CINEMA A BOMBA!

mercoledì 27 gennaio 2021

I CORTI: DOWNFALLS HIGH, LE (DIS)AVVENTURE DI ROM-EMO & PUNKIETTA

(Clicca sull'immagine per vedere il corto)  

USA, 2020
45'
Regia: Machine Gun Kelly e Mod Sun
Con: Sydney Sweeney, Chase Hudson, Iann Dior, Trippie Redd, Blackbear, Mod Sun, Machine Gun Kelly, Travis Barker.


Fenix (Hudson) è un ragazzo introverso e solitario, con un inespresso talento musicale.
Scarlett (Sweeney) è una ragazza carina e popolare, ma più insicura di quel che mostra agli altri.

Entrambi frequentano il liceo Downfalls High: si incontrano, iniziano a conoscersi e si innamorano.
Ma la loro storia non sarà tutta rose e fiori.



Per chi non lo sapesse, Tickets To My Downfall è stato l'album dell'anno appena trascorso.

Realizzato dall'ex (t)rapper convertitosi al pop-punk Machine Gun Kelly, ha dominato le classifiche di vendita e si è rivelato terribilmente influente (grazie anche alla partecipazione di Travis Barker, batterista dei Blink-182).

Chiaro quindi che, nel momento in cui il biondo cantante ha annunciato le riprese di un film ad esso ispirato, l'hype fosse alle stelle.

Kells l'ha scritto, diretto e girato in soli 4 giorni insieme all'amico e collega Mod Sun, riservando a Travis e a se stesso il ruolo di narratori.

In un certo senso, Downfalls High si può considerare come l'anti This Mess.



Se là il "cantattore" Tyler Posey usava l'espediente della fiction - in quel caso un horror con risvolti umoristici e grotteschi - per veicolare comunque il lancio di un singolo, qui le canzoni del disco sono l'humus dell'intero film.

Ciò non toglie che i momenti migliori del corto siano proprio quelli musicali, con MGK e Travis che ripropongono i brani dell'album in scatenate versioni live.

Non ci sarebbe da stupirsi se un giorno questa breve pellicola venisse trasformata in uno spettacolo Off-Broadway.

I cinefili più accaniti possono divertirsi a scovare tutti i riferimenti più o meno espliciti: da Rock'n'Roll High School (il concetto di musical "punk") a Clueless-Ragazze a Beverly Hills (l'outfit giallo della protagonista).
Per non dire del liceo (fittizio), che assomiglia molto a quello di Yoga Hosers.

Chi ha apprezzato Tickets To My Downfall troverà questo cortometraggio imperdibile.
A tutti gli altri consigliamo comunque una visione.


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domenica 24 gennaio 2021

WONDER WOMAN 1984, LA MERAVIGLIA È TORNATA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2020
151'
Regia: Patty Jenkins
Con: Gal Gadot, Chris Pine, Kristen Wiig, Pedro Pascal, Robin Wright, Connie Nielsen, Lynda Carter.


1984. Sono passati alcuni decenni dagli eventi narrati nel primo Wonder Woman.
Diana (Gadot) vive da anni come ricercatrice a Washington, DC.

Ancora in lutto per la morte eroica dell'amato Steve (Pine), si risveglia dalla propria catatonia sociale quando la sua collega nerd Barbara (Wiig) inizia a studiare un antico cristallo.

Trattasi di un potentissimo manufatto in grado di trasformare i desideri in realtà.
I problemi iniziano quando il faccendiere/imbonitore Max (Pascal) ne scopre l'esistenza e ci mette gli occhi sopra...



2013: L'Uomo d'Acciaio.
2016: Batman v Superman e Suicide Squad.
2017: Wonder Woman e Justice League.
2018: Aquaman e Shazam!
2020: Birds Of Prey.

Il DC Extended Universe (o DCEU) - l'interconnesso universo cinematografico diretto concorrente del Marvel Cinematic Universe - soffre da sempre di una vertiginosa altalena qualitativa.

