Dall'alto: Guillermo del Toro con il Leone d'Oro vinto per The Shape of Water; Martin McDonagh (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) vincitore dell'Osella per la sceneggiatura; Xavier Legrand (Jusqu'à la Garde); Samuel Maoz, regista di Foxtrot; Charlotte Rampling con la Coppa Volpi per la migliore attrice.
Ha vinto meritatamente un film meritevole.
Una volta tanto il Leone d'Oro non è stato assegnato ad un'opera pallosa-ma-artistica, politicamente pregnante, di una cinematografia-che-ha-bisogno-di-visibilità...
Viva quindi Annette Bening e la sua giuria, che hanno premiato il titolo che più di tutti ha messo d'accordo critica e pubblico,
The Shape of Water - storia d'amore tra una donna muta e non più giovanissima e un mostro anfibio tenuto prigioniero in un laboratorio, ma anche omaggio ai
musical e ai film di genere Anni Cinquanta/Sessanta (
La La Land insegna).
Il messicano Guillermo del Toro - che ha diretto, tra gli altri, i due
Hellboy,
Il Labirinto del Fauno,
Pacific Rim e co-sceneggiato
Lo Hobbit - è da sempre considerato uno dei più visionari registi viventi e i suoi lavori spesso ottengono ottimi riscontri anche al botteghino; ma questa potrebbe essere la consacrazione definitiva per un autore che troppo spesso è stato liquidato come "di genere".
Vincere un Leone d'Oro per una fiaba
fantasy con effetti speciali è in effetti già un traguardo molto notevole e molto prestigioso, ma la marcia del corpulento cineasta potrebbe essere appena all'inizio e portare ad altri riconoscimenti ambiti - d'altra parte, Venezia porta bene ai film che hanno ambizioni da Golden Globe e Oscar (vedi
qui,
qui e
qui).
Alla Notte delle Stelle non ci meraviglierebbe ritrovare il britannico/irlandese Martin McDonagh.
Il suo
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri è stato la rivelazione di questa edizione della Mostra ma, sebbene accreditato da molti come probabile vincitore, si è dovuto "accontentare" del premio per la migliore sceneggiatura, andato allo stesso autore.
Lo
script - che narra la guerra personale tra una madre di una ragazza barbaramente uccisa e la polizia accusata di non impegnarsi abbastanza per trovare il colpevole - ha convinto pressoché tutti, forte anche di interpretazioni veramente convincenti da parte di Woody Harrelson e Sam Rockwell, ma soprattutto di una magistrale Frances McDormand.
Il regolamento per l'assegnazione dei premi vieta la concentrazione di riconoscimenti: ecco perché la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile non è stata vinta né da quest'ultima né da Sally Hawkins (la protagonista di
The Shape of Water), bensì dall'inglese Charlotte Rampling.
L'affascinante signora ha lavorato per molti registi italiani - Luchino Visconti, Giuseppe Patroni Griffi, Giuliano Montaldo, Liliana Cavani, Adriano Celentano, Gianni Amelio... - e probabilmente non è un caso che proprio per un film di un regista italiano (il giovane Andrea Pallaoro, che avevamo già segnalato a
Venezia 2013) abbia ottenuto il prestigioso premio.
Il corrispettivo maschile, invece, è andato ad un attore di formazione teatrale, Kamel El Basha, protagonista del libanese
L'Insulte.
Palestinese.
Ma non preoccupatevi: in nome della
par condicio, è stato premiato anche un israeliano.
Nello specifico, Samuel Maoz si è aggiudicato il Leone d'Argento - Gran Premio della Giuria per la sua opera seconda,
Foxtrot.
Non male, considerando che per la sua opera prima,
Lebanon, nel 2009 aveva avuto addirittura il Leone d'Oro!
Ad emularlo ci è andato molto molto vicino il francese Xavier Legrand, esordiente ma giudicato miglior regista per il suo film sulle violenze domestiche
Jusqu'à la Garde.
