CINEMA A BOMBA!

giovedì 28 marzo 2019

OSCAR 2019. THE FAVOURITE-LA FAVORITA, DAMA MANGIA DAMA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

Irlanda/Regno Unito/USA, 2018
120'
Regia: Yorgos Lanthimos
Interpreti: Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult, Joe Alwyn.


Primi anni del XVIII secolo.

Sul trono inglese siede Anna (Colman), regina debole, malata e insicura che ha delegato i suoi compiti alla sua fidata consigliera (ed amante) Lady Marlborough (Weisz), austera, scaltra e ambiziosa.

Un giorno a corte si presenta Abigail Hill (Stone), nobildonna decaduta e cugina di questa; dapprima impiegata come sguattera, essa riuscirà a farsi notare dalla regina e inizierà una guerra senza esclusione di colpi per diventare la favorita della sovrana.






Domanda un po' provocatoria: il greco Yorgos Lanthimos può diventare l'erede di Stanley Kubrick?

Il regista americano naturalizzato britannico, nelle sue opere, ha svelato l'animalità, il lato peggiore dell'uomo secondo il principio hobbesiano dell'homo homini lupus: ogni individuo è mosso dall'istinto di sopravvivenza e da quello di sopraffazione ed è per sua natura brutale e violento.

Capolavori della storia del cinema quali Orizzonti di Gloria, Il Dottor Stranamore, 2001:Odissea nello Spazio, Arancia Meccanica, Shining e Full Metal Jacket sono la dimostrazione evidente di questa Weltanschauung, questa concenzione (pessimistica) del mondo.

Così come Barry Lyndon, che ci è subito venuto in mente vedendo il film che stiamo recensendo.

Il cineasta ellenico, nei suoi lavori precedenti, similmente aveva espresso una visione molto cupa della società in cui viviamo: essi parlano di una famiglia autoreclusasi in casa per sfuggire al mondo esterno (Kynodontas/Dogtooth, presentato a Cannes nel 2009 nella sezione "Un Certain Regard"); di un gruppo che, sotto compenso, sostituisce persone appena defunte per accompagnare amici e parenti verso l'elaborazione del lutto (Alps, presentato in concorso a Venezia 2011, dove ha ricevuto il premio per la sceneggiatura); di un futuro distopico nel quale i single sono costretti a trovare un compagno o una compagna, pena la trasformazione in un animale a loro scelta (The Lobster, premio della Giuria a Cannes 2015 e candidatura agli Oscar 2017); di una sorta di maledizione/vendetta in base alla quale un uomo deve decidere quale figlio sacrificare per salvare gli altri due (Il Sacrificio del Cervo Sacro, migliore sceneggiatura a Cannes 2017).

Questa volta Lanthimos, al pari del Kubrick di Barry Lyndon, narra la storia di un'arrampicatrice sociale che, senza scrupoli e remore morali, fa di tutto per ascendere ad un rango superiore e, una volta ottenuto il successo sperato, non riesce a nascondere la sua vera natura.

Le due pellicole sono accomunate anche da una cura maniacale nei particolari e nelle inquadrature, dall'uso del grandangolo, dai suggestivi piani sequenza che rimandano ai quadri inglesi del Settecento, dai costumi sfarzosi, dalle sontuose scenografie, dall'illuminazione a lume di candela degli interni e a luce naturale, dalla suddivisione in capitoli della narrazione.

Se però il film del 1975 risultava abbastanza fedele alla fonte - il romanzo omonimo di William Makepeace Thackeray - lo stesso non si può dire per quello del 2018: molte sono le libertà che regista e sceneggiatori si sono presi rispetto agli eventi storici che hanno al centro la regina Anna, Lady Marlborough e Abigail Hill.

Questo, probabilmente, per mettere maggiormente in risalto la figura delle due volitive favorite, diverse per carattere, ma accomunate da una forte ambizione; donne forti in un mondo dominato dagli uomini - che qui, però, fanno solo da sfondo.

È vero, ci sono due giovani attori emergenti - Nicholas Hoult (già visto nei film più recenti degli X-Men e in Mad Max: Fury Road) e Joe Alwyn (che ha esordito in Billy Lynn-Un Giorno da Eroe di Ang Lee) - ma a dominare la scena ci sono le tre protagoniste: Olivia Colman, Rachel Weisz ed Emma Stone.