Per questo il ritorno della bruna amazzone, il cui precedente capitolo era stato riconosciuto dalla critica unanime come un capolavoro (noi stessi lo avevamo inserito nella Top 10 dei migliori film del decennio), ha creato un'enorme aspettativa.

Il successo commerciale non si è fatto attendere: Wonder Woman 1984 ha polverizzato in un lampo il record di utenze sulla piattaforma streaming della HBO e - considerata la pandemia in atto - si sta rivelando un trionfo al botteghino.



Un'accoglienza ben più tiepida è arrivata invece dalla stampa specializzata: molti hanno apprezzato la spettacolarità, i riferimenti affettuosi agli anni 80 (a tratti sembra Stranger Things senza mostri) e la carismatica presenza della sempre splendida Gal Gadot, ma criticato la scarsa originalità, l'eccesso di cliché e l'interpretazione poco convincente di Kristen Wiig.

Giudizio che condividiamo solo in parte.
Come avevamo intuito recensendone il trailer, WW84 è una delle pellicole dell'anno: epica, commovente, straordinariamente umana e umanista.

"Wonder" Gadot è da Oscar: la diva israeliana - pagata 33 volte di più rispetto al primo film! - si carica l'intero lungometraggio sulle spalle e illumina di un'aurea dorata ogni sequenza in cui appare, spremendo ogni goccia del proprio talento atletico e recitativo.
Che piaccia o meno, è lei l'attrice del momento.

Chris Pine si ritaglia invece il ruolo di (geniale) spalla comica: le sue scenette con Gal sono i momenti più genuinamente divertenti.
Peccato solo che compaia relativamente poco.



Per quanto concerne i cattivi, Pascal batte la Wiig 3 a 0.
Per la sua interpretazione dell'avido Maximilian Lord, il protagonista di The Mandalorian si è basato sul Michael Douglas di Wall Street, che a sua volta aveva già ispirato Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street.
Una performance molto sopra le righe, alla Nicolas Cage, che mette in ombra quella della sua collega, inficiata da un personaggio troppo poco a fuoco.

Da segnalare anche un cammeo da applausi: quello post-credits di Lynda Carter, la Wonder Woman della serie tv degli anni 70 che in anni recenti avevamo già rivisto in un episodio di Supergirl.

Sulla prevedibilità dell'intreccio narrativo ci pare ingiusto esprimere un giudizio negativo: pur sempre di un film supereroistico si tratta.
Anche perché il difetto è ampiamente bilanciato dalla scattante direzione di Patty Jenkins, probabilmente la migliore regista in circolazione dopo Kathryn Bigelow.

In attesa di rivedere la nostra eroina preferita nell'attesissimo Zack Snyder's Justice League, possiamo rallegrarci di questo ritorno di forma delle produzioni DC/Warner.

Bentornata Diana.
Bentornato Snyderverso.


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giovedì 21 gennaio 2021

QUELLA NOTTE A MIAMI-ONE NIGHT IN MIAMI..., I 4 CAMPIONI DEL POTERE NERO

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 


USA, 2020
110'
Regia: Regina King
Interpreti: Kingsley Ben-Adir, Eli Goree, Aldis Hodge, Leslie Odom Jr., Lance Reddick, Michael Imperioli, Beau Bridges, Jeremy Pope.


25 Febbraio 1964.

Nella spartana stanza di un motel di Miami si incontrano Cassius Clay (Goree), che è appena diventato campione del mondo dei pesi massimi di pugilato; l'attivista Malcolm X (Ben-Adir), che sta rompendo con l'organizzazione politico-religiosa Nation of Islam; il campione di football Jim Brown (Hodge), in procinto di iniziare un carriera nel mondo del cinema; Sam Cooke (Odom Jr.), cantante e produttore musicale di successo.

Tutti e 4 sono accomunati dal fatto di essere afro-americani e di essere famosi.


Che notte, quella notte!

Una notte in cui essi ridono, scherzano, litigano, si confrontano su cosa vuol dire avere la pelle nera nella società occidentale e su come essere un riferimento per le persone di colore - loro, che eccellono nei rispettivi campi e che, con l'eccezione del leader politico, sono riusciti ad ottenere la benevolenza dei bianchi - anche se non il rispetto.

