CINEMA A BOMBA!

sabato 31 ottobre 2015

I CLASSICI: JASON X, VENERDI' 13 PORTA MALE ANCHE NELLO SPAZIO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2002
93'
Regia: James Isaac
Interpreti: Kane Hodder, Lexa Doig, Chuck Campbell, Lisa Ryder, Peter Mensah, David Cronenberg.


Oggi. Il mostruoso omicida Jason Voorhees (Hodder) è tenuto in ostaggio dal governo e bramato dal Dottor Wimmer (Cronenberg) come oggetto di studi, a causa della propria immortalità.
Riesce a liberarsi, ma finisce ibernato insieme a una bella ragazza (Doig).

Anno 2455. I due vengono ritrovati dall'equipaggio di un'astronave e portati a bordo. Ovviamente Jason si riprende ed è pronto a uccidere ancora...
Come liberarsi di un assassino che non può morire?

Dei vari franchise orrorifici degli anni 80 - la trilogia di Evil Dead di Sam Raimi (ossia La Casa, La Casa 2 e L'Armata delle Tenebre, senza contare il prologo Within The Woods e la tv series di prossima uscita), Halloween di John Carpenter e Nightmare di Wes Craven - Venerdì 13 è quello che ha ricevuto meno favori da parte della critica.

Meno originale (la derivazione dalla pellicola di Carpenter è palese), più rozza e forse anche più truculenta delle sue omologhe, la serie inaugurata dal carneade Sean S. Cunningham nel 1980 deve la propria popolarità principalmente all'immagine del suo protagonista.

Un killer con la maschera da hockey e la predilezione per motoseghe e altri armi da taglio non poteva che entrare di diritto nella storia del cinema horror, specie tra il pubblico degli adolescenti che ha eletto il suo interprete più frequente - l'imponente stuntman Kane Hodder, qui alla sua quarta e finora ultima apparizione nei panni di Jason - al rango di attore di culto.

Scritto da un appassionato di Alien (si vede anche troppo) e diretto da un tecnico degli effetti speciali caro a David Cronenberg (il che spiega la comparsata del regista canadese nel prologo), Jason X - la X sta a indicare che è il 10° capitolo - si differenzia dai film precedenti per due ragioni: l'ambientazione fantascientifica e l'abbondante dose di autoironia.

Nonostante - o forse proprio per merito di - dialoghi demenziali, scenografie improbabili (la stazione orbitante con i grattacieli), trucchi dilettantistici, costumi al risparmio (benché la storia sia ambientata in un futuro remoto tutti i personaggi vestono come negli anni 90), vari buchi narrativi e assurdità scientifiche (se nello spazio il suono non si propaga, come fanno i protagonisti a sentire le esplosioni?), c'è molto pane per i denti degli appassionati del cinema trash.

Tra le scene cult segnaliamo quella in cui a una bionda viene congelata e quindi frantumata la faccia su un bancone da laboratorio e la trasformazione di Jason in Super-Jason, con tanto di corazza e maschera argentata.
Ma la migliore è la simulazione olografica che omaggia i primi film della serie, con la presenza di due sexy campeggiatrici virtuali che tentano di distrarre e rallentare Jason, e in cui Hodder si diverte a ripetere, parodiandola, la sua famigerata sleeping-bag murder scene da Venerdì 13-Parte VII.

Il merito che riconosciamo a opere come questa è principalmente la capacità di non prendersi sul serio, caratteristica che dovrebbe essere fondamentale di tutti i film dell'orrore.
Meno metaforico di Freddy Kruger e più iconico di Michael Myers, Jason Voorhees è un protagonista senza troppe pretese, un anti-eroe che ammazza chiunque gli capiti a tiro, meglio se si tratta di teenager libidinosi (ricordate il filone degli horror "moralistici" di cui vi avevamo parlato qui?).

Jason X non è un capolavoro ma forse è il migliore dei vari Venerdì 13.
Di certo ne consigliamo la visione in lingua originale, così da non perdersi battute come quella della ragazza che, poco prima di essere risucchiata nello spazio, esclama: "This sucks on so many levels!"