La prima, come Regina Anna, ha offerto un'ottima prova che le ha permesso di ottenere numerosi riconoscimenti come migliore attrice: dalla Coppa Volpi (The Favourite è stato presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia del 2018, dove ha vinto anche il Leone d'Argento-Gran Premio della Giuria) al Golden Globe fino ad un inaspettato Oscar (l'unico premio della pellicola, nonostante le ben 10 nomination, tra le quali quelle per miglior film e migliore regia) - riconoscimento, quest'ultimo, che le sue due colleghe avevano già ricevuto in passato.

Se la Colman è stata la vera rivelazione, la Weisz e la Stone invece hanno confermato la loro bravura: la prima ha il carisma adatto per rappresentare al meglio la notevole figura di Lady Marlborough; la seconda regge bene il confronto e fa trasparire tutto il desiderio di rivalsa del personaggio.

The Favourite è l'opera meno estrema di Lanthimos, ma è risultata comunque disturbante per molti spettatori a causa di alcune scene grottesche.

Il ritmo, poi, non è esattamente adrenalinico.

Il cineasta ellenico, tuttavia, nel corso della sua carriera ha dato prova di un talento non comune sia in fase di sceneggiatura che di regia, e ha dimostrato di avere idee originali e immaginazione - merci rare ad Hollywood, al giorno d'oggi.

Se riuscirà a rimanere fedele a se stesso e al proprio stile, accattivandosi un pubblico numeroso, chissà che un giorno non si parli di lui come di un grande maestro del cinema...




Etichette: , , , , , , , , , , , , ,

mercoledì 20 marzo 2019

OSCAR 2019. GREEN BOOK, A SPASSO CON SHIRLEY

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2018
130'
Regia: Peter Farrelly
Con: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Don Stark, Sebastian Maniscalco, Tom Virtue.


1962. Tony Lip (Mortensen) è un buttafuori italoamericano dalla spiccata abilità oratoria.
Rimasto temporaneamente senza lavoro, accetta di fare da autista-guardia del corpo al jazzista black Don Shirley (Ali).

Il suo compito è portare il musicista in tour per una serie di concerti.
Peccato che le date siano tutte nel sud del Paese, ossia negli Stati a più alta tensione razziale.

Con sé ha però il "Green Book", una sorta di manuale dove sono elencati gli alberghi e i ristoranti in cui gli afroamericani sono ben accetti...






La vera notizia non è che Green Book abbia vinto 3 Oscar (miglior film, sceneggiatura originale, attore non protagonista), soffiando un po' a sorpresa il riconoscimento più ambito al favoritissimo Roma.
E neppure che alla premiazione il regista (afroamericano) Spike Lee abbia manifestato il proprio disaccordo con una protesta plateale.

Non lo è neppure che Nick Vallelonga - figlio di quel Frank Anthony Vallelonga che ha ispirato il personaggio protagonista - sia stato premiato come sceneggiatore, nonostante la polemica esplosa alla vigilia per un suo precedente tweet anti-islamico (ironia suprema: il co-protagonista Mahershala Ali, a sua volta oscarizzato, è di religione musulmana).

La vera notizia è che 2 delle suddette statuette siano finite nelle mani dell'autore di... Scemo e + Scemo.

Sì, avete letto bene. No, non è un errore.
Peter Farrelly è stato, insieme al fratello Bobby, regista di opere miliari del filone comico-demenziale: oltre alla pellicola con Jim Carrey e Jeff Daniels, ricordiamo anche Tutti Pazzi per Mary, Kingpin e Io, me e Irene.

Che cosa lo abbia spinto a lavorare da "solista", scrivendo, dirigendo e producendo un film agli antipodi dei suoi lavori precedenti rimarrà forse un mistero, ma di certo gli ha procurato un riconoscimento che altrimenti non avrebbe mai avuto.

Green Book è una commedia on the road forse sopravvalutata, ma chiaramente riuscita.
Chi tra i critici l'ha malignamente paragonata ad A Spasso con Daisy ha esagerato: fatta eccezione per la somiglianza dello spunto iniziale (là un autista afro portava in giro una distinta signora bianca, qui un autista bianco porta in giro un raffinato musicista afro), la pellicola vincitrice nel 1990 di una delle edizioni più contestate degli Academy Awards ha poco a che fare con questa.