Peccato solo che questo incontro non ci sia mai stato.

Regina King, che da attrice aveva vinto un meritato Oscar nel 2019, per il suo esordio dietro alla macchina da presa, attinge ad una pièce teatrale di Kemp Power, che di questo film ha curato anche la sceneggiatura.

L'artifizio letteraio è funzionale per una profonda riflessione sull'essere neri, sulle lotte per i diritti civii, sul razzismo, sull'impegno, sul potere dell'esempio.

L'ambientazione è negli anni Sessanta, ma è ancora attuale.

I quattro protagonisti sono giovani, sono bravi, hanno successo, sono belli; ma questo non basta - o almeno non basta mai, se hai il colore della pelle "sbagliato".

Il successo, infatti, è limitato (per Clay, Brown e Cooke) ai campi sportivo e musicale, cioè nei soli campi in cui un nero poteva farsi strada, pur tra mille difficoltà e diffidenze.

Malcolm X intraprende invece un percorso diverso, più militante, insidioso e scomodo - e questo infatti , di lì a un anno, gli costerà la vita.


C'è una calda atmosfera di complicità tra i personaggi, ma anche un velo di rimpianto su quello che avrebbe potuto essere se quella notte fosse stata veramente vissuta.

One Night In Miami tradisce l'impianto teatrale che ne è alla base, ma Regina King riesce comunque a renderlo vibrante e intenso, grazie ad una promettente abilità registica e alla chimica tra i quattro protagonisti, non famosissimi ma molto bravi.

Hodge è un volto noto; Goree è stato tra i protagonisti della serie Tv The 100; Odom Jr. ha recitato nel fortunato musical di Broadway Hamilton (sia nella versione teatrale che in quella cinematografica); Ben-Adir lo abbiamo visto invece nella serie Peaky Blinders.

L'affiatamento del quartetto è la cosa migliore della pellicola, che già all'esordio alla Mostra del Cinema di Venezia 2020 (dove era presente fuori concorso) aveva raccolto reazioni positive - se non proprio entusiastiche - e che ora si spera possa avere anche un buon riscontro di pubblico sulla piattaforma di streaming Amazon Prime, dato che le sale sono ancora chiuse per l'emergenza Covid-19.

Ci auguriamo che Regina King continui così: che fosse un'attrice talentuosa, si sapeva già; ora scopriamo che è pure una regista con dei numeri.

Brava!



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sabato 16 gennaio 2021

MANK, F COME FINCHER

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 



USA, 2020
131'
Regia: David Fincher
Interpreti: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Charles Dance, Arliss Howard, Tom Pelphrey, Ferdinand Kingsley, Tuppence Middleton, Tom Burke


Chi è Mank, diminutivo di Herman J. Mankiewicz? 

È il fratello di Joseph Mankiewicz - regista che ha vinto due Oscar consecutivi, come solo John Ford prima di lui e Alejandro González Iñárritu dopo di lui - e colui che ha vinto insieme ad Orson Welles l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale per il capolavoro Quarto Potere nel 1942.

È uno scrittore e drammaturgo brillante, ben pagato, ma paradossalmente sottoutilizzato in pellicole di secondo piano.

È un uomo di mondo brillante e caustico, disincantato e sardonico.

È un uomo sposato che vagheggia di amori con donne impossibili - amori che rimangono comunque platonici, anche per sua scelta.

È un uomo che annega nell'alcool, ma che cerca di galleggiare in quel mare di corruzione, potere, ingiustizia, sogni interrotti, illusioni che è Hollywood.



Mank è colui che David Fincher si è ripromesso di vendicare.

Basandosi su uno script di Jack Fincher (suo padre), a sua volta ispiratosi ad un articolo della critica cinematografica Pauline Kael, egli sposa la teoria secondo la quale la sceneggiatura di Quarto Potere, da moltissimi critici esaltato (secondo noi non a torto) come il miglior film di tutti i tempi (sebbene non sia stato un successo al botteghino, ai tempi), sia quasi esclusivamente farina del sacco di Mankiewicz, mentre l'apporto del tanto osannato Orson Welles di fatto si ridurrebbe a pochi interventi.