Buon Halloween da CINEMA A BOMBA! e ricordate: almeno questa notte evitate campeggi e... astronavi.
Non si sa mai...

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martedì 13 ottobre 2015

AMERICANA. COLAZIONE DA TIFFANY, TERAPIA CHIC

Audrey Hepburn, nel suo famoso tubino nero, guarda la vetrina di Tiffany sulla 5th Avenue.
(Clicca sull'immagine per vedere il trailer). 

USA, 1961
115'
Regia: Blake Edwards
Interpreti: Audrey Hepburn, George Peppard, Mickey Rooney, Patricia Neal, Buddy Ebsen, Martin Balsam, José Luis de Vilallonga


Holly Golightly (Hepburn) è quella che oggi si definirebbe una socialite (una frequentatrice assidua dell'alta società che passa gran parte della sua giornata in eventi mondani) e vivacchia facendosi pagare come accompagnatrice.
È naïf e sbadata, elegante ma vacua - ha una passione per la lussuosa gioielleria Tiffany, anche se i gioielli che vede esposti sono troppo cari per le sue tasche e lei si accontenta di guardarli dalle vetrine.

Holly è inafferrabile, un vero spirito libero che nessuno riesce a legare a sé.

Di lei si invaghisce Paul Varjak (Peppard; sì, proprio il futuro John "Hannibal" Smith dell'A-Team!), giovane scrittorucolo squattrinato amante di una matura signora e suo vicino di casa.

I due si somigliano: entrambi sono dei mantenuti senza troppe remore morali; entrambi in fondo non si trovano a proprio agio nell'ambiente che frequentano; entrambi fuggono e cercano qualcosa - anche se non sanno bene cosa.

E però lo trovano: l'amore.

Dopo San Francisco ( La Donna Che Visse Due Volte), lo Yosemite Park ( Valley Uprising), il Sequoia National Park, Las Vegas ( Casinò), Bryce Canyon, Monument Valley ( Ombre Rosse), Grand Canyon (il cortometraggio omonimo), la New York di Ghostbusters e Manhattan, il nostro Speciale Americana volge al termine.

Ed essendo un viaggio nei luoghi che Fede ha visitato non potevamo non finire proprio nella Grande Mela, ultima tappa prima del ritorno a casa, con uno dei film più celebri ambientati nella metropoli della East Coast: Colazione da Tiffany.

I costumi di Edith Head (una leggenda a Hollywood: 8 Oscar vinti in carriera! Nessuna donna è riuscita finora a fare meglio) e soprattutto gli abiti indossati da Audrey Hepburn e creati da Givenchy (il tubino nero della prima scena è considerato uno degli indumenti più celebri e copiati nella storia dell'abbigliamento e del costume del secolo scorso).

La sceneggiatura di George Axelrod, che ha edulcorato parecchio l'omonimo romanzo di Truman Capote - più esplicito e politicamente scorretto - per rendere la storia più adatta all'attrice.

La colonna sonora di Henry Mancini e la struggente canzone Moon River (dello stesso compositore e di Johnnny Mercer), premiate entrambe con l'Oscar.

La sicura regia di Blake Edwards (è l'autore anche di altre commedie sofisticate come La Pantera Rosa, Hollywood Party e Victor Victoria), capace in questa pellicola di rendere romantico ogni angolo di New York - persino un vicolo anonimo pieno di spazzatura, sfondo del bacio tra i due protagonisti nella scena finale.

Molti sono i punti di forza di questa commedia.

Ma se questa continua ad essere considerata un vero cult a quasi 55 anni dalla sua uscita è soprattutto grazie ad Audrey Hepburn, sua protagonista indiscussa.

Il suo espressivo sguardo da cerbiatta esprime innocenza, ma anche furbizia, malizia, intraprendenza e candida sfrontatezza.

La sua esile figura si muove con leggiadria e classe sia in abito da sera con cappello a tesa media rigida bombata verso l'interno e giro di perle al collo che in accappatoio con turbante in testa, sia in occhiali da sole con grosse lenti rotonde che in impermeabile sotto una pioggia battente, sia sorseggiando un drink che fumando una sigaretta da un lunghissimo bocchino.

