CINEMA A BOMBA!

giovedì 30 gennaio 2025

A COMPLETE UNKNOWN, BOB DYLAN DA PROFETA A GIUDA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA, 2024
140'
Regia: James Mangold
Interpreti: Timothée Chalamet, Edward Norton, Monica Barbaro, Elle Fanning, Dan Fogler, Boyd Holbrook.


Si racconta la prima parte della carriera di Bob Dylan, all'inizio degli anni 60: dagli esordi folk nel Greenwich Village, passando per la rapidissima ascesa a (riluttante) "voce di una generazione", fino alla controversa svolta rock di Newport che divise i suoi fan.

In mezzo ci sono le sue burrascose relazioni: con colleghi, manager, ragazze (l'italoamericana Suze Rotolo, che qui si chiama Sylvie Russo, e la cantautrice Joan Baez) e il proprio pubblico.


A James Mangold devono piacere i biopic sui musicisti famosi: anni fa girò Walk the Line su Johnny Cash, stavolta ha alzato il tiro occupandosi addirittura di un mostro sacro come Bob Dylan.
Cash - amico di Dylan - compare anche qui, ma anziché dal premio Oscar Joaquin Phoenix stavolta è interpretato - piuttosto bene - da Boyd Holbrook.

L'attore di The Sandman non è l'unico a meritare elogi: complici trucco e costumi, l'abilità mimetica del cast è stupefacente.
E se le interpreti femminili - per quanto brave - in verità non assomigliano moltissimo alle loro controparti reali (specie Fanning/Rotolo), Norton nei panni di Pete Seeger e Chalamet come Dylan lasciano a bocca aperta.

Il protagonista di Dune e Wonka non solo ha una buona somiglianza con Bob da giovane, ma si capisce che lo ha studiato a fondo: imita alla perfezione il suo modo di parlare e camminare, la sua postura, le sue espressioni facciali.
E canta esattamente come lui.

Qui sta il bello: gli attori nel film non solo cantano davvero, ma riecono pure a farlo copiando lo stile vocale dei personaggi!
Le canzoni, benché in versioni un po' scorciate, vengono proposte per intero e sono così frequenti che la pellicola potrebbe quasi essere catalogata come un musical.

Il regista di Logan e di Indiana Jones 5, anche co-sceneggiatore, si concentra sulla parte personale e artistica di Bob, trascurando quella socio-politica: si vede il protagonista diventare il riferimento della scena folk, ma non - come nella realtà - anche del contiguo movimento dei diritti civili.

Grazie anche ad un'accurata ricostruzione storica (ottimi costumi e scenografie), ci troviamo di fronte a uno dei film dell'anno, con un Chamalet magistrale che ha già le mani sull'Oscar, al netto della proverbiale miopia dell'Academy.

Rimane intatto il "mistero Dylan" che il film non cerca neppure di scalfire molto: un personaggio contraddittorio ed enigmatico, amato e odiato in maniera altrettanto esagerata, capace però col proprio genio compositivo di cambiare la storia della musica (e non solo: è l'unica persona ad aver vinto il premio Oscar, il premio Pulitzer e persino il premio Nobel alla letteratura!).

Un uomo che, nonostante la fama e il valore del proprio contributo artistico, per il grande pubblico risulta ancora oggi - come esplicitato dal titolo - "un completo sconosciuto".


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sabato 25 gennaio 2025

DAVID LYNCH. L'UOMO DEI SOGNI

David Lynch durante le riprese dell'ultima stagione di Twin Peaks.  


David Lynch è morto.
Una perdita incommensurabile per il mondo del cinema - è stato uno dei migliori e più importanti cineasti di tutti i tempi - e non solo.

Classe 1946, originario di Missoula (Montana), King David era l'ultimo Uomo del Rinascimento.
Dei suoi film era regista, sceneggiatore, produttore, sound designer, ma occasionalmente anche attore (pure per conto terzi: solo un paio di anni fa aveva interpretato John Ford in The Fabelmans di Steven Spielberg), direttore di fotografia, montatore, compositore.