Welles, con la sua personalità strabordante, avrebbe messo in ombra così lo sceneggiatore, che sarebbe poi scivolato nell'oblio.

In questo racconto di potere, creatività, arte reso affascinante da una regia esperta che sa ricreare sapientemente l'atmosfera hollywoodiana degli anni Trenta e Quaranta, da una fotografia in bianco e nero fascinosa (di Erik Messerschmidt), dalla colonna sonora suggestiva di Trent Reznor e Atticus Ross, da un cast di ottimi attori - tra i quali spiccano un impressionante Gary Oldman (che, è bene ricordarlo, ha vinto il suo primo Oscar solo nel 2018) e la brava Amanda Seyfried (ve la ricordate in Les Misérables?) - c'è però qualcosa che non va.

Chi ha letto libri, articoli, interviste su Quarto Potere, chi lo ha visto e chi ha visto i film successivi di Orson Welles (L'Orgoglio degli Amberson, Macbeth, Otello, L'Infernale Quinlan, F come Falso, autentici capolavori), non può negare quanto del regista ci sia nella sua opera più famosa.

Se è vero infatti che il protagonista, il magnate Charles Foster Kane, è calcato principalmente (ma non esclusivamente, occorre notare) sul ricchissimo e potente tycoon William Randolph Hearst - che difatti aveva poi intrapreso una violenta campagna denigratoria e legale contro la pellicola - che Mankiewicz conosceva bene, è altrettanto vero che Welles gli ha dato il proprio corpo, il proprio carattere, la propria ambizione smisurata, il proprio egocentrismo e ha utilizzato elementi autobiografici per costruirne la vicenda umana.

Fincher, che pure ha al suo attivo alcuni tra i film più rappresentativi degli ultimi anni, come Se7en, Fight Club, Panic Room, Zodiac, Il Curioso Caso di Benjamin Button, The Social Network, Gone Girl, sminuisce Welles e il ruolo che ha avuto nella genesi di Quarto Potere (significativo anche il poco spazio in cui compare l'attore che lo rappresenta, Tom Burke) e lo ha fatto anche in diverse interviste, mettendo in discussione pure il suo ruolo di innovatore del linguaggio cinematografico.

Ma non tenere conto del contributo del regista è disonesto e fuorviante e secondo noi si ritorce contro lo stesso Fincher: alla luce di questo gelido, calcolato, meditato furore iconoclasta, Mank suona falso, bugiardo, livoroso, parziale, incompleto.

Senza contare che l'articolo di Pauline Kael, alla base dello script del film, era già stato ampiamente smentito da più parti.

L'impressione è che Mank sia in realtà più un ingiusto J'accuse nei confronti di Welles che un omaggio ad un artista di talento.

Sono stati fatti numerosi film con protagonisti degli sceneggiatori - a titolo di esempio citiamo gli straordinari Viale del tramonto di Billy Wilder (1950), 8 1/2 di Federico Fellini (1963), Barton Fink dei fratelli Coen (1991), Caro Diario di Nanni Moretti (1993), oltre ai più recenti (e comunque notevoli) Il Ladro di Orchidee di Spike Jonze (2002), Trumbo di Jay Roach (2015).

Tutti molto efficaci nel rendere giustizia ad una figura che nel cinema è fondamentale, ma che spesso è considerata marginale dal grande pubblico.

Anche il buon Mankiewicz ne avrebbe meritato uno per sé.

Più sincero.



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martedì 12 gennaio 2021

I CLASSICI: BIRDS OF PREY, UNO SPAZIO ROSA TRA LE PAROLE "CHE FIASCO"

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2020
109'
Regia: Cathy Yan
Con: Margot Robbie, Ewan McGregor, Mary Elizabeth Winstead, Jurnee Smollett-Bell, Ella Jay Basco, Rosie Perez.


Sono passati alcuni anni dagli eventi raccontati in Suicide Squad.

Harley Quinn (il personaggio interpretato da Margot Robbie, non l'omonima figlia di Kevin Smith) è in crisi per essere stata lasciata dal Joker.

