compito: allestire contemporaneamente – e con la medesima compagnia – sia una lettura teatrale che una versione cinematografica del capolavoro wildiano.
Ma Pacino fa anche di più: interroga appassionati ed esperti in materia (si vedono tra gli altri Bono, Gore Vidal, Tom Stoppard), va a visitare la vecchia casa di Wilde, ne studia gli appunti originali, si immerge nella sua arte fino a immedesimarsi in lui.

E gli attori? Pacino è Pacino, quindi da solo buca lo schermo, benché curiosamente risulti più convincente quando non recita (ma siamo sicuri?) che non nei momenti in cui interpreta Re Erode.
Dal canto suo Jessica Chastain – da noi già apprezzatissima nel malikiano The Tree Of Life – tratteggia magistralmente una Salomé di sensuale e crudele voluttà. Tenetela d’occhio: è l’attrice del momento.

L’unico appunto? Non si capisce per quale ragione una pellicola di questo calibro sia stata presentata fuori concorso anziché nella selezione ufficiale, dato che avrebbe potuto tranquillamente concorrere per almeno due o tre dei premi principali.
Per la cronaca, la fine della proiezione è stata accolta da un’ovazione.




LOCANDINA





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PRIMI GIORNI

Finalmente a Venezia!

Nei giorni scorsi sono stati proiettati alcuni dei film più attesi della rassegna. Molti applausi hanno accolto, com’era prevedibile, le pellicole di Polanski e Cronenberg - rispettivamente Carnage e A Dangerous Method - tanto è vero che di quest’ultima si parla già come di una delle più accreditate per l’ambito Leone d’Oro.

Per W.E., opera seconda di Madonna, e per il taiwanese Saideke Balai l’accoglienza è stata decisamente più fredda, benché il peggio sia toccato al francese Un Eté Brulant: il film diretto dal blasonato Philippe Garrel era stato lanciato inizialmente come “film scandalo” e aveva attirato molto interesse per un’annunciatissima sequenza che avrebbe visto la nostra amatissima Monica Bellucci impegnata in un lungo nudo integrale.

Peccato che si trattasse solo di una mossa pubblicitaria: della suddetta scena nemmeno l’ombra, solo un breve momento all’inizio, peraltro piuttosto casto. Facile quindi immaginare il disappunto del pubblico…
Al termine della proiezione il film è stato subissato di fischi, insulti e “buuu”. Uno spettatore particolarmente esasperato (a cui va tutta la nostra comprensione) si è persino rivolto al regista gridandogli “Torna a zappare”! Ci immaginiamo Garrel, piuttosto avvilito, che si allontana di corsa, temendo il linciaggio.
Quanto alla Monica nazionale, le perdoniamo tutto. Ma aspettiamo ancora il suo nudo integrale.

Sabato è stato il giorno dell’apocalittico Contagion firmato Steven Soderbergh e di Sal, opera prima di James Franco ispirata alla vita dell’attore Sal Mineo (quello di Gioventù bruciata): il primo ha colpito per la propria crudezza, il secondo è stato per lo più ignorato dai critici (per fare un esempio, su un noto quotidiano nazionale non è stata riportata nemmeno una riga di commento).

Per quanto ci riguarda, la nostra prima proiezione dovrebbe essere quella di Wilde Salomé di Al Pacino. Nell’attesa, c’è tempo per la Regata Storica e per una scorpacciata di Tintoretto.

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