Per non parlare dei suoi lavori extra-cinematografici: era un apprezzato pittore, fotografo, arredatore, vignettista; aveva realizzato alcuni dischi musicali, prima come produttore e paroliere, poi come musicista d'avanguardia, infine come cantautore sui generis; aveva aperto un esclusivo club a Parigi e fondato un'associazione di grande successo che promuove la meditazione trascendentale.

Fu tra i primi cineasti di successo a intuire le potenzialità dell'allora "snobbatissimo" mezzo televisivo, cambiando le regole del gioco col seminale serial Twin Peaks, un cult ancora oggi, a distanza di 35 anni.
Apprezzatissimo in Europa, ma Hollywood - che era diventata la sua casa - non lo capì mai davvero: vinse la Palma d'Oro a Cannes (dove fu insignito 2 volte anche come miglior regista) e il Leone d'Oro a Venezia (alla carriera), ma non ottenne mai un Oscar, nonostante diverse candidature.

Si dice che Fellini girasse film ispirati ai propri sogni; Lynch invece metteva in immagini i propri incubi, e li condivideva col mondo.
Le sue pellicole erano quasi sempre così ermetiche da risultare incomprensibili, ma lui non ci badava: dirigeva film come un pittore dipinge quadri, incurante del significato, ma interessatissimo alla reazione che avrebbero suscitato negli spettatori.

Vi lasciamo qui sotto la sua filmografia principale con le nostre recensioni, consci che non basteranno a definire la grandezza della sua opera, unica nella storia del cinema.
Grazie di tutto, David.


Eraserhead (1977)

 
Un uomo dai capelli ritti (Jack Nance) rimane sconvolto quando la sua ragazza partorisce un esserino mostruoso.

Impossibile raccontare per esteso la trama dell’opera prima di David Lynch, girata tra mille difficoltà con un budget minimo: si tratta per lo più di scene criptiche e oniriche che creano angoscia e disagio, metaforizzando la paura della paternità.

Espressionista, con una fotografia sgranata in bianco e nero, divenne il film preferito da Stanley Kubrick e un piccolo cult nei cinema d’essai.
Delirante, ma già “lynchiano” al 100%.


The Elephant Man (1980)

 
Un uomo deforme ma dall’animo gentile (John Hurt) viene portato via da un circo da un medico (Anthony Hopkins) che fa di tutto per farlo diventare un gentiluomo inglese.

Dopo diversi cortometraggi e lo sperimentale Eraserhead, David firma la sua prima regia importante sotto l’ala del produttore Mel Brooks (sì, proprio quello di Frankenstein Junior!).

Ispirato ad una storia vera, il film è l’occasione per il regista di mostrare talento e sensibilità raccontando la vicenda di un “diverso” migliore di tanti “normali”.

Buoni sentimenti sì, sentimentalismo no.
Ebbe numerose nomination agli Oscar, comprese quelle per miglior film e regia.


Dune (1984)

 
Durante una guerra intergalattica tra due casate rivali, un giovane duca (Kyle MacLachlan) diventa la guida di un popolo misterioso che vive nel desertico pianeta Dune difendendo una potente spezia.

Tratto dall’omonima saga letteraria cult di Frank Herbert e sceneggiato dallo stesso Lynch, è un film atipico per il regista.
Costò svariati milioni di dollari e fallì miseramente al botteghino, probabilmente perché risulta incomprensibile o quasi, specie per chi non ha letto il complesso romanzo di partenza.

Tuttavia le scene, i costumi, le creature (di Carlo Rambaldi), gli effetti speciali e la regia visionaria lo rendono uno strano film d’autore.
Vero che ora siamo abituati all'adattamento di Denis Villeneuve, ma questo primo tentativo di mettere in immagini il famoso romanzo sci-fi sarebbe da rivalutare.


Velluto Blu (1986)

 
Dopo aver trovato per caso un orecchio mozzato, un giovane (Kyle MacLachlan) si improvvisa detective e scopre che un gangster psicotico (Dennis Hopper) ricatta una cantante di night club (Isabella Rossellini).

Quarto lungometraggio che confermò il talento visionario del regista e fissò definitivamente i canoni del suo personalissimo stile, fece scandalo e divise la critica tra detrattori veementi e adoratori entusiasti.