Insomma, una ragazza acqua-e-sapone che sa trasformarsi in una donna sofisticata e molto chic con naturalezza e semplicità.

La Hepburn era già una diva quando fu scritturata - il grande successo di Vacanze Romane è del 1953, Sabrina è del 1954, Guerra e Pace del 1956 - ma fu proprio con Colazione da Tiffany che ottenne la sua consacrazione definitiva a icona di stile e buon gusto.

Con grande soddisfazione della celebre oreficeria sulla 5th Avenue, da allora divenuta il sogno proibito delle turiste di tutto il mondo - d'altra parte la stessa protagonista vi si reca per tirarsi su di morale.

E con grande soddisfazione dei newyorkesi, che hanno visto diventare la loro città uno dei simboli mondiali della moda, nonché del romanticismo.

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domenica 11 ottobre 2015

AMERICANA. MANHATTAN, RAPSODIA IN BIANCO E NERO

Diane Keaton e Woody Allen di fronte al Queensboro Bridge.
(Clicca sull'immagine per vedere il trailer). 

USA, 1979
96'
Regia: Woody Allen
Interpreti: Woody Allen, Diane Keaton, Meryl Streep, Mariel Hemingway, Michael Murphy, Wallace Shawn


Capitolo primo. "Adorava New York. La idolatrava smisuratamente..." No, è meglio: "la mitizzava smisuratamente", ecco. "Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin..."
No, fammi cominciare da capo...

Capitolo primo. "Era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto: trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico. Per lui New York significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi navigazione..." Eh no, stantio, roba stantia, di gusto... Insomma, dai, impegnati un po' di più... Da capo.

Capitolo primo. "Adorava New York. Per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea: la stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade stava rapidamente trasformando la città dei suoi sogni in una..." Non sarà troppo predicatorio? Insomma, guardiamoci in faccia: io questo libro lo devo vendere.

Capitolo primo. "Adorava New York, anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. Com'era difficile esistere, in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia..." Troppo arrabbiato. Non devo essere arrabbiato.

Capitolo primo. "Era duro e romantico come la città che amava. Dietro i suoi occhiali dalla montatura nera, acquattata ma pronta al balzo, la potenza sessuale di una tigre..."

No, aspetta, ci sono: "New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata..."



L'incipit fa da voce fuori campo alle immagini di alcuni dei luoghi più suggestivi della metropoli, accompagnate dalle note della celebre Rhapsody In Blue di George Gershwin, ed è una delle dichiarazioni di amore cinematografiche più appassionate nei confronti di un agglomerato urbano.

A firmarla un nativo e abitante della Grande Mela, Woody Allen, che alla sua città ha dedicato molti film: e il prolifico autore - vincitore di 4 Oscar (l'ultimo è del 2012, per la sceneggiatura di Midnight in Paris) - dopo la trasferta francese di Magic in the Moonlight vi ambienterà anche il suo prossimo lavoro, la cui uscita è prevista nel 2016.

Come dargli torto...
San Francisco è intrigante, Las Vegas è abbagliante, ma New York - Ghostbusters e Birdman tra gli altri insegnano - possiede un fascino unico, come ha sperimentato Fede (che la sta vivendo in questi giorni): la notte illuminata da milioni di luci, le forme eclettiche dei grattacieli, la monumentalità dei ponti, la natura del Central Park, i locali per tutti i gusti, una scena culturale ricca e variegata, i luoghi resi familiari da oltre un secolo di cinema, la vitalità e vivacità degli abitanti.. tutto contribuisce a creare la magia.

E Allen, in questa pellicola, ne esalta ancora di più le bellezze, grazie alla fotografia in bianco e nero curata da Gordon Willis che le conferisce un'atmosfera romantica, ma anche malinconica.