Una serie di circostanze la portano ad allearsi con 4 donne di età ed estrazioni diverse: una poliziotta, una vigilante, una guardia del corpo e una borseggiatrice.

Ad accomunarle tutte la (spiacevole) conoscenza di Black Mask, milionario psicopatico e sadico...



2013: L'Uomo d'Acciaio.
2016: Batman v Superman e Suicide Squad.
2017: Wonder Woman e Justice League.
2018: Aquaman e Shazam!

Prima di poter recensire Wonder Woman 1984 e Zack Snyder's Justice League va ricordato che, nel corso dell'anno da poco conclusosi, c'è stato un ulteriore capitolo del DC Extended Universe (per gli amici DCEU), la risposta della Distinta Concorrenza al Marvel Cinematic Universe (per gli amici MCU).

Benché non ce ne fosse la necessità, qualche executive della Warner Bros ha ritenuto opportuno realizzare uno spin-off di Suicide Squad, ma virato in rosa (sono donne la regista, la sceneggiatrice e quasi tutto il cast), così da sfruttare l'onda di movimenti come il #MeToo.

Ma l'universo femminile e femminista merita di più di Birds of Prey.
Si pensi ad esempio a Bombshell o - per rimanere ben più vicini - a Wonder Woman, potenti ed espliciti manifesti sull'emancipazione e il diritto al rispetto del proprio sesso.



Questo film è invece un pastrocchio, tanto da essersi rivelato un fiasco di critica e di pubblico.
Sotto accusa è finita soprattutto l'inconsistente sceneggiatura di Christina Hodson (Bumblebee), ma pure la regia della semi-esordiente Cathy Yan è parsa inadeguata (per dire, Patty Jenkins è un'altra cosa).

Il problema è che il risultato finale assomiglia ad una versione DC di Ghostbusters (il contestatissimo remake al femminile, non il classico originale del 1984): non diverte, tanto meno appassiona, e alla fine ci si chiede perché sia stato girato.

Margot Robbie fa quel che può, ma alla sua Harley Quinn hanno tolto di proposito gran parte del proprio sex appeal, che è un po' come togliere a Superman la capacità di volare o al Joker la risata maniacale.
L'oggettivazione del corpo femminile non c'entra proprio nulla: il potere seduttivo è una caratteristica fondamentale del personaggio, privargliene significa snaturarlo.

La bionda attrice di The Wolf of Wall Street e C'era una Volta... a Hollywood, che negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi un posto di rilievo nello star system, risulta qui un po' sprecata.
Speriamo di rivederla presto in ruoli e film maggiormente all'altezza del suo talento.



Protagonista a parte, l'unico altro personaggio con un minimo di spessore e interesse è la Cacciatrice di Mary Elizabeth Winstead, già vista nel "fumettoso" Scott Pilgrim vs. The World.
Il resto del cast annaspa e/o rimane sullo sfondo, compreso il "cattivo" Ewan McGregor.

L'ex Obi-Wan Kenobi ha detto di essersi ispirato a Donald Trump per la sua interpretazione, ma per tutto il tempo sembra invece fare una brutta imitazione di Sam Rockwell in Iron Man 2.
Fuori parte.

Tra un montaggio confusionario e lampi di violenza belluina gratuita, si salvano giusto gli sparuti riferimenti alle precedenti pellicole del DCEU (per tacere della scena in cui la Robbie distrugge la fabbrica di prodotti chimici, che addirittura potrebbe essere un omaggio al primo Batman).

E adesso?
Un seguito di questo film o un'altra pellicola "solista" di Harley Quinn a questo punto sarebbero improbabili e poco auspicabili.
Si sa già che Suicide Squad godrà invece di un soft reboot firmato da James Gunn, il regista-sceneggiatore dei Guardiani della Galassia.

Un'altra "marvellizzazione", simile a quella operata da Joss Wheadon con Justice League, che tante polemiche aveva suscitato tra i fan?

Solo il tempo ce lo dirà.
Nel frattempo, auguriamo al DC Extended Universe un futuro rosa, ma più... roseo.


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