Thriller inquietante e onirico, volutamente provocatorio, racconta una discesa agli inferi con catarsi finale che si può leggere come metafora del difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ma anche come riflessione sul cinema e la sua funzione voyeuristica.
Disturbante per chi ama i film classici e lineari, affascinante per chi accetta di entrare nel meccanismo della messinscena.

Numerosi i momenti di grande cinema, perfetta la colonna sonora vintage.
Hopper disegna un cattivo da antologia.


Cuore Selvaggio (1990)

 
Due sbandati (Laura Dern e Nicolas Cage) attraversano gli States per fuggire alla possessiva madre di lei, che assolda un investigatore privato (Harry Dean Stanton) e un gangster perché li rintraccino.

Grottesco noir on the road, con punte di splatter estremo, vinse a sorpresa la Palma d’oro a Cannes e confermò David Lynch come il regista più intelligente e provocatorio del nuovo cinema americano.
A conti fatti, si può considerare anche come un precursore del pulp tarantiniano.

Rispetto al romanzo di Barry Gifford da cui è tratto, il regista ha accentuato i toni onirici e fiabeschi, aggiungendo iterati riferimenti a Elvis e a Il Mago di Oz, e ribaltando completamente il finale.

Non è il film migliore di Lynch, ma è pieno di sequenze memorabili (la serenata di Cage in discoteca e l’impressionante incidente automobilistico notturno, solo per citarne due, peraltro assenti nel libro).
Solito, grande cast in cui si distingue il perverso/simpatico Dafoe.


Twin Peaks (1990-91)

 
La misteriosa uccisione di una ragazzina (Sheryl Lee) scuote Twin Peaks, paesino di provincia i cui abitanti nascondono ipocrisie e oscuri segreti.
Viene mandato a investigare un agente dell'FBI dai metodi non convenzionali (Kyle MacLachlan).

Storia di delitti e intrighi in una provincia montana americana, fu il serial più importante della storia della televisione (almeno fino a Lost).
Rivoluzionò i canoni del genere annullando il confine tra grande e piccolo schermo, segnando l’apice della popolarità del grande David Lynch che l’ideò col co-sceneggiatore Mark Frost (vedi il dittico dei Fantastici 4) e diresse alcuni episodi.

Alternando momenti di spavento e mistero a scenette quasi demenziali di umorismo surreale, costrinse gli spettatori di tutto il mondo a scervellarsi per rispondere alla domanda: "Chi ha ucciso Laura Palmer?"
Operazione di marketing geniale, ma in retrospettiva molte delle puntate che non vedono il coinvolgimento diretto di Lynch e Frost risultano deboli.

Musiche indimenticabili di Angelo Badalamenti, collaboratore storico del regista, e MacLachlan nel ruolo della vita.
Tra i comprimari spicca lo spassoso Albert impersonato da Miguel Ferrer.


Twin Peaks: Fuoco Cammina con Me (1992)

 
Indagando sulla morte di una giovane, due agenti dell’FBI (Chris Isaak e Kiefer Sutherland) scompaiono nel nulla. Un altro agente (Kyle MacLachlan) scopre di avere poteri paranormali.
Laura Palmer (Sheryl Lee), studentessa modello di giorno, conduce una vita dissoluta di notte.

Dopo un successo così clamoroso, era ovvio che David tornasse a Twin Peaks; questa versione cinematografica è però un prequel, cioè un racconto degli antefatti della vicenda.
Un fiasco totale: non risolve le lacune della serie, aggiungendone anzi di nuove, e ignora gran parte dei personaggi principali.

Il prologo è magistrale (una sequenza su tutte: la donna vestita di rosso che all’aeroporto mima messaggi in codice), poi il film diventa ridondante quando si concentra sul personaggio di Laura.
Finì per alienare critici e fan, che contestarono anche il tasso di violenza, nonostante qualche espediente sonoro di gran pregio.


Strade Perdute (1997)

 
Il sassofonista Fred (Bill Pullman) finisce in carcere per l’omicidio della moglie (Patricia Arquette), ma in cella si trasforma in un giovane meccanico (Balthazar Getty).
Questi, tornato a casa, instaura una pericolosa relazione con la pupa di un gangster (Robert Loggia), identica alla moglie del sassofonista.
A tirare le fila dell’intera vicenda sembra essere un misterioso omino ubiquo (Robert Blake).