In linea con la trama del film, una storia di amori incasinati che vede come protagonista Isaac (Allen), autore televisivo divorziante dalla sua seconda moglie (Streep, al suo terzo lungometraggio ma già talentuosa) che sta frequentando una ragazza molto più giovane di lui (Hemingway) ma che si innamora di Mary (Keaton), che a sua volta ha una relazione con il migliore amico di Isaac (Murphy), che però è sposato.

Manhattan è un film di Woody Allen al 100%: chi non ama i lavori del regista non lo valuterà positivamente.
Ma chi li apprezza, come noi di CINEMA A BOMBA!, non potrà che trovarne una piacevole summa di tutta la sua carriera.

Aspettatevi quindi bellissime immagini, una regia pimpante e attenta ai particolari, una descrizione della borghesia bianca (ebraica, soprattutto) medio-alta degna di un entomologo, attori bravissimi (da notare la presenza del commediografo Wallace Shawn), musica jazz e swing in abbondanza.

E una sceneggiatura come al solito ironica (e auto-ironica), ricca di riferimenti a psicoanalisi, psicologia, sesso, religione, di dialoghi brillanti, ma anche di battute folgoranti come:

Sei così bella che stento a tenere gli occhi sul tassametro;
Sono interessanti i tuoi amici, un cast ideale per un film di Fellini;
Non dovresti consigliarti con me quando si tratta di donne. Sono il vincitore del premio Sigmund Freud;
Non fissarmi così con quei grandi occhi! Gesù, sembri uno di quei bambini scalzi della Bolivia in cerca di adozione!

Manhattan e uno script brillante: da Woody Allen non ci aspettavamo di meno.

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sabato 10 ottobre 2015

AMERICANA. GHOSTBUSTERS, CARA SPIRITOSA NEW YORK

(Clicca sull'immagine per vedere il trailer). 

USA, 1984
105'
Regia: Ivan Reitman
Interpreti: Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis, Ernie Hudson, Sigourney Weaver, Rick Moranis, Annie Potts


Il sarcastico Peter Venkman (Murray), lo stralunato Raymond Stantz (Aykroyd, reduce da Una Poltrona Per Due), il professionale Egon Spengler (Ramis) sono studiosi di fenomeni paranormali che, affiancati dallo spaesato Winston Zeddemore (Hudson), decidono di mettersi in società per andare a caccia di fantasmi.

La loro unica cliente è la violoncellista Dana Barret (Weaver), testimone di spaventose apparizioni di demoni all'interno del suo frigo di casa che le annunciano l'imminente reincarnazione di Gozer il Gozeriano, malvagia semidivinità di origine sumera (riferimento a L'Esorcista del Maestro William Friedkin?)

Perché abbiamo deciso di parlare di questa famosissima commedia d'azione per lo Speciale Honeymoon?
Perché Eli e Fede attualmente sono a New York, ultima tappa del loro viaggio di nozze e luogo dove è ambientato il film.

Chissà che girando non riconoscano i posti...
Noi, nel dubbio, mostriamo qui di seguito una mappa della città dove sono evidenziate le location.



Abbiamo scelto questa pellicola anche perché tra pochi mesi si riaccenderà l'interesse per essa (non che si sia mai sopito, però...): nel 2016 è prevista l'uscita nelle sale di un reboot tutto al femminile con protagoniste le brillanti Kristen Wiig, Melissa McCarthy, Kate McKinnon, Leslie Jones e come spalla maschile Chris Hemsworth.

Loro sono molto brave e simpatiche, ma saranno all'altezza del cast originale?
Il confronto sarà inevitabile e sarà duro per le ragazze, anche perché al loro fianco è prevista la presenza di Bill Murray e Dan Aykroyd, tra i principali artefici del successo del film del 1984.

Gli attori sono infatti uno dei punti di forza di quest'ultimo.
E pensare che le prime scelte erano altre: John Belushi doveva essere il Dottor Venkman, Eddie Murphy Winston, John Candy Louis (il vicino di casa di Dana).

Ma la morte improvvisa del comico di origine albanese fece cambiare radicalmente le cose.

