OSCAR 2017. SILENCE, PARLA SCORSESE
USA, 2016
161'
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Ciarán Hinds, Issei Ogata, Yōsuke Kubozuka, Tadanobu Asano, Shinya Tsukamoto, Yoshi Oida
Giappone, XVII secolo.
Gli shogun (la casta dominante,) stanno perseguendo i Cristiani presenti nel Paese, per la maggior parte contadini di villaggi remoti: li torturano e li obbligano ad abiurare, pena una morte lenta e tra mille tormenti (fisici e psicologici).
Due giovani gesuiti, padre Rodrigues (Garfield) e padre Garupe (Driver), decidono di andare a cercare il loro mentore, padre Ferreira (Neeson), del quale sanno poco o nulla.
È vero, come dicono, che abbia rinnegato la propria fede? È ancora vivo?
Affronteranno una realtà ancora più dura di quanto pensassero.
Il 24° lungometraggio di Martin Scorsese è la realizzazione di un progetto dalla gestazione pluridecennale: l'adattamento di un romanzo storico nipponico del 1966 scritto dal cattolico Shūsaku Endō (da molti considerato il Graham Greene del Sol Levante per affinità stilistiche, tematiche e biografiche).
In forma epistolare, in esso vengono trattati i tormenti di uomini che devono scegliere se venire meno alla propria fede e salvare vite umane (anche le proprie), oppure scegliere di essere coerenti e condannare di conseguenza altre persone al martirio e alla gloria di Dio.
Bella sfida per il cineasta italo-americano, che riguardo al Cattolicesimo ha sempre avuto un rapporto contrastato e ambivalente: in molte sue opere si sente una fascinazione per il sacro, per il bene; ma nello stesso tempo si avverte una presa di distanza e una posizione critica.
L'aver voluto presentare questa pellicola in anteprima ai Gesuiti e a Papa Francesco è forse segno, però, che certe rigidità e diffidenze sono venute meno e che si tratti di un ulteriore passo verso la riscoperta della propria fede.
Non sfugge il fatto che questa pare essere un'opera molto personale, pensata più per sé e per un pubblico che ha più dimestichezza di concetti quali "peccato", "colpa", "misericordia", "martirio", che per una platea più ampia.
Scarso il successo al botteghino, mentre la critica, più benevola, si è soffermata maggiormente sulla maestria registica, sulla splendida fotografia di Rodrigo Prieto ( Argo, The Wolf of Wall Street, The Audition) - non per niente candidata all'Oscar, ingiustamente unica nomination per la pellicola - , sulle scenografie e costumi dei sempre ottimi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (coppia da ben tre Oscar, di cui l'ultimo nel 2012), sul montaggio di Thelma Schoonmaker (Leone d'oro alla carriera a Venezia 2014), piuttosto che sulla storia in sé - decisamente drammatica.
Il fatto è che Silence è impegnativo e talmente ricco di temi da prestarsi a numerose letture: è un pugno nello stomaco che fa riflettere, che lascia mille interrogativi, mille dubbi sull'interpretazione di ciò che viene narrato - non propriamente un film d'intrattenimento, quindi.
A titolo di esempio, il personaggio di Kichijiro (il malpresissimo accompagnatore dei due giovani Gesuiti interpretato da Kubozuka, che era nel cast di Himizu, in concorso alla Mostra di Venezia 2011) - senza spoilerare nulla - è davvero un disgraziato da disprezzare? O è un uomo che, pur conscio dei propri (tanti) limiti, ciononostante (e forse proprio per questo) ha bisogno del conforto della fede?
Può essere ridotto a macchietta uno che si chiede umilmente "Dov'è il posto per un debole come me in un mondo come questo?", domanda che può fornire in fondo una delle chiavi di lettura per comprendere ciò che vuole esprimere il regista?
In realtà, nessuno dei personaggi principali è monodimensionale.
Affidarli ad attori che potessero coglierne le sfumature era pertanto una necessità.
Nella parte dei due giovani sono stati scelti due interpreti che sono tra i più apprezzati della loro generazione.
Andrew Garfield, oltre ai due The Amazing Spider-Man, si è fatto notare in The Social Network (nomina come non protagonista ai Golden Globe 2011) e, più recentemente, in La Battaglia di Hacksaw Ridge (presentato a Venezia 2016, gli è valso la seconda nomination ai Globes quest'anno e la candidatura ai recenti Academy Award come attore protagonista).
Offre una prova convincente e matura, riuscendo così a incarnare efficacemente i tormenti del suo personaggio.
Adam Driver, per molti, è l'odiato Kylo Ren di Star Wars: Il Risveglio della Forza, ma noi lo ricordiamo anche come vincitore della Coppa Volpi come miglior attore alla Mostra di Venezia nel 2014 per Hungry Heart di Saverio Costanzo.
Qui conferma le sue doti recitative.
Stesso riconoscimento lo aveva vinto anche Liam Neeson (nel 1996, per il Michael Collins di Neil Jordan che si era aggiudicato anche il Leone d'Oro).
Finalmente il divo irlandese si ricorda di essere un buon attore: tra un film d'azione e l'altro ci eravamo scordati delle sue 3 nomine ai globi d'oro e della candidatura all'Oscar (per Schindler's List).
Per quel che riguarda l'adeguato cast nipponico, se vi state chiedendo dove avete già visto Tadanobu Asano la risposta è... in Thor e Thor: The Dark World; Issei Ogata e Yoshi Oida sono attori noti in patria, mentre Shinya Tsukamoto è un regista famoso in Giappone per film di genere cyberpunk.
Ma ciò che più emerge nel film è il silenzio, che non è solo reso da una colonna sonora ridotta ai minimi termini, ma anche da un senso di attesa, di sospensione, che permea tutto il film.
Un silenzio che rappresenta il silenzio di Dio di fronte alle sofferenze dei suoi fedeli, ma non una Sua assenza: è il dolore e il pianto senza voce di un padre che vede i propri figli sofferenti a causa dei fratelli, una muta condivisione dei loro strazi e tormenti,
E in silenzio è l'atteggiamento nel quale mettersi per cercare di rispondere ai tanti interrogativi che il film di Scorsese pone.
Il Padre pronunciò una parola, che fu suo Figlio, e sempre la ripete in un eterno silenzio; perciò in silenzio essa deve essere ascoltata dall'anima. [San Giovanni della Croce]
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