Dopo il successo planetario di Twin Peaks, David torna al cinema con una delle sue opere più riuscite e rappresentative, probabilmente la più sottovalutata.
Il regista cerca di dare vita all’inconscio, ad un mondo onirico e irrazionale, inspiegabile come la trama del film, scritta a quattro mani col romanziere Barry Gifford (Cuore Selvaggio).

Immersa in un’atmosfera irreale, ambigua e plumbea (un po’ il marchio di fabbrica di Lynch), la pellicola si snoda incoerentemente come un incubo ad occhi aperti privilegiando lo stile alla storia, a riprova che il geniale cineasta americano era soprattutto un fabbricante di sensazioni, di emozioni forti.
Tra gli attori, perfetti Pullman e la Arquette e indimenticabile l’uomo misterioso impersonato da Blake.

Ultimo film per Jack Nance e Richard Pryor: il primo era stato con David fin dall'esordio di Eraserhead, il secondo - celebre stand-up comedian - è in uno dei suoi rari ruoli seri.


Una Storia Vera (1999)

 
Un anziano agricoltore (Richard Farnsworth) attraversa gli USA alla guida di un tagliaerba per poter rivedere il fratello malato (Harry Dean Stanton).

A 53 anni, sorprendentemente David Lynch cambia: realizza un film lento, molto ortodosso.
Bello, poetico e commovente, sereno e amaro allo stesso tempo, comincia e si conclude con la medesima contemplazione di un cielo stellato.

Pur senza rinunciare al proprio stile, ma lontano dalle provocazioni e dagli stravolgimenti che hanno fatto la sua fortuna, il regista mette parallelamente a confronto l’autunno della natura con l’inverno della vita, vincendo la scommessa di dimostrarsi un autore anche sensibile.
Bravissimo il veterano Richard Farnsworth nel ruolo principale.


Mulholland Drive (2001)

 
Hollywood: un’aspirante attrice (Naomi Watts) conosce una ragazza scampata a un incidente automobilistico (Laura Harring) e cerca di aiutarla a ricostruirne l’identità perduta.
Parallelamente, un regista (Justin Theroux) è vessato da alcuni gangster.

Premiato per la regia al Festival di Cannes e nominato agli Oscar nella medesima categoria, segna il ritorno di David Lynch al suo stile più personale, dopo la parentesi lineare e “moderata” di Una Storia Vera.
Il regista riprende e amplia il discorso da dove l’aveva lasciato con Strade Perdute: demolizione degli schemi, secondarietà della storia, perdita d’identità dei protagonisti.

Nella consueta atmosfera plumbea, tra eccessi e provocazioni, violenza ed enigmi inestricabili, cercare di dare un senso alla trama è inutile: il cinema di Lynch non ha bisogno di dar risposte, ha il solo scopo di trasmettere sensazioni violente, di scuotere lo spettatore, di mostrare (metaforicamente) la perdita di idee del cinema contemporaneo.

Considerato da alcuni critici come uno dei migliori film della storia del cinema: non esageriamo, ma è di certo l'ultimo grande lungometraggio di David e ha due protagoniste memorabili (più brava Watts, più sensuale Harring).


INLAND EMPIRE (2006)

 
Una famosa attrice (Laura Dern), impegnata nelle riprese di un film maledetto, perde progressivamente il senso della realtà e la propria identità.

Cinque anni dopo Mulholland Drive e diversi progetti “minori” (cortometraggi, animazioni, serie tv, album musicali...), Lynch torna al cinema con un film a basso costo, girato interamente con una videocamera digitale a mano che conferisce all’immagine un’accentuata sgranatura.

E’ forse, insieme all’iniziale Eraserhead, la sua opera più estrema, impegnativa anche per i suoi fan più accaniti: la durata è protratta per ben tre ore, la matassa narrativa inestricabile, la galleria dei personaggi eccessiva.
Non mancano rimandi e autocitazioni, come gli estratti da Rabbits, una sua bizzarra sit-com su una famiglia di conigli antropomorfi.

Come è più di prima Lynch si diverte a spiazzare gli spettatori lasciando molte domande irrisolte e pochi indizi: può essere considerato un genio o un folle, si può amarlo o odiarlo, ma in fondo è un regista che usa il cinema come un pittore usa il pennello sulla tela.