Il copione, inizialmente più ambizioso, articolato, cupo e orrorifico, fu riscritto da Aykroyd - che si sta occupando attualmente anche del prossimo reboot - e da Ramis - che in futuro si confermerà ad ottimi livelli: si veda per esempio Mi Sdoppio in 4 - in previsione di un budget più ridotto e per attirare un pubblico il più vasto possibile; ma anche per ovviare alle tante defezioni degli attori considerati per i ruoli chiave (ad un certo punto era stato contattato persino Michael Keaton).

Si decise di puntare allora su un gruppo di nomi noti, ma non famosissimi: oltre ai due sceneggiatori, Bill Murray (anche lui proveniente da quella fucina di talenti che era ed è tuttora il Saturday Night Live), Sigourney Weaver (lanciata da Alien nel 1979), Rick Moranis (scelta azzeccatissima: è veramente spassoso!).

In particolare, risulta molto incisivo l'apporto del già protagonista di Where The Buffalo Roam, capace di quelle divertenti improvvisazioni ed espressioni facciali sardoniche che diventeranno poi il suo marchio di fabbrica.

Per coordinare un gruppo di interpreti così talentuosi e per dare vita ad una sceneggiatura divenuta nella sua versione definitiva molto brillante e piena di azione e colpi di scena, ci voleva un regista in grado di non sfigurare.

Ivan Reitman, bisogna dire, se la cava davvero egregiamente, aiutato nella messa in scena anche dagli ottimi effetti speciali di Richard Edlund (attualmente è a quota 7 premi Oscar vinti... È stato anche supervisore per Soluzione Estrema).

Insomma, Ghostbusters offre ancora oggi un intrattenimento per tutta la famiglia col suo mix perfetto di gag, ritmo, horror, commedia, avventura, soprannaturale.

Fede, gira pure tranquillamente per la Grande Mela; ma in caso assista a fenomeni paranormali (tipo l'apparizione di uno spettro ingordo nei corridoi del tuo hotel), ricordati ciò cantava Ray Parker Jr.:

If there's something strange/In the neighborhood/Who you gonna call?/Ghostbusters!

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mercoledì 7 ottobre 2015

AMERICANA. GRAND CANYON (DISNEY), PUMA AMORE E... FANTASIA

Una vista del Grand Canyon.
(Clicca sull'immagine per vedere il cortometraggio). 

USA, 1958
28'
Regia: James Algar


Fede, come abbiamo visto nei post precedenti, si sta facendo un gran bel viaggio di nozze negli States: dopo Yosemite, Sequoia, Bryce Canyon e Monument Valley, il suo giro per parchi nazionali naturali termina in bellezza col Grand Canyon.
Cioè una delle attrazioni naturali più celebri al mondo.

Per darvi un'idea di ciò che aspetta il nostro eroe, vi presentiamo un breve documentario del 1958 prodotto dalla Disney (potete gustarvelo anche voi cliccando l'immagine di sopra).

Non è un film qualsiasi: girato in CinemaScope - un sistema con lenti che deformavano le immagini durante la ripresa per renderle poi più ampie in fase di proiezione - e presentato nei cinema di tutto il mondo subito prima dell'amatissimo lungometraggio animato La Bella Addormentata Nel Bosco, è stato talmente apprezzato ai tempi da riuscire a vincere il premio Oscar come miglior cortometraggio.

E questo senza utilizzare attori, dialoghi e commenti fuori campo.

Infatti, Grand Canyon combina i paesaggi mozzafiato della gola formata dal fiume Colorado con la musica del compositore statunitense (di origini francesi) Ferde Grofé sul modello di Fantasia del 1940 (che però faceva interagire i cartoni animati con la colonna sonora).

La sua suite omonima si compone di quattro movimenti, ai quali corrispondono altrettante scene.

Il primo - The Painted Desert & Sunrise (Il Deserto Dipinto e Alba) - mostra il canyon con i suoi colori al mattino dal cielo e sul fiume.

On the Trail (Sulla Pista) - il più divertente - ne mostra i tanti abitanti: splendidi puma, tarantole, sinuosi serpenti, lucertoloni, buffi volatili, moffette, cerbiatti...

