OSCAR 2021. LA NOTTE DEI GUASTAFESTE
Dall'alto: Frances McDormand e Chloé Zhao; Joaquin Phoenix in procinto di annunciare l'Oscar per il miglior attore protagonista; Emerald Fennell con la statuetta per la migliore sceneggiatura originale.
L'Academy of Motion Picture Arts And Sciences, l'organizzazione professionale che attribuisce ogni anno i Premi Oscar, non è nuova a figuracce epiche.
Nel 2017 l'Oscar come miglior film venne attribuito prima al bellissimo La La Land poi, con un clamoroso e imbarazzato dietrofront, a Moonlight.
Quest'anno, dalle parti di Hollywood, ci si aspettava l'Oscar a Chadwick Boseman, per la sua ultima interpretazione (in Ma Rainey's Black Bottom), e tutto era stato predisposto per un tributo postumo al popolare protagonista di Black Panther: dalla chiusura del filmato dedicato ai morti del mondo del cinema degli ultimi mesi - ricordiamo soltanto Ennio Morricone, Giuseppe, Rotunno, Sean Connery, Max von Sydow, Ian Holm, Olivia de Havilland, Christopher Plummer, Carl Reiner, Kim Ki-duk, Michel Piccoli, Michael Apted - alla chiusura della stessa cerimonia, con la premiazione del miglior attore protagonista (categoria dov'era candidato Boseman) anziché del miglior film (come vuole la tradizione).
La narrazione strappalacrime del giovane nero che riesce a vincere una meritata statuetta dopo la sua tragica morte si è però schiantata contro Sir Anthony Hopkins.
Il grande interprete gallese, bianco di pelle e di capelli, ha sbaragliato la concorrenza e a 83 anni è diventato l'attore più anziano ad aggiudicarsi una statuetta, grazie alla sua magistrale prova in The Father.
Non essendo egli presente a ritirare il premio, la regia della cerimonia ha tagliato corto immediatamente dopo la proclamazione e non si è neppure collegata a distanza con il vincitore - che con molto fair play il giorno successivo ha risposto allo sgarbo con un video di ringraziamento rivolto all'Academy e di apprezzamento per Boseman.
Subito prima di Hopkins una scarmigliata Frances McDormand si era aggiudicata la categoria della migliore attrice (per Nomadland), vanificando già in parte quello che avrebbe dovuto essere il trionfo della nuova Hollywood più inclusiva: si ha avuto il sospetto (fondato) che la scaletta fosse stata pensata per far terminare il tutto con la premiazione di ben 3 attori neri - Daniel Kaluuya (dato per certo tra i non protagonisti - e infatti alla fine è stato premiato), Viola Davis (tra le favorite come attrice protagonista) e il rimpianto Boseman (anche in questo caso, vincitore molto probabile).
La coreana Yoon Yeo-jeong, poi in effetti migliore attrice non protagonista, sarebbe stata la classica ciliegina sulla torta.
Le vittorie - pur strameritate - di Hopkins e McDormand hanno quindi rovinato la festa agli organizzatori della cerimonia, che avevano in mente un finale, un climax e un pathos ben diversi.
L'impressione che ha lasciato la serata è stata di un pasticcio, di un patetico tentativo di far vedere quanto il mondo del cinema stia cambiando e migliorando (?), dopo le accuse di pochissimi anni fa in merito ai cosiddetti Oscars so white, cioè di snobbare attrici, attori, registi non bianchi e non di lingua inglese.
L'affermazione dei due antidivi ci ha quindi evitato, almeno per quest'anno (ma non siamo tanto ottimisti sui prossimi), un profluvio di melassa e di stucchevole politamente corretto.
Questo sgradevole senso di ipocrisia ha rovinato una premiazione che comunque ha mostrato spunti interessanti.
Detto di attrici e attori, i due riconoscimenti più importanti se li è aggiudicati (e ne siamo contenti) Nomadland, che già aveva vinto Leone d'Oro a Venezia (come The Shape of Water. Non smetteremo di ripeterlo: la Mostra porta bene a chi ha ambizioni da Oscar!) e Golden Globe, opera seconda della sino-americana Chloé Zhao, che è diventata (solo) la seconda donna ad essersi aggiudicata la statuetta per la migliore regia (dopo Kathryn Bigelow, nel 2010, per The Hurt Locker).
Curiosità: la statuetta per il miglior film è andata anche a McDormand, produttrice, che così, aggiunge i due Oscar vinti nella serata agli altri due che ha già in casa (per Fargo nel 1997 e per Tre Manifesti a Ebbing, Missouri nel 2018) ed eguaglia quindi il marito Joel (uno dei fratelli Coen).
Una coppia da 8 Oscar!
Due esordienti si sono invece aggiudicati i riconoscimenti per le sceneggiature.
Emerald Fennell, nota al pubblico televisivo come Camilla Parker Bowles nella serie Tv The Crown, si è imposta per quella originale con Promising Young Woman-Una Donna Promettente, divisiva sua opera d'esordio dietro alla macchina da presa; anche il francese Florian Zeller è alla sua prima regia e all'adattamento in lingua inglese della sua opera teatrale The Father ha lavorato fianco a fianco con il veterano Christopher Hampton.
Sfumato il premio a Viola Davis e Chadwick Boseman, Ma Rainey's Black Bottom si è dovuto accontentare di due riconoscimenti, per costumi e trucco (in entrambi i casi ha battuto il Pinocchio di Matteo Garrone), così come Sound of Metal (montaggio e sonoro), Mank (partito con ben 10 nomine, ha preso solo scenografia e fotografia), Judas and the Black Messiah (Kaluuya non protagonista e migliore canzone, categoria nella quale ha battuto la nostra Laura Pausini), Soul (film d'animazione e colonna sonora).
Il danese Un Altro Giro di Thomas Vinterberg è il miglior film internazionale; Tenet ha i migliori effetti speciali; My Octopus Teacher è il miglior documentario, mentre il corto documentario dell'anno è Colette; lo struggente If Anything Happens, I Love You è il miglior corto animato, mentre il miglior cortometraggio è l'angosciante Two Distant Strangers.
Sono rimasti purtroppo a bocca asciutta, tra gli altri, One Night in Miami (3 nomination, era dato in piena corsa per la migliore canzone), News of The World (western con Tom Hanks da 4 nomine) e soprattutto Il Processo ai Chicago 7 di Aaron Sorkin (6 candidature, neppure un riconoscimento).
Ma in una cerimonia così disastrosa (anche dal punto di vista dello share televisivo, mai così basso) quasi nessuno se n'è accorto - e forse è meglio così.
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