INLAND EMPIRE - sic, tutto in maiuscolo - è soprattutto un'opera-tributo all'ottima Laura Dern (alias Ellie di Jurassic Park), musa "lynchiana" il cui valore aggiunto è paragonabile a quello di Uma Thurman in Kill Bill di Tarantino.


Twin Peaks: Il Ritorno (2017)

 
Per ulteriori dettagli vi rimandiamo alla nostra precedente recensione.

Contro ogni previsione, a distanza di 25 anni David ritorna alla serie che lo aveva consacrato, ma stavolta scrive - in coppia col fidato Mark Frost - e dirige tutti gli episodi, approcciandosi alla materia come se fosse un lungometraggio suddiviso in capitoli piuttosto che come un telefilm a puntate.

Osannata dalla critica come e forse più delle precedenti, questa terza stagione risolve alcuni dei misteri rimasti in sospeso e ne aggiunge di nuovi, mentre i personaggi storici vengono affiancati da numerose new entry (tra queste, la più significativa è Laura Dern che dà finalmente il volto a Diane).

E' il canto del cigno di Lynch, la sua ultima opera, la chiusura del cerchio di una carriera che non ha eguali nella storia del cinema (e della tv).
Quanto ci mancherai, David.


PS: cogliete l'occasione per rileggere le recensioni che avevamo fatto ad alcuni cortometraggi del nostro! Le trovate qui sotto:
Boat + Lady Blue Shanghai + 3RS
Idem Paris
The Story of a Small Bug


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venerdì 10 gennaio 2025

SONIC-IL FILM 3, LI SEGUE COME UN'OMBRA

(Clicca sulla locandina per vedere il trailer). 

USA/Giappone, 2024
110'
Regia: Jeff Fowler
Interpreti: James Marsden, Jim Carrey, Tika Sumpter, Lee Majdoub.
Voci originali: Ben Schwartz, Colleen O'Shaughnessey, Idris Elba, Keanu Reeves.


A seguito degli eventi dei primi 2 film, Sonic (Schwartz) e i suoi amici Knuckles (Elba) e Tails (O'Shaughnessey) devono affrontare una nuova minaccia globale.

Per neutralizzare Shadow (Reeves), potentissimo sosia dello stesso Sonic, toccherà loro chiedere aiuto al più improbabile degli alleati: il redivivo Eggman (Carrey)...


Dopo gli ottimi Sonic e Sonic 2, e la discreta miniserie spin-off incentrata su Knuckles, eccoci finalmente giunti all'ultimo(?) capitolo della trilogia dedicata all'amato riccio blu.

Ancora prodotto da Tim Miller (regista del primo Deadpool), è il terzo adattamento cinematografico di un popolare videogioco sviluppato dalla giapponese SEGA negli anni 90.

La galleria dei protagonisti si infoltisce: dopo l'introduzione della volpe gialla Tails e dell'echidna rosso Knuckles nella scorsa pellicola, stavolta è il turno di Shadow, una sorta di gemello "cattivo" di Sonic che è il vero fulcro della storia (voce originale di Keanu Reeves, che lo doppia come Batman di DC League of Super-Pets).

Una new entry efficacissima, cui si aggiunge un secondo cattivo: il malvagio nonno di Robotnik (Carrey in doppio ruolo).
Il suo personaggio e le sue interazioni col nipote sono l'elemento comico del film (la scena più spassosa è probabilmente quella del balletto coordinato dei due), che per il resto ha un tono più serio dei precedenti.

Nonostante l'attore canadese di Ace Ventura e Scemo e + Scemo gigioneggi senza freni cercando di rubare la scena a tutti (dopo essersi fatto convincere a rimandare l'annunciato ritiro dalle scene), Majdoub riesce a ottenere un ruolo più cospicuo e la coppia Sumpter-Marsden sembra divertirsi di più delle volte scorse (specie l'ex Ciclope degli X-Men).

Tra una cine-citazione e l'altra (da Detective Pikachu a Speed, passando per La Talpa), quello di Sonic è un caso raro di franchise che mantiene alta la qualità anche nei seguiti, un po' come Paddington (o quasi: dobbiamo ancora vedere - e quindi giudicare - Paddington in Perù, anch'essa l'ultima parte di una trilogia).