Cloudburst (Acquazzone) cattura le immagini delle nuvole in movimento sopra le rocce e lo scoppiare di precipitazioni piovose (con tanto di fulmini) e nevose.

Sunset & Finale (Tramonto e Finale), infine, racconta il risveglio della vita e dei colori dopo l'inverno e termina con un'aquila che prende il volo e sembra vegliare dall'alto su tutto prima di lasciare spazio ad un tramonto spettacolare.

Ah, Walt Disney: non sarà stato il personaggio bonario interpretato da Tom Hanks in Saving Mr. Banks; ma con i suoi cartoon e i suoi documentari sapeva sempre come divertire ed emozionare.

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martedì 6 ottobre 2015

AMERICANA. OMBRE ROSSE, IL MONUMENTO DI JOHN FORD ALLA MONUMENT VALLEY

Le caratteristiche guglie rocciose della Monument Valley.
(Clicca sull'immagine per vedere il trailer). 

USA, 1939
96'
Regia: John Ford
Interpreti: John Wayne, Claire Trevor, Andy Devine, John Carradine, Thomas Mitchell, Louise Platt, George Bancroft


La Monument Valley...
Semplicemente uno dei luoghi più familiari per i cinefili: quante volte abbiamo visto sullo schermo il suo paesaggio arido e desertico e le sue imponenti e solitarie creste rocciose?

La Monument Valley, un set ideale per qualsiasi film di genere western, tanto da diventarne un vero e proprio tòpos.

Fede - dopo San Francisco, lo Yosemite National Park, il Sequoia National Park, Las Vegas e il Bryce Canyon - vi si recherà per ammirarne le bellezze naturali, ma non ci meraviglieremmo se il suo pensiero andasse anche a Ombre Rosse.

Ebbene sì: il film western per antonomasia, il capolavoro di John Ford - uno dei più grandi registi di tutti i tempi; vincitore di ben 6 premi Oscar, tra i quali 4 per la miglior regia - che lanciò nell'empireo hollywoodiano la stella di John Wayne (prima di allora, un caratterista semi-sconosciuto), è in buona parte ambientato nel pianoro tra Utah e Arizona.

In particolare, è la location del celeberrimo assalto alla diligenza da parte degli agguerriti guerrieri Apache guidati dal capo Geronimo: una scena tra le più eccitanti della storia del cinema, ricca di ritmo (le riprese vennero effettuate su macchine lanciate ad alta velocità per stare al passo dei cavalli), di invenzioni registiche (le riprese dal basso sono impressionanti; ma lo sono anche quelle girate dal posto del vetturino), di azione (una su tutte: John Wayne che salta sul tiro di cavalli lanciati in una folle corsa).
Conclusa con uno scatenato coup de théâtre all'arrivano-i-nostri.

Limitare Ombre Rosse a questa sequenza è però troppo riduttivo: al di là della composizione delle inquadrature, il regista si dimostra abile anche come narratore.

La vicenda - che narra il viaggio di un gruppo eterogeneo di persone nello spazio angusto e claustrofobico di una diligenza (lo Stagecoach che dà il titolo - in originale - alla pellicola) attraverso ampi territori controllati da bellicosi Indiani in guerra - non è infatti raccontata distinguendo in modo netto i buoni dai cattivi, le persone rispettabili dai poco di buono.

L'evaso in cerca di vendetta (Wayne), la prostituta ostracizzata dal proprio villaggio (Trevor), il baro gentiluomo (John Carradine, padre degli attori David - tra i protagonisti di Kill Bill di Quentin Tarantino - , Robert - comparso in Django Unchained dello stesso cineasta italo-americano -, Keith e Bruce) e il medico ubriacone (Mitchell, che per questo ruolo ebbe l'Oscar come miglior attore non protagonista) sono certamente personaggi più positivi dello sceriffo, della ragazza di buona famiglia, del banchiere, del rappresentante di liquori.