Mahershala Ali si conferma l'attore black del momento: 2 oscar in 3 anni (nel 2017 era stato premiato per Moonlight, un altro "miglior film" rimasto oscurato dai propri avversari, La La Land in primis).
Con la sua interpretazione asciutta e tormentata ha convinto tutti, meritatamente.

Che cosa non torna è perché non abbia vinto un Oscar pure Viggo Mortensen: senza nulla togliere ad Ali, è lui il vero motore del film.
Dimenticate Il Signore degli Anelli: inevitabilmente invecchiato e visibilmente ingrassato per il ruolo, l'attore ruba quasi sempre la scena al blasonato collega.

Il suo Tony è un personaggio che non si dimentica: Viggo gli conferisce una simpatia e uno spessore rari, grazie a un'interpretazione istrionica e sottile che avrebbe meritato ben più di una semplice nomination.
Che ridere, poi, sentirlo parlare in italiano!

A proposito: consigliamo assolutamente la visione del film in lingua originale.
La versione italiana è purtroppo inficiata da un doppiaggio goffo che non riesce a rendere le sfumature verbali dell'originale.

Tra i ruoli di supporto, vale la pensa menzionare la sempre bella Linda Cardellini (E.R.-Medici in Prima Linea, Avengers: Age of Ultron).
La sua prova, breve ma incisiva, si dice abbia mosso Nick Vallelonga fino alle lacrime.

Green Book forse non è il miglior film del 2018, ma le ragioni per vederlo - e apprezzarlo - non mancano di certo.
Sedetevi sul retro dell'auto insieme a Don e lasciatevi portare da Tony attraverso l'America.

Le storie che potrebbe raccontarvi e le avventure che potrebbe farvi vivere sono davvero singolari.




Etichette: , , , , , , , , , , , , , ,

venerdì 1 marzo 2019

OSCAR 2019. NON TUTTE LE STRADE PORTANO A ROMA

Dall'alto: la premiazione di Green Book; gli attori premiati: Rami Malek, Olivia Colman, Regina King, Mahershala Ali; indovinate quanti Oscar ha vinto personalmente Alfonso Cuarón...; Lady Gaga e Bradley Cooper cantano Shallow durante la cerimonia; l'omaggio a Freddie Mercury durante l'esibizione dei Queen.


Cosa resterà di questa edizione numero 91 degli Academy Award?

Certamente lo spettacolo offerto sul palco dai musicisti: in una cerimonia senza presentatore e numeri comici, a dominare la scena sono stati i Queen - che hanno voluto omaggiare il loro iconico frontman Freddie Mercury e hanno caricato il pubblico con We Will Rock You e We Are The Champions (molto appropriato) - e Lady Gaga - che ha eseguito una struggente e intensa Shallow in coppia con Bradley Cooper (la loro esibizione è stata accolta dall'unica standing ovation della serata).

La band inglese ha assistito al successo (molto contestato dai critici, ma molto ben accolto dal popolo dei social) di Bohemian Rhapsody, che si è aggiudicato il maggior numero di statuette, 4 - miglior attore protagonista (l'effettivamente ottimo Rami Malek), miglior montaggio (un tantinello esagerato), miglior sonoro, miglior montaggio sonoro.

La cantautrice italo-americana, invece, ha vinto la (meritatissima) statuetta per la migliore canzone, unico riconoscimento al pur notevole A Star Is Born.

Non ce l'ha fatta, però, come migliore attrice protagonista: la vittoria è andata a sorpresa a Olivia Colman, ottima regina Anna nel dramma in costume The Favourite-La Favorita (10 nomine, 1 solo Oscar: questo), che è riuscita a superare pure Glenn Close, data per vincente alla vigilia grazie al Golden Globe precedentemente conquistato.
Per la serie: "tra i due litiganti il terzo gode"...






La sempre brava veterana di Hollywood ha perso pure questa volta - la settima!
La sta "raggiungendo" Amy Adams: 6 candidature, ma anche per lei "zero tituli".

Questa volta a batterla è stata Regina King (If Beale Street Could Talk), mentre Mahershala Ali ha vinto il suo secondo Academy Award (il primo è stato nel 2017 per Moonlight).
I due si sono imposti come attori non protagonisti, ma ci sembra che la tanto democratica Academy abbia relegato gli attori di colore - in genere scarsamente presenti tra i protagonisti - a queste categorie "secondarie" per poi farli vincere, come per dare alla comunità afro-americana un contentino.