Sì, possiamo dirlo: Sonic 3 è forse il capitolo migliore della serie.
Aspettando il prossimo...

[PS: occhio alle sequenze mid- e post-credits! Nella prima esordisce un altro personaggio storico (era ora!), nella seconda c'è un piccolo colpo di scena... per la gioia dei fan!]


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mercoledì 8 gennaio 2025

GOLDEN GLOBE 2025. I VINCITORI

(Da sinistra: Demi Moore, Kieran Culkin e Adrien Brody). 


Una delle domande che ritornano, con frequenza annuale, nel grande mondo del cinema è: i Golden Globe sono un'anticipazione degli Oscar?

Un tempo avremmo risposto di sì, ma negli ultimi anni c'è stata una sorta di inversione di tendenza, col risultato che quella dei premi assegnati dalla stampa estera è diventata una competizione a sé stante, piuttosto slegata dalle logiche politiche/economiche dell'Academy.

Ed è un bene: a giovarne sono infatti le pellicole stesse, che qui vengono premiate - l'impressione è questa, almeno - per meriti essenzialmente qualitativi.

Dalla serata è uscito vincitore il drammatico The Brutalist, racconto di un architetto scampato all'Olocausto, che si è aggiudicato i 3 premi più "pesanti": miglior film, regista e attore protagonista.

A tallonarlo troviamo Emilia Pérez, bizzarro musical che di globi se n'é portato a casa ben 4: miglior commedia, film straniero, attrice non protagonista e canzone.

Peccato che non abbiano trovato spazio film come A Complete Unknown (biopic su Bob Dylan diretto dal regista di Logan e Indiana Jones 5) e l'ottimo Dune - Parte 2 di Denis Villeneuve.
Anche il geniale Deadpool & Wolverine è rimasto a bocca asciutta, nonostante l'hype che l'accompagna.

Chi invece ha lasciato la cerimonia con un bel sorriso stampato in faccia è una coppia di interpreti che erano un po' finiti nel dimenticatoio: la rediviva Demi Moore, benché lasci perplessi la categoria in cui è stata incensata (miglior attrice in una commedia? Che cosa ci sarebbe di divertente nell'orrorifico The Substance?) e lo spilungone Adrien Brody, che oltre 20 anni fa vinse l'Oscar con The Pianist (in un ruolo molto simile a questo).

Gloria anche per due "supereroi": Zoe Saldana altri non è che Gamora dei Guardiani della Galassia, mentre conosciamo Sebastian Stan soprattutto come il Soldato d'Inverno degli Avengers.
Una bella soddisfazione per entrambi, che finalmente vengono riconosciuti come professionisti "seri", non solo interpreti di fumettosi blockbuster (una cosa simile era capitata l'anno scorso a Robert Downey Jr.).

E se stupisce positivamente la vittoria del cartone muto Flow (ma riuscirà a confermarsi agli Academy Awards contro la corazzata Disney?), la sconfitta dell'unica opera italiana in gara - l'acclamata Vermiglio - lascia un po' l'amaro in bocca.

Ma la strada verso gli Oscar è ancora lunga; nel frattempo, leggete qui sotto l'elenco dei vincitori e cliccate sui link che trovate!


Miglior film drammatico
The Brutalist, regia di Brady Corbet
A Complete Unknown, regia di James Mangold
Conclave, regia di Edward Berger
Dune - Parte 2, regia di Denis Villeneuve
Nickel Boys, regia di RaMell Ross
September 5, regia di Tim Fehlbaum

Miglior film commedia o musicale
Emilia Pérez, regia di Jacques Audiard
Anora, regia di Sean Baker
Challengers, regia di Luca Guadagnino
A Real Pain, regia di Jesse Eisenberg
The Substance, regia di Coralie Fargeat
Wicked, regia di Jon M. Chu

Miglior regista
Brady Corbet – The Brutalist
Jacques Audiard – Emilia Pérez
Sean Baker – Anora
Edward Berger – Conclave
Coralie Fargeat – The Substance
Payal Kapadiya – Amore a Mumbai

Migliore attore in un film drammatico
Adrien Brody – The Brutalist
Timothée Chalamet – A Complete Unknown
Daniel Craig – Queer
Colman Domingo – Sing Sing
Ralph Fiennes – Conclave
Sebastian Stan – The Apprentice