Gloria anche per il cineasta australiano aborigeno Warwick Thornton - Premio Speciale della Giuria per
Sweet Country - e per il giovane Charlie Plummer - Coppa Marcello Mastroianni per il miglior attore emergente per
Lean On Pete.
E gli sconfitti?
I film italiani, innanzitutto: non che ci aspettassimo sfracelli (ne avevamo parlato in questo
post), ma il fatto che siano piaciuti solo alla critica italiana non è un bel segno.
E pensare che se avessimo voluto trovare dei buoni lavori nostrani avremmo potuto rivolgerci invece alla sezione Orizzonti, dove, per il secondo anno consecutivo, una pellicola tricolore ha vinto il concorso - l'anno scorso, il documentario
Liberami di Federica Di Giacomo; questo,
Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli.
Chi invece aveva suscitato entusiasmi era stato
Mektoub, My Love - Canto Uno, sulla giovinezza di un gruppo di giovani franco-tunisini.
Ma a pesare sul film di Abdellatif Kechiche (già Palma d'Oro a
Cannes 2013 per
La Vie d'Adèle) è stata l'accusa di maschilismo - troppi indugi sui fondoschiena delle giovani protagoniste, tanto è vero che qualche malizioso ha tirato in ballo addirittura Tinto Brass!
Stroncato senza pietà dai critici, al contrario, è stato
Mother!, l'attesissima parabola
horror ecologista/religiosa firmata Darren Aronofsky.
Non ha ricevuto premi, ma siamo sicuri che gli agguerriti fan della protagonista Jennifer Lawrence (comunque molto brava. Non per niente nel 2013 ha vinto un
Oscar...) accorreranno in sala per seguire la loro beniamina.
Per quel che riguarda le altre pellicole a stelle e strisce, ambivano a premi i veterani Paul Schrader - che ha presentato
First Reformed con Ethan Hawke nel ruolo di un pastore luterano sconvolto dai sensi di colpa - e Frederick Wiseman - il suo documentario sulla New York Public Library è piaciuto nonostante la durata eccessiva -, ma sono rimasti a bocca asciutta.
Così come Alexander Payne - ma il suo
Downsizing aveva già avuto l'onore di aprire la
kermesse - e George Clooney - che la Mostra l'aveva aperta nel
2011 con
Le Idi di Marzo e che questa volta portava la commedia nera firmata Fratelli Coen
Suburbicon.
Qualche applauso, ma per il resto accoglienza non troppo calorosa per i loro lavori.
Alla vigilia era molto accreditato anche l'artista dissidente cinese Ai Weiwei, ma il suo documentario sui migranti
Human Flow è stato accusato di essere troppo incentrato sull'autore stesso, vanificando così in parte i buoni propositi iniziali.
Tra gli sconfitti dobbiamo annoverare - ma non ci fa piacere - anche il Festival di Cannes.
Quest'anno il programma non era male, ma niente di paragonabile a quello di questa
Mostra.
Se Venezia è tornata però ad essere un appuntamento internazionale imprescindibile, molto del merito dev'essere riconosciuto al direttore Alberto Barbera, che negli ultimi anni ha lavorato in modo intelligente e lungimirante, invitando al Lido ottimi autori e attori, ma anche dando spazio a modi alternativi di fare cinema (geniale ed azzeccata l'idea del concorso dedicato alla realtà virtuale), cercando quindi di avvicinare le esigenze di una rassegna cinematografica a respiro internazionale con i gusti del pubblico.
Ora la vittoria di Guillermo del Toro potrebbe dargli un'ulteriore mano: se
The Shape of Water dovesse continuare a mietere successi, le
major hollywoodiane in futuro potrebbero essere incentivate ancora di più a scommettere sulla
kermesse lagunare.
La 74a edizione della Mostra del Cinema è appena terminata, ma noi della redazione di CINEMA A BOMBA! già non vediamo l'ora che arrivi la prossima.
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