Eppure tutte queste persone, pur molto diverse tra loro per condizione sociale e morale, riescono nelle necessità ad allearsi contro le difficoltà - siano esse il far nascere il figlio della gentildonna, il difendersi dall'attacco degli Apache (che comunque, pur essendo dipinti come "cattivi", sono comunque fieri e coraggiosi), l'affrontare una pericolosa banda di criminali.

È ciò che auspica anche questo film, uscito nel 1939 - l'anno dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale; l'attacco a Pearl Harbour e l'ingresso tra i Paesi belligeranti degli USA sono del Dicembre 1941 -: lasciamo da parte ciò che ci divide e facciamo fronte comune contro ciò che ci minaccia.

Ogni riferimento all'odierna situazione politica ed economica internazionale non è puramente casuale...

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domenica 4 ottobre 2015

AMERICANA. CASINO', COME PERDERE (E PERDERSI) A LAS VEGAS

Robert De Niro in una scena del film.
(Clicca sull'immagine per vedere il trailer). 

USA, 1995
176'
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Robert De Niro, Sharon Stone, Joe Pesci, James Woods, Frank Vincent


Dopo San Francisco (vedi La Donna Che Visse Due Volte) Fede si sta facendo un bel giro tra parchi nazionali: Yosemite (protagonista del documentario Valley Uprising che abbiamo recensito da poco), Sequoia, Bryce Canyon, Monument Valley, Grand Canyon.

Nel bel mezzo del suo vagare si troverà anche in una città che poco ha a che fare con le bellezze naturali: Las Vegas, ambientazione di tanti film (un esempio, il divertente Una Notte da Leoni) e serie televisive di successo

La capitale del gioco d'azzardo è un luogo dove tutto è esagerato - luci artificiali, paillettes, pacchianeria, soldi che girano e soprattutto escono dai portafogli, - un luogo dove tutto quello che luccica non è oro.

Insomma, lo scenario ideale per Martin Scorsese per terminare la sua trilogia dedicata alla mafia, iniziata con Mean Street, continuata con Quei Bravi Ragazzi e finita appunto con Casinò.

Sam "Asso" Rothstein (De Niro, in una delle sue ultime grandi interpretazioni) è un uomo quadrato, metodico, preciso, un ex allibratore talmente in gamba da essere chiamato da una famiglia mafiosa a dirigere il Tangiers, un casinò sulla Strip (una delle strade più famose e frequentate di Las Vegas).

La situazione finirà fuori controllo quando egli si innamorerà di Ginger (Stone) - bellissima ma sballata truffatrice - e, nello stesso tempo, verrà affiancato dal violento e imprevedibile picchiatore Nick Santoro (Pesci).

Casinò, fin dalla sua uscita, fu paragonato a Quei Bravi Ragazzi (uscito nel 1990) per diversi motivi: stesso regista, stessi attori maschili protagonisti (Joe Pesci, qui, sembra ripetere il personaggio che gli è valso l'Oscar), stessa descrizione della violenza fisica e verbale, stessa montatrice (Thelma Schoonmaker, Leone d'Oro alla carriera a Venezia 2014), stesso autore di soggetto e sceneggiatura (Nicholas Pileggi)...

Ciò gli ha giovato in termini d'incasso - è stato un buon successo di pubblico e critica - ma nel lungo periodo la somiglianza tra le due pellicole lo ha penalizzato in fatto di popolarità: oggi è (ingiustamente) considerato quasi un film minore del regista italo-americano.

Un vero peccato: la vicenda (tratta da una storia vera) è avvincente, la descrizione del mondo dell'azzardo in grande stile è meticolosa e interessante, gli attori sono molto bravi (Sharon Stone si guadagnò persino una nomination agli Oscar come migliore attrice non protagonista), parecchie sono le sequenze virtuosistiche del buon Martin.

Che va oltre da dimensione "mafiosa", mostrando la realtà diabolica di un Paese dei Balocchi per adulti che attrae con le sue mille luci, i suoi spettacoli, il suo kitsch esagerato, le sue storie, le sue promesse, le sue tentazioni: un luogo di peccato seducente dov'è facile perdersi; il regno di Mammona, del dio denaro, in terra.