Chissà se l'attivista Spike Lee ci ha mai pensato.

Il regista di Fa' La Cosa Giusta ha comunque vinto il suo primo Oscar - senza contare quello alla carriera preso nel 2016 - per la sceneggiatura non originale di BlacKKKlansman, ma ha fatto parlare di sé soprattutto per la sua plateale protesta contro la vittoria di Green Book come miglior film.

La pellicola diretta da Peter Farrelly (uno dei due fratelli campioni della commedia demenziale: basti citare Scemo & + Scemo, Tutti Pazzi Per Mary, Io, Me & Irene) ha incontrato i gusti dei membri dell'Academy, che hanno preferito i toni blandi e leggeri di una storia di amicizia tra un raffinato musicista nero e il suo grezzo autista italo-americano ad opere più impegnative e/o schierate politicamente e/o controverse.

I critici vi si sono scagliati contro, paragonandolo ad altri due vincitori dell'Oscar per il miglior film, A Spasso Con Daisy di Bruce Beresford (1990; sinceramente, il meno memorabile tra i candidati, che erano Il Mio Piede Sinistro di Jim Sheridan, Nato Il 4 Luglio di Oliver Stone, L'Uomo Dei Sogni di Phil Alden Robinson e soprattutto il capolavoro L'Attimo Fuggente di Peter Weir) e Crash di Paul Haggis (2006, l'anno di I Segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee, ma anche di Munich di Steven Spielberg, Truman Capote: A Sangue Freddo di Bennett Miller e Good Night And Good Luck di George Clooney).
Due pellicole generalmente considerate mediocri - se non addirittura brutte - e comunque non meritevoli di ricevere il riconoscimento più importante dell'industria cinematografica.

Su Green Book ognuno può farsi la propria opinione; di certo esso è riuscito a imporsi sul favorito della vigilia, quel Roma già Leone d'Oro a Venezia e a tutti gli effetti vero vincitore morale di questa edizione degli Academy Award.






Il capolavoro in bianco e nero di Alfonso Cuarón sarebbe stato il primo prodotto Netflix ad affermarsi nella categoria principale e il primo ad aggiudicarsi il titolo di miglior film straniero (è in lingua spagnola) e film tout court, ma forse un'ultima mancanza di coraggio da parte dei votanti gli ha impedito di fare la storia.

In particolare, nonostante non abbia vinto il premio più ambito - possiamo dire, però, che l'ha praticamente sfiorato - il vero protagonista della Notte delle Stelle è stato proprio il regista messicano, che di persona si è portato a casa tutte le statuette vinte dalla sua opera: miglior film straniero, migliore fotografia e migliore regia.

Insomma, la favola dei "Tre Amigos" continua: Alejandro G. Iñárritu, Guillermo del Toro e lo stesso Cuarón sono stati premiati come migliori registi complessivamente 5 volte nelle ultime 6 edizioni!
Il primo per Birdman e The Revenant rispettivamente nel 2015 e 2016, il secondo lo scorso anno grazie a The Shape of Water, il terzo nel nel 2014 con Gravity e di nuovo adesso con Roma.

L'unico ad aver interrotto questo "mexican power" era stato Damien Chazelle con La La Land, due anni or sono.
Il giovane regista quest'anno concorreva nelle retrovie con il sottovalutatissimo First Man, che però si è aggiudicato a sorpresa gli effetti speciali battendo l'epico Avengers: Infinity War.

La Marvel può comunque consolarsi con Black Panther: non avrà vinto come miglior film, però ha incassato costumi, colonna sonora, scenografia.
Ma anche con Spider-Man: Into the Spider-verse, cartone animato che ha battuto a mani basse Gli Incredibili 2 della Pixar.
Ci intriga molto: speriamo di recensirlo presto per voi.

Anche Vice, biopic su Dick Cheney, che aveva un bel po' di nomine, ha vinto qualcosa (per il trucco).

Insomma, si è voluto premiare un po' tutti... scontentando un po' tutti.

Continuate a seguirci: a breve parleremo di alcuni dei film che ci hanno maggiormente colpito di questa edizione (altri li abbiamo già recensiti: andate a rileggervi i post!).




Etichette: , , , , , , , , , , , , , ,