Migliore attrice in un film drammatico
Fernanda Torres – Ainda estou aqui
Pamela Anderson – The Last Showgirl
Angelina Jolie – Maria
Nicole Kidman – Babygirl
Tilda Swinton – La Stanza Accanto (The Room Next Door)
Kate Winslet – Lee

Migliore attore in un film commedia o musicale
Sebastian Stan – A Different Man
Jesse Eisenberg – A Real Pain
Hugh Grant – Heretic
Gabriel LaBelle – Saturday Night
Jesse Plemons – Kinds of Kindness
Glen Powell – Hit Man

Migliore attrice in un film commedia o musicale
Demi Moore – The Substance
Amy Adams – Nightbitch
Cynthia Erivo – Wicked
Karla Sofía Gascón – Emilia Pérez
Mikey Madison – Anora
Zendaya – Challengers

Migliore attore non protagonista
Kieran Culkin – A Real Pain
Jurij Borisov – Anora
Edward Norton – A Complete Unknown
Guy Pearce – The Brutalist
Jeremy Strong – The Apprentice
Denzel Washington – Il Gladiatore II

Migliore attrice non protagonista
Zoe Saldana – Emilia Pérez
Selena Gomez – Emilia Pérez
Ariana Grande – Wicked
Felicity Jones – The Brutalist
Margaret Qualley – The Substance
Isabella Rossellini – Conclave

Miglior film in lingua straniera
Emilia Pérez, regia di Jacques Audiard (Francia)
Amore a Mumbai, regia di Payal Kapadiya (USA/Francia/India)
Pigen med nålen, regia di Magnus von Horn (Polonia/Svezia/Danimarca)
Ainda estou aqui, regia di Walter Salles (Brasile)
Dāne-ye anjīr-e ma'ābed, regia di Mohammad Rasoulof (USA/Germania)
Vermiglio, regia di Maura Delpero (Italia)

Miglior film d'animazione
Flow - Un Mondo da Salvare, regia di Gints Zilbalodis
Inside Out 2, regia di Kelsey Mann
Memoir of a Snail, regia di Adam Elliot
Oceania 2, regia di Dave G. Derrick Jr., Jason Hand e Dana Ledoux Miller
Wallace & Gromit: Le Piume della Vendetta, regia di Nick Park e Merlin Grossingham
Il Robot Selvaggio, regia di Chris Sanders

Migliore sceneggiatura
Peter Straughan – Conclave
Jacques Audiard – Emilia Pérez
Sean Baker – Anora
Brady Corbet e Mona Fastvold – The Brutalist
Jesse Eisenberg – A Real Pain
Coralie Fargeat – The Substance

Migliore colonna sonora originale
Trent Reznor e Atticus Ross – Challengers
Volker Bertelmann – Conclave
Daniel Blumberg – The Brutalist
Kris Bowers – Il Robot Selvaggio
Clément Ducol e Camille – Emilia Pérez
Hans Zimmer – Dune - Parte 2

Migliore canzone originale
El mal (Clément Ducol, Camille e Jacques Audiard) – Emilia Pérez
Beautiful That Way (Andrew Wyatt, Miley Cyrus e Lykke Li) – The Last Showgirl
Compress / Repress (Trent Reznor, Atticus Ross e Luca Guadagnino) – Challengers
Forbidden Road (Robbie Williams, Freddy Wexler e Sacha Skarbek) – Better Man
Kiss the Sky (Delacey, Jordan K. Johnson, Stefan Johnson, Maren Morris, Michael Pollack e Ali Tamposi) – Il Robot Selvaggio
Mi camino (Clément Ducol e Camille) – Emilia Pérez

Miglior risultato al cinema e al box office
Wicked, regia di Jon M. Chu
Alien: Romulus, regia di Fede Álvarez
Beetlejuice Beetlejuice, regia di Tim Burton
Deadpool & Wolverine, regia di Shawn Levy
Il Gladiatore II, regia di Ridley Scott
Inside Out 2, regia di Kelsey Mann
Twisters, regia di Lee Isaac Chung
Il Robot Selvaggio, regia di Chris Sanders


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