Un realizzarsi di un American Dream sbagliato: quello dei soldi facili (come sono simili i personaggi di Ginger e del Jordan Belfort di The Wolf Of Wall Street!), dove l'avidità conta più dell'umanità.

Non possono esserci - e infatti non ci sono - vincitori nel Casinò di Scorsese; solo vinti.
Come al tavolo da gioco.

[Occhio, Fede...]

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venerdì 2 ottobre 2015

AMERICANA. VALLEY UPRISING, LA YOSEMITE REVOLUTION INIZIO' CON KEROUAC

Le spettacolari rocce dello Yosemite National Park.
(Clicca sull'immagine per vedere il trailer). 

USA, 2014
86'
Regia: Peter Mortimer, Nick Rosen
Con: Peter Sarsgaard (voce narrante), Alex Honnold, Royal Robbins, Warren Harding, Jim Bridwell, John Bachar, Lynn Hill, Dean Potter


Dopo San Francisco - del quale abbiamo parlato a proposito di La Donna Che Visse Due Volte - gli obiettivi di Fede sono alcuni dei più famosi parchi naturali nazionali degli States.

Il primo che visiterà è in California, a sole 200 miglia dalla città del Golden Gate Bridge: lo Yosemite National Park, famoso per le sue cascate, le sue monumentali sequoie e le sue altissime e solitarie rupi.

Proprio queste ultime sono al centro di questo documentario che racconta più di mezzo secolo di arrampicate da parte di pionieri pronti ad affrontare le più impervie pareti di roccia in modi sempre nuovi, sempre più pericolosi, sempre più adrenalinici.

Tutto cominciò con... Jack Kerouac e il suo I Vagabondi del Dharma (che Fede conosce bene).

Il grande successo del romanzo spiritual-filosofico-avventuroso-semiautobiografico (uscito nel 1958) che racconta di viaggi - vissuti non sulla strada, bensì sulle montagne - spinse numerosi fan a ripercorrere i luoghi visitati dallo scrittore di Sulla Strada e ad emularne le gesta.

L'area di campeggio denominata Camp 4 divenne così luogo di ritrovo di beatnik prima, e poi di hippie, sballoni, fricchettoni: la controcultura californiana dal sole delle spiagge riuscì ad arrivare ai monti della Sierra Nevada e il Sex&Drugs&Rock&Roll divenne pratica diffusa tra i giovani in cerca di sballo persino ai piedi degli imponenti picchi granitici.

Ma in mezzo a tutta questa masnada c'era anche chi cercava emozioni forti SUI picchi granitici, come l'Half Dome o El Capitan, giganti verticali dalle pareti lisce e insidiose.

Che vedranno alternarsi arrampicatori che scalavano piantando chiodi nella roccia, free-climber (quelli che utilizzano corde e altri mezzi di protezione non per avanzare, ma per evitare danni gravi nelle cadute), free solo climber (gli scalatori solitari che utilizzano solo mani e piedi, senza l'ausilio di corde), praticanti di BASE jumping (volo da una cima con una tuta simile a quella di uno scoiattolo volante) e free BASE (un misto di free solo climbing e BASE jumping, ma con il paracadute)... in un crescendo di sfide impossibili, di limiti superati, di leggi (anche di gravità, ma non solo) infrante.

Insomma, più che Assassinio sull'Eiger, Cliffhanger o Vertical Limit, vedendo Valley Uprising ci è venuto in mente Point Break, con i suoi protagonisti dipendenti dall'adrenalina.

Ma qui si tratta di storie vere, con filmati originali e interviste ai protagonisti vecchi ed attuali, il tutto accompagnato dalle canzoni trascinanti proprie dei diversi periodi narrati (Bob Dylan e Jefferson Airplane su tutti, ma notevoli sono anche gli altri contributi).

E con i paesaggi da brivido dello splendido Yosemite National Park.

Caro Fede, se vedi delle pareti rocciose però accontentati di guardarle e fotografarle...

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